Rapina al furgone portavalori: il rapinatore deve tener conto anche della reazione delle Guardie Giurate (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 20 febbraio 2020, n. 6741).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

ZUNCHEDDU MASSIMILIANO nato il xx/xx/xxxx a MILANO;

avverso la sentenza del 12/04/2019 della CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Piero MESSINI D’AGOSTINI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Renato FINOCCHI GHERSI, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore dell’imputato avv. Beatrice (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 12/4/2019 la Corte di appello di Bologna confermava la decisione con la quale il Tribunale di Piacenza aveva dichiarato Massimiliano Zuncheddu colpevole dei reati di rapina aggravata in danno di un furgone portavalori, ricettazione di una targa, detenzione e porto illegali di due armi, tentato omicidio di una guardia giurata (commessi in concorso con altri soggetti separatamente giudicati) e lo aveva condannato alla pena principale di dodici anni di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore delle parti civili.

2. Ha proposto ricorso Massimiliano Zuncheddu, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza per i seguenti motivi.

2.1. Manifesta illogicità e contraddittorietà intrinseca della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato, con particolare riferimento ai dati tecnici che assisterebbero la sua condotta di coordinatore delle comunicazioni tra gli esecutori materiali della rapina, e travisamento della prova, in relazione alle deposizioni dei testi di P.G. Zangardi e Furi.

Premesso che Zuncheddu è stato ritenuto responsabile della rapina (e conseguentemente di tutti gli altri reati) per avere partecipato alla stessa quale “organizzatore” del delitto, da altri materialmente commesso, la difesa evidenzia che i due autori materiali Orazio Musicò e Luciano Domenico Caminneci, tossicodipendenti rei confessi, mai hanno chiamato in correità il ricorrente, che pure frequentavano, come da quest’ultimo ammesso già nel corso dell’interrogatorio di garanzia.

Il convincimento della esistenza di un collegamento fra Zuncheddu e i due autori materiali della rapina è stato dedotto dalla Corte, in primo luogo, dal coordinamento dei correi ad opera dell’imputato, il quale con l’utenza a sé intestata, nei giorni precedenti la rapina, avrebbe “triangolato” le chiamate dei complici, per evitare che questi ultimi si sentissero direttamente.

La difesa, però, aveva osservato con l’appello che il teste Zangardi, in forza alla Polizia Stradale, aveva riferito di una conversazione telefonica avuta da Musicò proprio il giorno della rapina, della quale non vi era traccia nei tabulati telefonici acquisiti, riguardanti tutte le utenze rilevanti.

La Corte sul punto ha risposto travisando l’affermazione del teste (come se lo stesso avesse riferito che la chiamata non risultava nel tabulato relativo alla utenza del solo Zuncheddu) e poi, in modo contraddittorio, ritenendo irrilevante la possibilità che Musicò disponesse di un’altra utenza sconosciuta agli inquirenti.

Detta circostanza, invece, fa venir meno la certezza della premessa sulla quale si fondava il ragionamento deduttivo (non esistono comunicazioni dirette tra i due esecutori della rapina) e conseguentemente la relativa deduzione (i due esecutori potevano comunicare solo tramite Zuncheddu).

2.2. Manifesta illogicità e contraddittorietà intrinseca della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputato, con particolare riferimento agli elementi che dimostrerebbero l’esecuzione di sopralluoghi preparatori ad opera di Zuncheddu nei giorni 6 e 15 aprile 2016, prossimi a quello della rapina, consumata il 22 aprile 2016.

Sul medesimo punto la difesa deduce travisamento della prova costituita dai dati tecnici che localizzano il cellulare di Zuncheddu in una determinata area nei giorni dei presunti sopralluoghi e contraddittorietà intrinseca della motivazione rispetto alla consueta frequentazione da parte di Zuncheddu del ristorante di sua proprietà situato nella medesima area.

I giudici di merito, pur esprimendo un giudizio di mera compatibilità fra la presenza di Zuncheddu nell’area di passaggio del furgone, in assenza della prova di un contatto visivo fra l’imputato ed il mezzo, hanno comunque ritenuto che fosse dimostrata la condotta di pedinamento o sopralluogo.

