Tentato omicidio: il reato di favoreggiamento personale (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 14 aprile 2020, n. 12074).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. COSTANZO Angelo – Rel. Consigliere

Dott. MOGINI Stefano – Consigliere

Dott. ROSATI Martino – Consigliere

Dott. APRILE Ercole – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

Calvo Roberto, nato a Monza il xx/xx/xxxx;

Cappelluti Dario Carmine Umberto, nato a Segrate il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 14/06/2019 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Angelo Costanzo;

udito il Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Maria Giuseppina Fodaroni che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;

udito l’avvocato Franco Balconi, che, quale difensore di fiducia di Roberto Calvo, e quale sostituto processuale dell’avvocato Giuseppe Capobianco, difensore di fiducia di Dario Umberto Carmine Cappelluti, dopo discussione, si riporta ai motivi del ricorso e ne chiede l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 470672019 del 14/06/2019, la Corte di appello di Milano ha confermato la condanna inflitta dal Tribunale di Monza con sentenza n. 28/2018 del 9/1/2018 a Mattia Casanova, Roberto Calvo e Dario Cappelluti ex artt. 110 e 378 cod. pen., per avere reso dichiarazioni mendaci e reticenti agli operanti in relazione al procedimento in cui Fabiano Capuzzo è stato condannato, con sentenza irrevocabile della Corte di appello di Milano (n. 4452/2014), per tentato omicidio nei confronti di Pasian Adrian e di lesioni nei confronti di Daniel Dedja oltre che del porto illecito di un coltello.

2. Nel ricorso presentato dai difensori di Calvo e Cappelluti si chiede l’annullamento della sentenza.

2.1. Nel ricorso di Calvo si deducono:

a) violazione degli artt. 533 e 192, comma 2, cod. proc. pen., per avere ritenuto che la ricostruzione alternativa dei fatti va fornita dalla difesa, mentre sta all’accusa provare la responsabilità dell’imputato, che – invece – è stata fondata su un mero indizio non riscontrato (in particolare, l’aggancio delle comunicazioni del cellulare dell’imputato a una cella telefonica che prova al di là di ogni ragionevole dubbio la collocazione del telefono cellulare e tantomeno della persona che lo possiede);

b) violazione degli artt. 74 cod. proc. pen., 185 cod. pen. e 378 cod. pen. e vizio della motivazione nell’ammettere come parte civile Adrian Pasian e Daniel Dedja, i quali non sono soggetti danneggiati dal reato perché l’unico danno deriva loro dal reato commesso da Capuzzo.

2.2. Nel ricorso di Cappelluti si deducono:

a) violazione di legge e vizio della motivazione perché la Corte di appello non ha motivato la reiezione delle tesi difensive, limitandosi a ripetere gli argomenti espressi nella sentenza di primo grado e trascurando l’inidoneità delle condotte a fuorviare circa l’accertamento dei fatti;

b) vizio della motivazione con riferimento alla costituzione di parte civile e al risarcimento del danno per avere la Corte di appello omesso di rispondere alle deduzioni concernenti la mancata prova del danno;

c) vizio della motivazione con riferimento alla congruità della pena, nel trascurare la particolare tenuità del fatto e nel ritenere che tutti e tre gli imputati fossero pluripregiudicati, ma escludendo solo Cappelluti dal beneficio della sospensione condizionale della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo del ricorso di Calvo e il primo motivo del ricorso di Cappelluti possono essere trattati congiuntamente e risultano infondati.

