REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. ROSA PEZZULLO – Presidente –
Dott. MICHELE ROMANO – Consigliere –
Dott. FRANCESCO CANANZI – Consigliere –
Dott. ANNA MARIA GLORIA MUSCARELLA – Consigliere –
Dott. TIZIANO MASINI – Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 21/10/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. TIZIANO MASINI;
il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, dr. Giuseppe Sassone, ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
In data 9 maggio 2025, il difensore dell’imputato ha depositato memoria difensiva, con cui ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
In data 20 maggio 2025 la difesa di parte civile ha inoltrato memoria difensiva, a sostegno delle proprie ragioni.
Ritenuto in fatto
1. (OMISSIS) (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta, che ha confermato quella del Tribunale monocratico, che, escluse le aggravanti di cui ai commi 3 e 4, ne ha dichiarato la penale responsabilità in relazione al delitto di cui all’art. 595 cod. pen., con la recidiva specifica e reiterata e con la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, (OMISSIS) (OMISSIS).
2. L’atto di impugnazione consta di un solo composito motivo, che ha dedotto i vizi di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) e c) cod. proc. pen., anche per “travisamento del fatto”; non sarebbe ravvisabile alcuna diffamazione perché il comizio tenuto in piazza dall’imputato e le parole da lui pronunciate sarebbero state dirette esclusivamente a stimolare il Sindaco e gli amministratori del Comune di Gela a denunciare alla polizia le infiltrazioni mafiose nell’ente pubblico, con particolare riferimento al settore dello smaltimento dei rifiuti, gestito da un’impresa, affidataria del servizio, “in odore di Camorra”, al fine di evitare che si riproponesse un clima simile a quello degli “anni di piombo”; egli avrebbe rispettato il “nucleo di verità dei fatti senza trasbordare in gratuiti attacchi alla sfera personale del Sindaco”. Insomma, la Corte d’appello avrebbe dovuto riconoscere la scriminante del diritto di critica politica, anche eventualmente nella forma putativa.
Considerato in diritto
Il ricorso, a tratti inammissibile, è nel complesso infondato.
1. La ragione di ricorso contesta in massima parte la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di diffamazione, anche sotto il profilo di una carenza di motivazione del provvedimento impugnato, e si rivela infondata.
1.1. Il reato di diffamazione, come noto, tutela l’interesse oggettivo alla reputazione, intesa come rispetto della dignità personale in ambito collettivo e diritto a godere della stima tra i consociati; esige, tra i requisiti distintivi, quello dell’assenza dell’offeso al momento della realizzazione della lesione della reputazione, nel senso che ciò che costituirebbe “ingiuria” al cospetto del suo destinatario integra diffamazione quando alla comunicazione illecita assistano più persone, tra le quali non deve essere presente il soggetto diffamato.
La decisione del duplice elaborato di merito, in doppia conforme, si è espressa con proposizioni circostanziate, logiche, appropriate e dunque ineccepibili sulla portata contumeliosa e dissacrante delle parole usate all’indirizzo della parte civile nel corso del comizio pubblico del 23 settembre 2016.
Sul punto, e senza indulgere in inutili ripetizioni, basti richiamare gli epiteti di “ignorante”, “burattino” assimilato ad una marionetta napoletana, le esternazioni volte a rimarcarne la subordinazione ai poteri mafiosi che dall’esterno manovrerebbero l’amministrazione del Comune di Gela, ente pubblico nel quale le persone oneste non chiedono di lavorare; l’esecrazione del sistema di gestione dei rifiuti urbani, affidato senza gara pubblica ad un’impresa contigua alla criminalità organizzata, con spreco di denaro ed inefficienza dei risultati; la deplorazione del comportamento del primo cittadino e degli uomini a lui vicini, descritti come dei pusillanime, timorosi di ritorsioni mafiose e refrattari, pertanto, a denunciare – in violazione di precisi obblighi di legge – le pur conosciute infiltrazioni criminali nella res publica.
1.2. Quanto alla (pur solo fugacemente) invocata causa di giustificazione di cui all’art. 51 cod. pen., mette conto richiamare, innanzitutto, taluni principi ermeneutici resi stabili dalla giurisprudenza di legittimità in tema, in particolare, di esercizio del diritto di critica politica, che afferisce la vicenda in scrutinio.
1.3. In tema di delitti contro l’onore, costituisce legittimo esercizio del diritto di critica politica la diffusione, anche con mezzo di pubblicità, di giudizi negativi circa condotte biasimevoli poste in essere da amministratori pubblici, purché la critica prenda spunto da una notizia vera, si connoti di pubblico interesse e non precipiti in un attacco personale (sez. 5, n. 4530 del 10/11/2022, Alloro, Rv. 283964).
E’ fondamentale, allora e tra l’altro, che la critica non trascenda in attacchi e aggressioni personali diretti a colpire, sul piano individuale, la figura morale del soggetto criticato.
Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che, in tema di diritto di critica, ciò che determina in primo luogo l’abuso del diritto è la gratuità delle espressioni non pertinenti ai temi apparentemente in discussione; è l’uso delrargumentum ad hominem”, inteso a screditare l’avversario politico mediante l’evocazione di una sua pretesa indegnità o inadeguatezza personale, piuttosto che a criticarne i programmi e le azioni (ex multis, Sez. 5, n. 46132 del 13/06/2014, Rv. 262184; sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, Rv. 249239; sez. 5, n. 7990 del 19/05/1998, Rv. 211482).
