Quando il detenuto “latore di messaggi” risponde di concorso esterno in associazione mafiosa? (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 31 maggio 2024, n. 21879)

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

QUINTA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. MARIA VESSICHELLI – Presidente –

Dott. LUCA PISTORELLI – Consigliere –

Dott. ANGELO CAPUTO – Consigliere –

Dott. PAOLA BORRELLI – Consigliere –

Dott. MATILDE BRANCACCIO – Relatore –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso l’ordinanza del 12/07/2023 del TRIBUNALE DEL RIESAME di PALERMO;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa MATILDE BRANCACCIO;

sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa MARIA FRANCESCA LOY che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore, l’avvocato (omissis) (omissis), che evidenzia la mancanza di motivazione dell’ordinanza impugnata e ne chiede l’annullamento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale del Riesame di Palermo ha confermato l’ordinanza genetica del 14.6.2023, emessa dal GIP dello stesso tribunale, con cui (omissis) (omissis) (omissis) è stato sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, in relazione alla contestazione di concorso esterno nell’associazione mafiosa inscritta in Cosa Nostra, articolazione territoriale corrispondente al mandamento cittadino di (omissis), famiglia del Villaggio (omissis) (omissis), per aver fornito supporto a (omissis) (omissis), leader dell’articolazione mandamentale mafiosa, detenuto, ed a suo figlio (omissis), veicolando i messaggi dal carcere del primo agli altri sodali mediante la partecipazione a video colloqui pur non essendovi espressamente autorizzato; provvedendo al sostentamento della famiglia del capoclan ed alla cura delle esigenze materiali di questi, detenuto; curandone gli affari quale imprenditore contiguo (in particolare, interessandosi dell’apertura di attività commerciali riferibili al controllo del gruppo criminale), attraverso contatti costanti con altri componenti del gruppo criminale, e garantendo una diffusa ingerenza del potere mafioso del sodalizio di riferimento su molte attività economiche del territorio; contribuendo a consolidare ed incrementare prestigio e influenza del capofamiglia e la capacità operativa del clan nel suo complesso.

Il Riesame ha rigettato i motivi proposti sia in relazione al quadro indiziario che alle esigenze cautelari.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso la difesa dell’indagato, deducendo due diversi motivi.

2.1. Con il primo si denuncia violazione di legge e vizio di carenze di motivazione quanto alla sussistenza di gravi indizi del reato di concorso esterno in associazione mafiosa a carico del ricorrente.

La tesi del ricorrente è che non sia stato specificato né tantomeno provato quale sia stato il suo contributo per il rafforzamento dell’associazione in quanto tale (e non per il solo leader del sodalizio), necessario elemento per configurare la fattispecie.

Non sarebbero idonei elementi indiziari i contenuti dei colloqui con il capoclan (omissis) (omissis), detenuto, dal tenore neutro e riferito a banali esigenze di vita (cibo, giornali), che il ricorrente provvedeva a soddisfare, acquistando e spedendo cibo e altro in carcere. Anche le mail inviate a (omissis) (omissis) non provano alcuna contiguità, limitandosi a riportare saluti di amici e conoscenti.

2.2. Il secondo argomento di censura eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alle esigenze cautelari ed all’opzione cautelare per la custodia in carcere, scelta senza motivare sull’attualità del pericolo di reiterazione del reato – come invece imposto dalla legge – bensì in ragione di una presunzione assoluta di adeguatezza non consentita in relazione al concorrente esterno del delitto di associazione manosa.

2.3. Il ricorrente ha depositato motivi aggiunti con i quali, oltre a reiterare i due motivi di ricorso, aggiungendo argomenti che, quanto alla sussistenza dei gravi indizi del reato contestato, mettono in dubbio la stessa legittimità, nel nostro ordinamento, del concorso esterno nel delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., pongono una terza eccezione, con cui si denuncia la carenza motivazionale dell’ordinanza impugnata riguardo all’esclusione della possibilità di optare per il contenimento delle esigenze cautelari mediante la misura meno afflittiva degli arresti domiciliari con il dispositivo del braccialetto elettronico.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato quanto al primo, assorbente motivo.