1.1. Il reato di favoreggiamento personale è un reato a forma libera, integrato da qualunque condotta, attiva o omissiva, che provochi una negativa alterazione del contesto fattuale, frapponendo un ostacolo, anche se limitato o temporaneo, allo svolgimento delle indagini, all’interno del quale le investigazioni e le ricerche sono già in corso o si potrebbero iniziare; non è necessaria la dimostrazione dell’effettivo vantaggio conseguito dal soggetto favorito, occorrendo solo la prova della oggettiva idoneità della condotta favoreggiatrice a intralciare il corso della giustizia e che l’agente si sia rappresentato la portata del proprio agire e abbia effettivamente voluto apportare, con la propria condotta, siffatti aiuti (Sez. 6, n. 43548 del 15/05/2019, Alvaro, Rv. 277202; Sez. 6, n. 9415 del 16/02/2016, Sorrentino, Rv. 267276; Sez. 6, n. 24535 del 10/04/2015, Mogliani, Rv. 264125).

1.2. Nel caso in esame nella imputazione si contesta a Calvo di avere dichiarato falsamente di avere assistito il 19/10/2012, in un bar di Cologno Monzese, a uno scontro fisico (che risulta avvenuto fra le 0,45 e l’1,00) fra Capuzzo e altro soggetto che infierì su Capuzzo colpendolo a viso e a Cappelluti di avere analogamente dichiarato di essere stato presente, assieme a Calvo e Mattia Casanova, allo scontro in occasione del quale l’antagonista di Capuzzo colpì questi al viso munito anche di un tirapugni che gli cadde e che fu raccolto da un amico suo (di tale ragazzo) e comunque fornendo una versione mendace dei fatti volta a scagionare Capuzzo, che accoltellò Pasian Adrian e Dedja, prefigurando una legittima difesa da parte sua.

1.3. La sentenza del Tribunale ha fondato il suo giudizio di inattendibilità degli imputati, particolarmente quanto al possesso di un tirapugni o di altro oggetto idoneo a offendere in modo grave da parte di Pasian, su:

a) alcune divergenze fra le dichiarazioni dei coimputati;

b) sul loro risultare uniformi solo in relazione alla tesi della legittima difesa ma imprecise circa la ricostruzione delle condotte di Capuzzo e di Calvo;

c) sul loro contrasto con le dichiarazioni delle persone offese, da ritenersi attendibili perché fra loro convergenti e compatibili con le loro ferite accertate dai consulenti tecnici (p. 8 della sentenza di primo grado);

d) sul fatto che la persona offesa Dejda ha affermato che Cappellutí sopraggiunse sul luogo quando già lo scontro era terminato; e) sul contenuto dei tabulati telefonici relativi alle utenze in uso agli imputati la sera dei fatti, dai quali risulta che il cellulare di Calvo non agganciò celle in Cologno Monzese, per cui non si trovò presso il bar al momento della colluttazione; f) il cellulare di Cappelluti agganciò diverse celle ma in Brugherio, ebbe contatti telefonici e ricevette alle 1,11 una telefonata da Capuzzo e poi agganciò una cella in Cologno Monzese, a conferma della dichiarazione di Dejda secondo cui Cappelluti giunse sui luoghi quando la colluttazione era cessata (pp. 9-10 della sentenza di primo grado).

1.4. La Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado rispondendo alle deduzioni degli appellanti. In particolare: alle deduzioni difensive di Calvo, secondo cui il suo telefono cellulare aveva agganciato la cella di via Manin a Sesto San Giovanni al confine tra Sesto e Cologno Monzese, per cui non sarebbe smentito ch’egli assistette ai fatti, la Corte ha replicato che, in realtà via Manín non sta al confine tra i Comuni di Cologno Monzese e Sesto san Giovanni, come risulta dall’esame delle mappe dei due Comuni; alle deduzioni difensive di Cappelluti ha replicato che il suo cellulare agganciò la cella di Cologno Monzese perché egli si venne a trovare sul luogo ma che falsamente asserì che vi trovassero anche Calvo e Casanova (il cellulare del quale fra le 23,44 e l’1,26 agganciò sempre celle di Brugherio).

