Rapina aggravata in concorso. La ricorrente afferma che l’auto gli è stata rubata quando in realtà l’aveva prestata ai rapinatori (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 5 marzo 2021, n. 9108).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente –

Dott. MESSINI D’AGOSTINO Piero – Rel. Consigliere –

Dott. DE SANTIS Anna Maria – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. COSCIONI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Salvatrice nata il 06/10/19xx a (OMISSIS) (OMISSIS);

avverso la sentenza del 09/04/2019 della CORTE DI APPELLO DI MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Piero MESSINI D’AGOSTINI;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Stefano TOCCI, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

lette le conclusioni del difensore avv. Gabriella (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 9/4/2019 la Corte di appello di Milano confermava, in punto di responsabilità, la decisione di primo grado con la quale Salvatrice (OMISSIS) era stata condannata per il reato di rapina aggravata in concorso; in parziale riforma della sentenza del Tribunale, la Corte territoriale, esclusa la sussistenza di due aggravanti e riconosciute le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla residua aggravante, rideterminava la pena inflitta all’imputata in due anni e quattro mesi di reclusione e 500,00 euro di multa.

2. Ha proposto ricorso Salvatrice (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza per violazione della legge penale e mancanza o manifesta illogicità della motivazione.

2.1. Sotto il primo profilo, la Corte territoriale ha affermato la responsabilità concorsuale dell’imputata sull’errato presupposto dell’avvenuta dimostrazione dell’ospitalità dalla stessa fornita agli autori materiali della rapina.

Quanto a Venerando (OMISSIS), la stessa sentenza impugnata afferma che l’ospitalità gli sarebbe stata data non dalla ricorrente bensì da un cugino della stessa; alla luce delle risultanze dei tabulati telefonici, poi, Maurizio (OMISSIS) ben poteva avere trovato rifugio presso l’abitazione della sorella, come riferito in un’annotazione di polizia giudiziaria della Questura di Catania.

L’unica condotta della quale l’imputata si è resa responsabile è quella di favoreggiamento personale, avendo omesso di riferire ai Carabinieri, una volta interrogata, di avere consegnato la propria autovettura anche al cugino Maurizio (OMISSIS), favorendone così la fuga.

2.2. In ordine al vizio motivazionale, la sentenza impugnata, sempre in punto di responsabilità, ha operato un “travisamento del fatto” sulla circostanza della ospitalità fornita dalla ricorrente al cugino, contrastante con la citata annotazione e con i dati dei tabulati, indicativi di un’assidua frequentazione da parte di Maurizio (OMISSIS) dell’abitazione della sorella Carmela.

I documenti prodotti, inoltre, smentiscono quanto sostenuto dalla Corte territoriale circa il fatto che quest’ultima verosimilmente ignorasse la presenza del satellitare a bordo del proprio veicolo, messo a disposizione degli autori materiali della rapina, peraltro con all’interno documenti indicativi della proprietà del veicolo.

La sentenza è contraddittoria laddove attribuisce alla ricorrente una spiccata capacità organizzativa, in relazione alla detenzione dei cellulari degli esecutori materiali, dopo avere evidenziato la “scarsa organizzazione dei soggetti agenti”, ed è “contraddittoria e confliggente con la documentazione probatoria confluita in atti” quanto alla falsa accusa che l’imputata avrebbe rivolto ad Antonio (OMISSIS), intestatario dell’autovettura utilizzata per la rapina, le cui dichiarazioni non sono state ritenute convincenti dalla polizia giudiziaria.

Con motivazione illogica e contraddittoria, infine, la Corte di appello non ha riconosciuto l’attenuante prevista dall’art. 114 cod. pen. ed ha confermato la sussistenza dell’aggravante ex art. 628, terzo comma n. 1, cod. pen., esclusa invece nel processo celebratosi nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS).

2.3. Con tempestiva memoria la difesa ha insistito nell’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi generici, non consentiti o manifestamente infondati, in larga parte reiterativi di doglianze già disattese dalla Corte di appello con adeguata motivazione.

2. In punto di responsabilità, la difesa ha nella sostanza proposto doglianze di puro fatto, in quanto tese a sollecitare una rivalutazione del compendio probatorio in un senso stimato più plausibile; tuttavia, è preclusa alla Corte di cassazione «la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova» (così Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217; in senso conforme, ex plurimis, v. Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, dep. 2019, Battaglia, Rv. 275100, in motivazione; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482; da ultimo cfr. Sez. 2, n. 34207 del 25/11/2020, Fago, non mass.).

La ricorrente, pur avendo formalmente espresso censure riconducibili alle categorie del vizio di motivazione, in realtà non lamenta una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica ma una decisione erronea, in quanto fondata su una valutazione asseritamente sbagliata del materiale probatorio.

Va anche preliminarmente ribadito che il travisamento della prova (e non del fatto, impropriamente evocato nel ricorso) – introdotto quale ulteriore criterio di giudizio della contraddittorietà estrinseca della motivazione dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, che ha esteso l’ambito della deducibilità del vizio di motivazione anche ad «altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame» – non costituisce il mezzo per valutare nel merito la prova, bensì lo strumento per saggiare la tenuta della motivazione alla luce della sua coerenza logica con i fatti sulla base dei quali si fonda il ragionamento.

Detto vizio può avere rilievo solo quando «l’errore sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio».

Pertanto, la presenza di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nel provvedimento impugnato, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227; Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, Perna, Rv. 267723; Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, Giarri, Rv. 253445; da ultimo cfr. Sez. 6, n. 4781 del 26/01/2021, Lunari, non mass.).