2. La giurisprudenza di legittimità ammette che possano rispondere di concorso esterno in associazione mafiosa coloro i quali, estranei all’associazione, offrano il proprio contributo causale e volontario alla realizzazione dei fini del sodalizio criminale, nonché alla sua conservazione e rafforzamento, mediante collaborazione che si estrinseca nella trasmissione di “messaggi” utili al sodalizio, in molti casi provenienti dal leader del sodalizio detenuto, e diretti all’esterno, ad una serie di soggetti, per fini organizzativi interni del clan oppure con finalità specifiche e mirate (Sez. 2, n. 32076 del 28/1/2021, Scola, Rv. 281959; Sez. 5, n. 45840 del 14/6/2018, M., Rv. 274180, in una fattispecie in cui l’imputato, infermiere in servizio presso un istituto penitenziario, svolgeva la funzione di “messaggero”, consentendo di mantenere i collegamenti tra gli associati in libertà e quelli ristretti, facendo entrare nell’istituto oggetti personali destinati ai componenti del sodalizio e partecipando a riunioni ed incontri con esponenti di altre cosche operanti nel medesimo territorio).

Tuttavia, già in altre occasioni si è ribadito che l’attività così prestata per il sodalizio, ai fini della configurabilità del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, deve essere reiterata e non episodica – richiedendosi, invece, un carattere continuativo e fiduciario di “veicolatore abituale di notizie” (Sez„ 5, n. 26306 del 16/3/2018, D’Agostino, Rv. 273336) – o che l’intermediazione nella trasmissione di messaggi scritti tra un affiliato (magari in posizione di vertice detenuto, come nel caso di specie) ed altri associati in libertà si riferisca a messaggi il contenuto dei quali sia stato identificato, per essere attinente a fatti illeciti o altre iniziative criminali, anche indipendentemente dalla circostanza che l’intermediario conosca o meno tale contenuto, purché sia consapevole dell’aiuto illecito che sta apportando, con la finalità di permettere la circolazione delle informazioni e delle direttive provenienti dal carcere (Sez. 2, n. 7872 del 28/1/2020, Pellicanò, Rv. 278425).

Ecco perché si è anche evidenziata la necessità di individuare il soggetto autore del messaggio, l’intermediario e colui che riceve l’informazione, poiché, in assenza di tale ultimo anello della catena di trasmissione, potrebbe non ricorrere una condotta idonea a rafforzare il sodalizio criminoso (cfr. ancora la sentenza n. 7872 del 2020).

Del resto, le Sezioni Unite, con la fondamentale pronuncia Sez. U, n. 33748 del 12/7/2005, Mannino, Rv. 231671), hanno da tempo disegnato il paradigma della responsabilità del concorrente esterno nel delitto associativo mafioso, stabilendo che assume tale ruolo il soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione e privo dell'”affectio societatis“, fornisce un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, sempre che questo esplichi un’effettiva rilevanza causale e, quindi, si configuri come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione (o, per quelle operanti su larga scala come “Cosa nostra”, di un suo particolare settore e ramo di attività o articolazione territoriale) e sia diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima.

E poiché l’efficienza causale in merito alla concreta realizzazione del fatto criminoso collettivo costituisce elemento essenziale e tipizzante della condotta concorsuale, di natura materiale o morale, le Sezioni Unite hanno specificato che non è sufficiente una valutazione “ex ante” del contributo, risolta in termini di mera probabilità di lesione del bene giuridico protetto, ma è necessario un apprezzamento “ex post“, in esito al quale sia dimostrata, alla stregua dei comuni canoni di “certezza processuale”, l’elevata credibilità razionale dell’ipotesi formulata in ordine alla reale efficacia condizionante della condotta atipica del concorrente.

2.1. Se questo è il quadro giurisprudenziale in cui il Collegio si muove, condividendone presupposti e conclusioni, non vi è dubbio che, ai fini di dare soluzione al motivo di ricorso proposto dalla difesa del ricorrente, debba essere apprezzata, da un lato, la completa significanza materiale del contributo fornito dall’indagato e, dall’altro, la sua capacità di porsi quale elemento condizionante, consapevole e volontario, rispetto alla conservazione o al rafforzamento delle capacità operative dell’associazione mafiosa.