Trattasi, in sostanza, del parametro della continenza, dai cui confini i toni e le frasi pronunciate nel corso del comizio sono stati correttamente ritenuti eccedere, anche perché evocanti connivenze mafiose, di per sé tali da integrare giudizi disonorevoli ed infamanti, debordanti dai contorni di un ordinario dissenso rispetto all’azione politica dell’antagonista.
E già soltanto l’uso della parola “mafioso” – o di espressioni similari ma di intuitiva e percepibile comunanza, come “questa è mafia”, ripetuta più volte – in assenza della specifica indicazione di un qualsiasi elemento di verità a suo sostegno e senza alcuna giustificazione si palesa – come correttamente opinato dai Giudici di merito – esorbitante dai confini della continenza, perché, di contenuto intrinsecamente disonorevole e solo dispregiativo, trasmoda in una mera aggressione verbale del soggetto criticato (ex mulbis, sez. 5, n. 37397 del 24/06/2016; sez. 5, n. 15060 del 23/02/2011, Rv. 250174).
1.4. Non ignora poi, il Collegio, il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Sezione, formatosi essenzialmente in tema di diffamazione a mezzo stampa, secondo il quale il rispetto della verità del fatto assume, in riferimento all’esercizio del diritto di critica politica, un rilievo più contenuto e necessariamente affievolito rispetto al diritto di cronaca, in quanto la critica, ed ancor più quella politica, quale espressione di opinione meramente soggettiva, ha per sua natura carattere congetturale, che non può, per definizione, pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica (cfr. Sez. 5, n. 4938 del 28/10/2010, Rv. 249239; Cass., Sez. 5, n. 25518 del 26/09/2016, Rv. 270284).
E pur tuttavia, anche l’indirizzo più largheggiante esige quantomeno che sia assicurata la “veridicità” della divulgazione, il c.d. “nucleo di verità” dell’informazione che ispiri e generi la manifestazione dell’opinione oggettivamente lesiva dell’altrui reputazione (cfr. sez.5, n. 31263 del 14/09/2020, Capozza, Rv. 279909); in altri termini, il nucleo ed il profilo essenziale dei fatti non devono essere strumentalmente travisati e manipolati (sez. 5, n. 11662 del 6/2/2007, Iannuzzi, Rv. 236362).
1.5. L’esame della sussistenza degli indicatori dell’esercizio del diritto di critica, idonei a fondare l’operatività della scriminante, è stato anche più volte “relativizzato” ed affiancato, dall’esegesi giurisprudenziale corrente in tema di diffamazione, a quello del “contesto” nel quale le parole offensive siano state pronunciate o riportate (tra tante, sez. 5, n. 16959 del 21/11/2019, Le Betulle Casa di Cura, Rv. 279203), che viene comunque di regola ancorato al fenomeno “dialettico” della esposizione di pensieri ed opinioni, al tipo di concetto da esprimere, ferme restando – però – la necessità di un ragionevole collegamento a “fatti specifici” che non esulino da quella “base” di verità – inconciliabile, pertanto, con le accuse “generiche” (v. sez. 5, n. 47041 del 10/07/2019, Faelutti, Rv. 277742; sez. 5, n. 4298 del 19/11/2015, Bisignano, Rv. 266026; sez. 5, n. 37124 del 15/07/2008, De Luca e altri, Rv. 242019) – e l’invalicabilità del veto alle aggressioni personali e gratuite in pregiudizio della sfera morale del destinatario.
Pertanto, il contesto nel quale la condotta si colloca può essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non può in alcun modo scriminare l’uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest’ultimo in quanto tale (sez. 5, n. 31669 del 14/04/2015, Marcialis, Rv. 264442. Sulla stessa linea sez. 5, n. 15060 del 23/02/2011, Dessi, Rv. 250174).
Orbene, la carica offensiva e ignominiosa di espressioni che accostano la figura del Sindaco a collusioni con la mafia, o lo definiscono, in modo svilente e canzonatorio, un ignorante, un “burattino” simile ad una marionetta, è evidente; ma neppure il “contesto” – invocato dalla difesa del ricorrente – potrebbe possedere minima portata giustificatrice, dal momento che dei commenti e delle considerazioni fatte dall’imputato nel corso del comizio non vi è alcun principio di prova, che non emerge dalla motivazione delle decisioni di merito e che non è stato fornito e nemmeno allegato dal motivo di ricorso.
Non vi è nulla, nel corpo dei provvedimenti giurisdizionali, che consenta di affermare – a titolo esemplificativo – che la non meglio precisata impresa assegnataria del servizio di smaltimento dei rifiuti del Comune di Gela fosse mafiosa o “in odore di camorra”; di sostenere che il Sindaco e gli assessori non si siano, intenzionalmente o per paura, rivolti alle autorità di polizia per denunciare reati commessi dai responsabili dell’azienda, a loro ben noti; di insinuare che tale, assunta inerzia sia la conseguenza di connivenze tra gli amministratori e la mafia gelese, che manipolerebbe il loro operato dietro le quinte.
2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di reiezione del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
3. L’imputato deve essere infine condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, la quale ha depositato una tempestiva memoria attraverso la quale ha contrastato la pretesa dell’imputato per la tutela dei propri interessi (cfr. Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716 e Sez. U n. 877 del 14/07/2022, dep. 2023, Sacchettino); spese che, tenuto conto della natura del processo e dell’opera prestata (studio e deposito di una memoria) possono liquidarsi in complessivi euro 3000, oltre accessori di legge
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi euro 3000,00, oltre accdessori di legge.
Così deciso in Roma, 05/06/2025
Depositato in Cancelleria il giorno 1 luglio 2025.