1.5. Le deduzioni sviluppate nel ricorso di Calvo si limitano a contestare genericamente la attendibilità dei dati forniti dai tabulati – osservando che può avvenire che una cella più distante può sovrastare il segnale della fonte più vicina se in quel momento trasmette un segnale più potente – e a asserire apoditticamente che la via Manin sta a minima distanza dalla cella di Cologno Monzese, ma non si confrontano in alcun modo con l’insieme delle argomentazioni (richiamate sub 1.3.) che reggono la sentenza di primo grado che la Corte di appello ha confermato espressamente condividendole (p. 7, non numerata, della sentenza impugnata).

1.6. Le deduzioni sviluppate nel ricorso di Cappelluti sono aspecifiche nella parte in cui ribadiscono l’assunto della presenza del ricorrente sul luogo della colluttazione, trascurando che questa circostanza non è esclusa (anzi è affermata) dalla Corte, ma collocata in una fase temporale successiva alla colluttazione (così escludendo che Cappelluti potesse esserne stato testimone).

Quanto alla presenza di un tirapugni (o altro oggetto simile) sul luogo della colluttazione, il ricorrente assume che la circostanza è confermata non solo dalle dichiarazioni di Casanova ma anche da quelle della teste Natalina Maria Caiaffa, e, quanto alla compresenza di più persone sul luogo della colluttazione, dalla teste Maria Iena Tisci e dalle stessa persona offesa Dedja, ma trascura che assumendo la “palese falsità” delle dichiarazioni delle testimoni Tisci e Caiaffa, il Tribunale ha trasmesso gli atti al Pubblico ministero, mentre Casanova è stato per le sue dichiarazioni condannato per il reato per il quale si procede, e, per quanto riguarda le dichiarazioni di Dedja, deve registrarsi, in senso contrario, che questi ha espressamente affermato che gli imputati “non erano presenti alla cosa (…) Dario non ha visto niente perché è arrivato al momento che era già finito tutto” come considerato nella sentenza di primo grado (p. 7).

1.7. La deduzione difensiva, sviluppata nel ricorso di Cappelluti, secondo cui le dichiarazioni rese dal ricorrente erano inidonee a favorire Capuzzo, perché questi al momento della verbalizzazione si trovava già in stato di arresto, non è, comunque, pertinente: secondo quanto già osservato sub 1.1. per la configurabilità del reato di favoreggiamento ex art. 378 cod. pen. non è necessaria la dimostrazione dell’effettivo vantaggio conseguito dal soggetto favorito, occorrendo solo la prova della oggettiva idoneità della condotta favoreggiatrice a intralciare il corso della giustizia (fra le altre: Sez. 6, n. 3523 del 07/11/2011, dep. 2012, Papa, Rv. 251649) e integra il reato di favoreggiamento personale la condotta di chi, esaminato dalla polizia, neghi la conoscenza di fatti a lui noti, anche se detti fatti risultino da concomitanti fonti informative già in possesso dell’autorità inquirente, poiché la ricerca della verità esige una pluralità di elementi, il cui apporto non può essere rimesso al giudizio del singolo (Sez. 6, n. 13086 del 28/11/2013, dep. 2014, Zuber, Rv. 259497).

2. Il secondo motivo di ricorso di Calvo e il secondo motivo del ricorso di Cappelluti possono essere trattati unitariamente e risultano infondati.

2.1. Deve ribadirsi che nel reato di favoreggiamento ex art. 378 cod. pen. il soggetto che abbia denunciato la condotta di intralcio alle investigazioni dell’autorità non può considerarsi persona offesa e non è legittimato, pertanto, a costituirsi in tale veste nel relativo procedimento penale poiché non è titolare di un diritto soggettivo o di un interesse legittimo al regolare andamento della amministrazione della Giustizia che costituisce il bene protetto dalla norma incriminatrice riferibile in via esclusiva allo Stato (fra le altre; Sez. 5, n. 43207 del 16/09/2008, Abate, Rv. 241731; Sez. F, n. 37812 del 12/08/2003, Ventura, Rv. 228397).