Ebbene, nel caso di specie, il Tribunale del Riesame non ha adeguatamente esplorato, anzitutto, il primo dei due citati poli di verifica obbligata, funzionale alla decisione sulla configurabilità del delitto ex artt. 110 e 416-bis cod. pen., ancorché sul piano indiziario proprio della fase cautelare. Si è messa in luce, infatti, la disponibilità personale, continuativa nel tempo, da parte dell’indagato, nei confronti del capo del sodalizio mafioso denominato “Villaggio (omissis) (omissis)”, (omissis) (omissis), giungendo alla conclusione che il ricorrente era divenuto un vero e proprio punto di riferimento per il leader mafioso, con ciò intendendo una sorta di “collaboratore” esterno del gruppo criminale ect.

Tuttavia, la conclusione non poggia su basi fattuali realmente adeguate, poiché i numerosi elementi emersi dalle indagini, sicuramente sintomatici di una cooperazione personale costante di (omissis) con (omissis), non soltanto non bastano a far ritenere che la funzionalizzazione dell’agire del primo fosse quella di contribuire alla conservazione o al rafforzamento delle capacità operative dell’associazione o di un suo ramo essenziale di operatività, ma – a ben guardare – sono anche stati prospettati dal provvedimento impugnato come privi di contenuto in tal senso.

Ed infatti, rimangono senza una tale, necessaria finalizzazione, da parte dei giudici del riesame, le azioni messe in campo dal ricorrente per soddisfare le esigenze di vita, materiali e non, del leader mafioso, all’epoca dei fatti detenuto, e della sua famiglia: la copertura di spese di quotidiana necessità (ad esempio, risulta accertato che era solito procurare riviste al capo-mafia, anche sottoscrivendo e pagando per lui abbonamenti); la partecipazione abusiva ai video colloqui dal carcere con (omissis) (omissis) (grazie ad un uso inspiegato ed illegittimo di tale strumento, novità introdotta dalla normativa emergenziale da Covid-19), ubbidendo alle sue richieste di portare messaggi a svariati soggetti esterni al nucleo familiare; la fitta corrispondenza epistolare con il capo-clan, ancora una volta diretta a portare messaggi di saluto a svariati soggetti (alcuni dei quali coindagati e colpiti dalla medesima ordinanza cautelare).

Si tratta di condotte potenzialmente espressive del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, come si è già messo in luce, soprattutto con riguardo all’attività di latore di messaggi da parte del capo-mafia detenuto ai suoi uomini, in qualsiasi forma (epistolare o diretta, nel corso delle videochiamate).

Ma tale espressività va colorata da parte del giudice di merito – in questo caso, il giudice cautelare – che è tenuto ad evidenziare, su di un piano logico-argomentativo, ed alla luce della giurisprudenza di legittimità richiamata, se e per quali ragioni concrete i messaggi comunicati siano stati effettivamente idonei, per il loro contenuto, a contribuire alla vita dell’associazione mafiosa nell’interesse della quale essi sono stati recapitati.

Nell’ordinanza impugnata, invece, si mette in risalto la mera circostanza dell’aver recapitato detti messaggi, indicati solo come “di saluto”; anzi, in un passaggio argomentativo, si sottolinea esplicitamente che i messaggi scritti nelle lettere recapitate al ricorrente non sono stati ancora decriptati nel loro contenuto, poiché bisognevoli di “approfondimenti investigativi”.

Tale indicazione, posta all’esito dell’esame degli elementi indicativi del contributo esterno concorsuale (cfr. pag. 8 dell’ordinanza impugnata), rappresenta una vera e propria falla motivazionale.

Ed invero, il “saluto” del capo-mafia di per sé, anche quando ricambiato, come accaduto nel caso di specie e risultante dalle missive, può essere sintomatico dell’ostensione e del riconoscimento di un’autorità mafiosa, come hanno evidenziato i giudici palermitani.

Tuttavia, tale dato non è stato sufficientemente esaminato, né collegato, nel provvedimento impugnato, agli altri indicatori rinvenuti nei dati indiziari e va funzionalizzato rispetto alla conservazione o al rafforzamento delle capacità operative dell’associazione mafiosa, oltre che riferito alla volontaria e consapevole condotta del latore dei messaggi dal carcere per conto del capo-clan.

