REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ANTONIO MANNA – Presidente –
Dott. FABRIZIA GARRI – Consigliere –
Dott. GABRIELLA MARCHESE – Consigliere –
Dott. FRANCESCO BUFFA – Rel. Consigliere –
Dott. ATTILIO FRANCO ORIO – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n.17915/2024 R.G. proposto da:
(omissis) (omissis), elettivamente domiciliato in PEC del difensore domicilio digitale, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
(omissis) ITALIA S.P.A, elettivamente domiciliato in ROMA (omissis) (omissis) n. 18, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 504/2024 depositata il 14/06/2024.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/03/2025dal Consigliere dr. FRANCESCO BUFFA.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza del 14.6.24 la corte d’appello di Palermo, in riforma della sentenza del tribunale della stessa sede del 7.12.23, ha rigettato il ricorso del lavoratore indicato in epigrafe avverso licenziamento intimatogli il 21.7.22 da (omissis) Italia.
2. In particolare, la corte ha rilevato che il lavoratore era responsabile dell’omessa registrazione di cassa per importi di modesto valore, come accertato da società di investigazioni e dal riepilogo a fine turno delle operazioni effettuate con il codice identificativo del lavoratore medesimo; ha ritenuto quindi i fatti espressione di personalità incline all’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, idonei a giustificare il licenziamento, quale sanzione proporzionata.
3. Avverso tale sentenza ricorre il lavoratore per cinque motivi, cui resiste con controricorso, illustrato da memoria, il datore di lavoro.
4. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5. Il primo motivo di ricorso deduce violazione di legge articolo 132 comma 2, n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per essere la sentenza affetta da nullità in ragione della manifesta illogicità della motivazione, meramente apparente, limitata al rinvio ad altra sentenza della medesima corte emessa in altro giudizio con considerazioni di carattere generico, slegate dal caso concreto che era chiamata a giudicare, e senza fornire alcuna indicazione circa il ragionamento logico giuridico seguito per addivenire alla propria decisione.
6. Il motivo è infondato.
Invero, la motivazione della corte territoriale garantisce il minimo costituzionale imposto per l’esternazione delle argomentazioni a sostegno del decisum, atteso che la sentenza impugnata richiama e fa proprie le conclusioni di altra pronuncia relativa a caso diverso: tale richiamo non riguarda l’accertamento fattuale (che riposa invece sulle prove dichiarative acquisite nel presente processo), ma la sola valutazione del mancato rilascio dello scontrino.
7. Come precisato in sede di legittimità in numerose occasioni, (tra le tante, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018, Rv. 650880 – 01) è denunciabile per cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
8. Il secondo motivo deduce violazione di legge e falsa applicazione degli articoli 2727, 2729 2697 c.c., dell’articolo 5 legge 604 del 66, il tutto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto provati gli addebiti mossi nei confronti del lavoratore in forza di un ragionamento presuntivo applicato a diverse risultanze istruttorie prive dei requisiti di gravità precisione e concordanza, e che anzi risulta contraddetto da diversi elementi probatori.
9. Anche tale motivo è privo di pregio: invero, mentre non risulta un giudizio inferenziale di conclusioni non logicamente connesse ai fatti accertati come premesse, deve rilevarsi che, in sostanza, il motivo tende essenzialmente ad una nuova valutazione del merito della controversia, che contrappone alla valutazione della corte territoriale altra valutazione dei fatti solo astrattamente plausibile, il che è precluso in sede di legittimità.
10. Il terzo motivo deduce violazione degli articoli 2967 c.c., 115, 116 e 416 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per omesso esame di fatti decisivi del giudizio e, in particolare, dell’asserita appropriazione del corrispettivo delle vendite, fatto che nel corso del processo è stato rinunciato dal datore di lavoro e che è comunque rimasto indimostrato.
11. Il quarto motivo deduce violazione dell’articolo 2697 c.c., 5 legge 604 del 66, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto che il lavoratore si fosse appropriato dei proventi delle vendite non registrate.
12. I motivi terzo e quarto possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione: essi sono infondati.
13. Invero, la corte territoriale ha attribuito rilevanza a diversi episodi che hanno rivelato, per come emersi dalle prove testimoniali raccolte, ripetute irregolarità nella registrazione delle operazioni commerciali e nel rilascio dello scontrino, come prescritto dalle vigenti disposizioni, fatti che non hanno trovato corrispondenza in esuberi di cassa di importi corrispondenti.
14. Tali fatti assumono una obiettiva valenza lesiva del rapporto fiduciario tra le parti, e ciò a prescindere dal riferimento – meramente aggiuntivo nella sentenza impugnata – a precise condotte appropriative delle somme in questione, la cui dimostrazione specifica non è necessaria ai fini del venir meno della fiducia nel dipendente da parte del datore di lavoro, fiducia che secondo la valutazione della corte territoriale (che questo Collegio condivide, anche alla luce dei propri precedenti su casi analoghi: Sez. L, Sentenza n. 4212 del 14/05/1997, Rv. 504274 – 01; Sez. L, Sentenza n. 1145 del 19/01/2011, Rv. 616256 – 01) è lesa già dai fatti contestati in quanto connotati dall’elemento doloso e inidonei a garantire per il futuro un affidamento nel puntuale ed esatto adempimento dell’obbligazione lavorativa (v. anche Sez. L, Sentenza n. 5434 del 07/04/2003, Rv. 561954 – 01, secondo la quale ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, e, quindi, della sussistenza della giusta causa di licenziamento, ciò che rileva è la idoneità della condotta tenuta dal lavoratore a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti).
15. Il quinto motivo, che deduce violazione dell’art. 91 c.p.c. in realtà presuppone l’accoglimento dei precedenti motivi, il che non è.
16. Spese secondo soccombenza.
17. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in euro 2.5000 per compensi professionali ed euro 200 per esborsi, oltre a spese generali al 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del DPR n.115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 marzo 2025.
Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2025.