La sentenza impugnata, poi, riconduce la presenza del ricorrente in quei luoghi, non altrimenti giustificata, con l’esigenza di pianificare la rapina, quando poi riconosce che in quella zona – e precisamente in Senna Lodigiana – si trovava il ristorante che egli abitualmente frequentava.

2.3. Violazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione laddove la sentenza ha escluso l’ipotesi del concorso anomalo di Zuncheddu nel reato di tentato omicidio, disattendendo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.

La Corte dapprima tratteggia la condotta violenta degli autori materiali come un comportamento irrazionale ed imprevedibile ex ante, ma poi ribalta la tesi ricostruttiva, definendo come probabile l’uso delle armi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi manifestamente infondati.

2. Con i primi due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, la difesa ha denunciato un travisamento della prova in ordine alle due circostanze sopraindicate, che invero non risulta sussistente.

2.1. Quanto al primo punto, nel ricorso sono riportate due sole domande rivolte al testimone Furi, da cui si dovrebbe dedurre che Musicò, il giorno della rapina, effettuò una chiamata ad un interlocutore diverso da Zuncheddu con una utenza telefonica “sfuggita all’attenzione degli inquirenti”, della quale, quindi, non sarebbero stati acquisiti i tabulati.

Invero, la risposta del teste ben si potrebbe prestare ad una diversa lettura (non fu individuata l’utenza del destinatario di quella telefonata, perché non controllata), in ragione del fatto che – nella ricostruzione della Corte territoriale, che richiama una specifica testimonianza – “Musicò e Caminneci nei giorni precedenti alla rapina non ebbero contatti telefonici tra loro, allorché viceversa (deposizione teste Oddonin) risultano frenetici contatti telefonici dell’appellante con ciascuno dei due esecutori materiali della rapina” (pag. 9).

Il ricorrente ha omesso di allegare i verbali delle suddette deposizioni.

Va ribadito che è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o & legazione, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 2, n. 13697 del 11/03/2016, Zhou, Rv. 266444, in motivazione; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregannotti, Rv. 265053; Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale, Rv. 256723; da ultimo v. Sez. 2, n. 51193 del 13/11/2019, Pellegrino, n.m.).

Avuto specifico riguardo al travisamento della prova, si è recentemente affermato che «l’esame del vizio presuppone necessariamente che l’atto processuale che la incorpora sia allegato al ricorso (o ne sia integralmente trascritto il contenuto) e possa scardinare la logica del provvedimento creando una insanabile frattura tra il giudizio e le sue basi fattuali» (Sez. 3, n. 38431 del 31/01/2018, Ndoja, Rv. 273911).

Da ultimo la Suprema Corte ha precisato che anche a seguito della entrata in vigore dell’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., introdotto dall’art. 7, comma 1, del decreto legislativo 6 febbraio 2018, n. 11, trova applicazione il principio di autosufficienza del ricorso, che si traduce nell’onere di puntuale indicazione, da parte del ricorrente, degli atti che si assumono travisati e dei quali si ritiene necessaria l’allegazione, materialmente devoluta alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (Sez. 2, n. 35164 del 08/05/2019, Rv. 276432).

2.2. In ordine al secondo profilo, il ricorrente valorizza un riferimento alla circostanza del ristorante frequentato a Senna Lodigiana da Zucheddu, che la sentenza impugnata riporta (a pag. 13) nel richiamare una deduzione della difesa, già in precedenza sintetizzata negli identici termini nella esposizione dei motivi di appello (pag. 5), deduzione che non viene affatto recepita, tant’è che subito dopo la Corte, aderendo all’argomentazione svolta sul punto dal Tribunale (riportata a pag. 2), ribadisce come un dato di fatto dimostrato “che l’appellante in data 6 e 15 aprile, dunque pochi giorni prima della esecuzione della rapina, si trovasse in località con le quali egli non ha rapporto alcuno, nel difetto di giustificazione alcuna”.