Per come è stato prospettato dall’ordinanza impugnata, anche l’ulteriore elemento costituito dall’avere il ricorrente portato avanti alcuni affari, beneficiando della “protezione mafiosa” quale imprenditore “amico” di (omissis) (omissis) (in particolare, interessandosi dell’apertura di attività commerciali con l’ausilio implicito del potere mafioso, data la nota sua vicinanza a (omissis)), dimostra soltanto che l’indagato ha tratto utilità dalla vicinanza personale con il leader mafioso, ma non attesta la reciprocità dei vantaggi con la cosca, essenziale perché un imprenditore possa definirsi “colluso” e rispondere del reato di concorso esterno nel delitto di associazione mafiosa (cfr., tra le molte, Sez. 6, n. 32384 del 27/3/2019, Putrino, Rv. 276474; Sez. 1, n. 47054 del 16/11/2021, Coppola, Rv. 282455).

D’altro canto, il provvedimento impugnato avrebbe potuto confrontarsi meglio, e non l’ha fatto, con la parte di imputazione relativa proprio alla quota di concorso esterno riferita alla condotta di imprenditore colluso ed alla contestata apertura di attività commerciali sotto il controllo del sodalizio mafioso, che rappresentano comunque temi aperti, da sviluppare eventualmente nel giudizio di rinvio, che – come si dirà di seguito – si impone nel caso di specie.

2.2. Ed infatti, in accoglimento del primo motivo di ricorso, l’ordinanza impugnata deve essere annullata, per difetto di motivazione, con rinvio al Tribunale del Riesame di Palermo per nuovo giudizio.

Nell’esaminare gli elementi di fatto, il giudice del rinvio, alla luce di quanto già sintetizzato, si atterrà ai principi di diritto enunciati e, più specificamente, si evidenzia che, ai fini della configurabilità del concorso esterno in associazione mafiosa, l’attività di latore di messaggi dal carcere nell’interesse del sodalizio mafioso deve essere reiterata e non episodica, nonché riferita a messaggi il contenuto dei quali sia idoneo a porsi quale elemento condizionante, consapevole e volontario, rispetto alla conservazione o al rafforzamento delle capacità operative dell’associazione mafiosa; e ciò anche indipendentemente dalla circostanza che l’intermediario conosca o meno tale contenuto, purché sia consapevole dell’aiuto illecito che sta apportando, con la finalità di permettere la circolazione delle informazioni e delle direttive provenienti dal carcere (e, nella specie, dal leader del sodalizio mafioso detenuto).

3. Il secondo motivo di ricorso e la parte dei motivi aggiunti dedicata alle esigenze cautelari sono assorbiti dall’accoglimento del primo motivo di impugnazione, che apre alla rivalutazione della stessa gravità indiziaria.

3.1. Quanto alle censure contenute nei motivi aggiunti e relative all’ammissibilità, nel nostro sistema ordinamentale, dell’ipotesi di reato di concorso esterno in associazione mafiosa, derivata dalla combinazione degli art. 110 e 416-bis cod. pen., valga solo ricordare che la Corte di cassazione ha da tempo avuto modo di escludere la plausibilità di simili obiezioni, anche esaminandole alla luce di canoni interpretativi costituzionalmente orientati.

Si è affermata, così, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata rispetto a tale combinazione di norme, per asserito contrasto con gli artt. 25, comma secondo, e 117 della Costituzione, quest’ultimo in riferimento all’art. 7 della Convenzione EDU, e violazione del principio di legalità, nella parte in cui le due disposizioni di legge ordinarie attribuiscono rilevanza penale alla fattispecie di “concorso esterno” in associazioni di tipo mafioso, poiché quest’ultima non costituisce un istituto di creazione giurisprudenziale, bensì conseguenza della generale funzione incriminatrice dell’art. 110 cod. pen., e la sua configurabilità trova una conferma testuale nella disposizione di cui all’art. 418, comma primo, cod. pen. (Sez. 2, n. 18132 del 13/4/2016, Trematerra, Rv. 266908; Sez. 2, n. 34147 del 30/4/2015, Agostino, Rv. 264624; Sez. 5, n. 2653 del 13/10/2015, dep. 2016, Paron, Rv. 265926).

P. Q. M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Palermo competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, del c.p.p.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, co. 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso il 14 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2024. 

SENTENZA – copia non ufficiale -.