Tuttavia, è legittimato all’esercizio dell’azione civile nel processo penale non solo il soggetto passivo del reato, ma anche chiunque abbia riportato un danno causalmente riferibile alla condotta del soggetto attivo, condizione che ricorre anche quando il reato, pur non avendo determinato direttamente il danno, abbia prodotto uno stato tale di cose che senza di esse il danno non si sarebbe verificato (Sez. 2, n. 31295 del 31/05/2018, La Montagna, Rv. 273698; Sez. 2, n. 4380 del 13/01/2015, Lauro, Rv. 262371; Sez. 1, n. 46084 del 21/10/2014, Galdiero, Rv. 261482), e, ai fini della legittimazione alla costituzione di parte civile per l’esercizio di azione risarcitoria, è sufficiente che il preteso danneggiato prospetti un fatto astrattamente idoneo a cagionare un pregiudizio, giuridicamente apprezzabile, alla sua sfera di interessi, cioè rileva esclusivamente la legitimatio ad causam e non anche la persistenza di un danno tuttora risarcibile, la cui valutazione attiene al merito dell’azione risarcitoria e non alla legittimazione a stare in giudizio. (Sez. 3, n. 18518 del 11/01/2018, Rv. 273647; Sez. 4, n. 40288 del 27/09/2007, Pasqualetti, Rv. 237888).

Per altro verso, la persona danneggiata, pur costituita parte civile, che non sia anche persona offesa non può utilizzare gli strumenti processuali destinati alla tutela esclusiva degli interessi penalistici della persona offesa (Sez. 2, n. 52537 del 03/11/2016, Mussari„ Rv. 268539; Sez. 6, n. 16528 del 21/01/2010, Mazza, Rv. 246997).

Su queste basi, correttamente la Corte afferma che Pasian e Dedja hanno subito un danno direttamente riconducibile alle plurime menzogne degli imputati che con le loro dichiarazioni hanno ricostruito in termini di legittima difesa quella che, invece, è stata una ingiustificata aggressione da parte di Capuzzo e conclude che “il riconoscimento dell’esistenza di un danno in capo a soggetto diverso dal titolare del bene giuridico protetto dalla norma comporta la conferma della statuizione civile del risarcimento del danno disposto nel giudizio di primo grado” (p. 8, non numerata).

2.2. Effettivamente la Corte di appello non ha risposto alle deduzioni sviluppate dalla difesa circa la quantificazione del danno.

Tuttavia, la condanna riguarda una provvisionale e il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, essendo per sua natura insuscettibile di passare in giudicato – perché destinato a essere travolto dalla liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. U, n. 2246 del 19/12/1990, dep. 1991, Rv. 186722; Sez. 6, n. 50746 del 14/10/2014, Rv. 261536) e perché trattasi di decisione discrezionale, meramente delibativa, e non necessariamente motivata (Sez. 3, n. 18663 del 27/01/2015, Rv. 263486).

3. Il terzo motivo del ricorso di Cappelluti è infondato.

La sentenza ha chiarito il criterio di esercizio del suo potere discrezionale circa il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e ne ha confermato il diniego rilevando l’assenza di elementi di valutazione favorevoli e richiamando la valutazione del Tribunale circa la gravità del fatto e l’intensità del dolo, stante anche la concertazione della condotta con altre persone. Ha anche considerato che gli imputati sono pluripregiudicati.

Quanto alla determinazione della pena, ha ripetuto le valutazioni che precedono e ha evidenziato che, anche in dibattimento sono emerse testimonianze sospette (tanto da indurre il Tribunale a trasmettere gli atti al Pubblico ministero) denotanti una concertazione della condotta criminosa.

Per quel che concerne il diniego della concessione della sospensione condizionale della pena solo nei confronti di Cappelluti, deve registrarsi che trova fondamento nel fatto che questi presenta precedenti penali ostativi.

4. Dal rigetto del ricorso deriva, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.