Ai fini della configurabilità del vizio del travisamento della prova, è altresì necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto; va escluso, pertanto, che integri il suddetto difetto un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. U, n. 33583 del 26/03/2015, Lo Presti, Rv., 264481, in motivazione; Sez. 1, n. 51171 del 11/06/2018, Piccirillo, Rv. 274478; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colomberotto, Rv. 271702; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087; da ultimo v. Sez. 2, n. 34052 del 24/11/2020, Beca, non mass.).

3. Alla luce di questi principi, sono prive di ogni fondamento le censure in tema di responsabilità, con le quali la difesa ha fatto anche riferimento ad atti e documenti genericamente richiamati, del tutto inidonei a scardinare l’impianto motivazionale delle due sentenze di merito, negli aspetti centrali, in larga parte obliterati nel ricorso.

Nella ricostruzione del fatto risulta del tutto pacifica l’assidua frequentazione, nei giorni precedenti alla rapina, fra la ricorrente ed il cugino Maurizio (OMISSIS) (indipendentemente dal fatto che costui dormisse a casa della donna) e soprattutto fra la stessa (OMISSIS) e (OMISSIS), ospitato presso altro cugino dell’imputata.

La sentenza di primo grado, richiamata da quella impugnata, ha ampiamente evidenziato (pagg. 17-26) le molteplici menzogne riferite dalla ricorrente nel corso del proprio esame dibattimentale, con dichiarazioni prive di ogni riscontro ed in larga parte smentite da risultanze di segno opposto, in relazione alla pretesa inconsapevolezza in capo alla stessa dell’utilizzo che (OMISSIS) ed il cugino avrebbero fatto della propria autovettura.

Persino la madre dell’imputata – ha osservato la Corte – ha sconfessato la figlia laddove quest’ultima ha affermato che era sua abitudine prestare il veicolo a chi ne avesse necessità.

Peraltro, intercettato in carcere, lo stesso (OMISSIS) disse al fratello di avere falsamente dichiarato di avere rubato l’autovettura, prestatagli invece dalla (OMISSIS), per non coinvolgere quest’ultima nella rapina.

Con fondamento, poi il giudice di appello ha attribuito rilievo decisivo ad una circostanza sulla quale la motivazione del primo giudice è stata particolarmente ampia e puntuale (pagg. 10-12), relativa alla detenzione, da parte della (OMISSIS), durante lo svolgimento della rapina, dei telefoni di entrambi gli esecutori materiali “per impedire che da tali strumenti fosse possibile ricavare spostamenti o identità dei complici” (pag. 4 della sentenza impugnata).

La difesa ha sostenuto che tale “spiccata capacità criminale organizzativa” (invero trattasi di una normale precauzione, di regola usata dagli autori di un fatto delittuoso) sarebbe incompatibile con l’assenza di una comune versione dei fatti, concordata fra (OMISSIS) e la (OMISSIS), la quale ammise subito di avergli prestato la propria autovettura.

Sul punto è tutt’altro che illogico il rilievo della Corte territoriale secondo cui l’imputata coltivava la legittima aspettativa che il proprio veicolo, dopo la rapina, non fosse individuato, cosicché risulta irrilevante anche la circostanza della presenza del satellitare.

Del resto, il mezzo della (OMISSIS) fu identificato solo perché la persona offesa riuscì a leggere la targa ed a memorizzarla (pag. 5 della sentenza di primo grado).

La Corte di appello, poi, aderendo alle argomentazioni del Tribunale, ha anche ribadito come il diretto coinvolgimento dell’imputata nella rapina sia stato confermato dalla manifestata esigenza di allontanare da sé i sospetti, sostanziatasi anche nella formulazione in dibattimento di accuse del tutto false nei confronti di Antonio e Giuseppe (OMISSIS), proprietari dell’officina presso la quale (OMISSIS) si recò dopo la rapina.

La falsità di dette accuse è stata desunta dai giudici di merito da una serie di elementi specificamente esaminati dal Tribunale, fra i quali spicca il contenuto della conversazione telefonica intercettata fra l’imputato e Giuseppe Malta, riportata nella sentenza di primo grado (pagg. 23-25).

4. Prive di pregio sono le altre due doglianze della ricorrente.

Con adeguata motivazione la Corte di appello, in ragione dell’apporto fornito dall’imputata, non ha riconosciuto la circostanza attenuante prevista dall’art. 114 cod. pen., configurabile non già quando l’apporto del concorrente non sia stato determinante od abbia avuto una minore rilevanza causale rispetto alla partecipazione degli altri concorrenti, bensì soltanto quando esso abbia assunto una importanza obiettivamente minima e marginale ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso (Sez. 4, n. 49364 del 19/07/2018, P., Rv. 274037; Sez. 3, n. 9844 del 17/11/2015, Barbato, Rv. 266461; Sez. 3, n. 34985 del 16/07/2015, Caradonna, Rv. 264455; Sez. 1, n. 26031 del 09/05/2013, Di Domenico, Rv. 256035; da ultimo v. Sez. 2, n. 30895 del 30/09/2020, Pellegrino, non mass.).

La sentenza impugnata ha ritenuto di escludere le circostanze aggravanti dell’uso dell’arma e del travisamento, in conformità a quanto deciso dal G.i.p. nel processo celebratosi con rito abbreviato nei confronti dei coimputati.

Con incensurabile motivazione la Corte di merito, indipendentemente dalla statuizione emessa nell’altro processo, ha invece confermato la sussistenza dell’aggravante oggettiva del fatto commesso con minaccia o violenza di più persone (almeno due), peraltro ritenuta subvalente rispetto alle attenuanti generiche e quindi priva di alcun effetto concreto.

5. Alla inammissibilità dell’impugnazione, segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro duemila, così equitativamente fissata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.