REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PEZZULLO Rosa – Presidente –
Dott. SESSA Renata – Consigliere –
Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere –
Dott. MAZZITELLI Caterina – Rel. Consigliere –
Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto dalla parte civile:
BONUCCHI DAVID nato a FIRENZE il xx/xx/xxxx;
nel procedimento a carico di:
CRESCIOLI SIMONE nato a FIRENZE il xx/xx/xxxx;
avverso la sentenza del 08/03/2018 della CORTE APPELLO di FIRENZE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Caterina MAZZITELLI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. Tomaso EPIDENDIO che ha concluso per l’annullamento con rinvio innanzi al Giudice civile competente per valore;
udito il difensore avv. Cartelli per la parte civile insiste per l’accoglimento e si riporta alle conclusioni che deposita unitamente alla nota spese;
L’avv. Cocchi chiede il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 8.3.2018 la Corte d’appello di Firenze, in riforma della sentenza emessa dal locale Tribunale in data 14/2/2013, ha assolto Crescioli Simone, dal reato di cui all’art. 612 c.p., perché il fatto non sussiste e dal reato di cui all’art. 594 c.p. perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, con revoca delle statuizioni civili.
1.1. La Corte territoriale ha fondato la pronuncia assolutoria nei confronti dell’imputato sulla circostanza che, in sede di indagini preliminari, la parte offesa, Bonucchi David, ha escluso che il Crescioli lo avesse minacciato con il piccone (dicendo che l’imputato aveva il piccone in mano “senza aver fatto il gesto di colpirmi”) e che si fosse rivolto con frasi minacciose, senza spiegare siffatta contraddizione; peraltro, le dichiarazioni della teste Bruno, non hanno offerto elementi di conferma della versione del Bonucchi, perché non è stata in grado di riferire alcunché relativamente all’episodio del piccone, né alle parole proferite da Crescioli; pertanto, la vicenda va ricondotta ad un comportamento non civile, ma non di rilievo penale.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la parte civile Bonucchi David, a mezzo del suo difensore di fiducia, affidato a due motivi, con i quali lamenta:
– con il primo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo comma, lett. e ) c.p.p. per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, travisamento della prova dichiarativa, omessa valutazione delle risultanze processuali e violazione dell’obbligo di motivazione “rinforzato”; in particolare, la motivazione della sentenza impugnata risulta viziata nella parte in cui ha assolto l’imputato dal delitto di minaccia grave e ha conseguentemente revocato le statuizioni civili della sentenza di primo grado, avendo travisato il contenuto delle prove acquisite e segnatamente, sia le dichiarazioni della p.o., che quelle della teste Bruno, e trascurato quelle del Carabiniere Follo;
– con il secondo motivo, la ricorrenza del vizio di cui all’art. 606, primo comma lett. b) c.p.p. per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 612 c.p., atteso che la condotta posta in essere dal Crescioli era, comunque, sicuramente qualificabile come reato ex art. 612 c.p., indipendentemente dall’ulteriore corredo probatorio che la Corte ha omesso del tutto di valutare rispetto al Tribunale; invero, il fatto storico oggetto di accertamento è senz’altro sussumibile nell’art. 612 c.p. poiché sono provati, in quanto ammessi anche dallo stesso imputato tutti gli elementi costitutivi della fattispecie in questione, avendo lo stesso utilizzato il piccone nello scendere dalla propria autovettura dirigendosi verso la persona offesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, proposto ai soli effetti civili, è fondato per quanto di ragione.
1. Ed invero, così come denunciato dal ricorrente molteplici vizi motivazionali caratterizzano la sentenza impugnata, non solo nel raffronto con la sentenza di primo grado, ma anche nell’argomentare in sé della pronuncia in questione.
La sentenza di primo grado aveva ritenuto minacciosa la condotta dell’imputato, che dopo avere, per motivi di viabilità ingiuriato la p.o., era sceso dall’auto afferrando un piccone che custodiva all’interno del veicolo, dirigendosi appunto verso la p.o.
Tale condotta, descritta dalla p.o. e corroborata dal rinvenimento da parte del C.C. Follo presso l’abitazione dell’imputato del piccone, che gli veniva specificamente mostrato, contrariamente a quanto evidenziato nella sentenza impugnata, non risulta “smentita” da quanto dichiarato in sede di indagini preliminari dalla medesima p.o., atteso che la stessa anche in quella sede risulta aver riferito di aver visto l’imputato scendere dall’auto con il piccone in mano.
La stessa sentenza impugnata dà atto di ciò, laddove ha evidenziato che la p.o., in sede di indagini preliminari ha dichiarato che l’imputato aveva “il piccone in mano….” e, comunque, l’imputato stesso non ha smentito tale condotta, ma anzi ha ammesso “l’episodio del piccone”.
In tale contesto, pertanto, vanno richiamati i principi più volte affermati da questa Corte, secondo cui al fine di integrare la minaccia ex art. 612 c.p. non è necessario la pronuncia di frasi aventi tale contenuto bene potendo anche un mero comportamento presentare i connotati della minaccia, quando la condotta risulti oggettivamente caratterizzata da atteggiamenti marcatamente minacciosi (cfr. per tutte Sez. 5, n. 556 del 06/10/2003 Rv. 227660 ).
2. Il comportamento consistente nell’armarsi di un piccone, mostrandolo dopo aver proferito frasi ingiuriose, ben può dirsi integrante una condotta minacciosa grave ex art. 612 c.p..
Peraltro, ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 612 cod. pen., che costituisce reato di pericolo, la minaccia va valutata con criterio medio ed in relazione alle concrete circostanze del fatto, sicché non è necessario che il soggetto passivo si sia sentito effettivamente intimidito, essendo sufficiente che la condotta dell’agente sia potenzialmente idonea ad incidere sulla libertà morale della vittima, il cui eventuale atteggiamento minaccioso o provocatorio non influisce sulla sussistenza del reato, potendo eventualmente sostanziare una circostanza che ne diminuisca la gravità, come tale esterna alla fattispecie (Sez. 2, n. 21684 del 12/02/2019, Rv. 275819).
3. Sulla base di quanto evidenziato, pertanto, la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia al giudice civile competente per valore in grado di appello per nuovo esame.
Così deciso il 15.10.2019.
Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2020.