Il ricorrente sul punto ha fatto riferimento ad una “consueta frequentazione da parte di Zuncheddu del ristorante di sua proprietà situato nella medesima area”, evocandolo come “un dato probatorio acquisito ed indiscusso”, in assenza persino della indicazione della fonte di prova che la Corte di appello avrebbe obliterato.

3. In ogni caso, ai fini della configurabilità del vizio del travisamento della prova, è necessario che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto; va escluso, pertanto, che integri il suddetto difetto un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Grancini, Rv. 272406; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, Colonnberotto, Rv. 271702; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013, Maggio, Rv. 255087; da ultimo v. Sez. 2, n. 10988 del 28/02/2019, Ventinniglia, n.m.).

Detto vizio, inoltre, può avere rilievo solo quando «l’errore sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio».

Pertanto, la presenza di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nel provvedimento impugnato, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227; Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, Perna, Rv. 267723; Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, Giarri, Rv. 253445).

Nel caso di specie – trattasi di una valutazione decisiva – il nucleo centrale della decisione impugnata non sarebbe stato comunque demolito anche laddove le due censure del ricorrente fossero state supportate da corrette argomentazioni: pur seguendo la prospettazione della difesa, infatti, sarebbero rimasti quali dati incontroversi i numerosissimi contatti telefonici fra il ricorrente ed i due complici nei giorni precedenti la rapina e la sua presenza, nel medesimo contesto temporale, in luoghi interessati dal passaggio del furgone portavalori.

Trattasi di due dati indiziari la cui gravità e precisione, nel caso fossero state fondate le doglianze della difesa, sarebbe stata inferiore rispetto a quella attribuita nella sentenza impugnata, ma comunque significativa ad esito di una esame complessivo del quadro indiziario delineato con estrema chiarezza e logiche argomentazioni dalla Corte di appello, che ha correttamente richiamato ed applicato il noto principio, affermato già in una risalente pronunzia delle Sezioni unite (Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231678), in tema di prova indiziaria: la valutazione della stessa si svolge in due fasi, consistenti, la prima, nell’esame dei singoli elementi indiziari per apprezzarne la certezza e l’intrinseca valenza indicativa e, la seconda, nell’esame globale di quegli elementi ritenuti certi per verificare se la relativa ambiguità di alcuno di essi, isolatamente considerato, possa risolversi in una visione unitaria, tale da consentire comunque l’attribuzione del fatto illecito all’autore al di là di ogni ragionevole dubbio; ciò deve avvenire con un alto grado di credibilità razionale, che sussiste anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturaie delle cose e della normale razionalità umana (Sez. 4, n. 22790 del 13/04/2018, Mazzeo, Rv. 272995; Sez. 1, n. 1790 del 30/11/2017, dep. 2018, Mangafic, Rv. 272056; Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, n. 20461, Graziadei, Rv. 266131; Sez. 1, n. 39125 del 22/09/2015, Filippone, Rv. 264780; Sez. 2, n. 2548 del 19/12/2014, dep. 2015, Segura, Rv. 262280).

La Corte territoriale ha esaminato singolarmente i fatti noti accertati, prima di valutarli nel loro complesso, evidenziando la gravità e precisione di altri indizi, che la difesa aveva in parte contestato con l’appello, ma che con il ricorso ha del tutto obliterato, come se gli stessi non fossero stati indicati.

La sentenza impugnata, con precise argomentazioni, ha valorizzato questi dati certi, desunti dalle prove assunte in dibattimento, specificamente indicate (pagg. 7-9):

nel vano sotto il sellino del ciclomotore di provenienza furtiva, utilizzato dagli esecutori per giungere sul luogo della rapina, fu rinvenuto un sacchetto contenente anche una carta utilizzata tre settimane prima da Zuncheddu per ricaricare la sua utenza mobile;

in un cassonetto in prossimità del luogo della rapina, subito dopo, vennero trovate le armi impiegate e gli indumenti indossati dagli autori materiali, tra i quali un paio di guanti recanti tracce di DNA di Musicò e di Zuncheddu;

il giorno della rapina, poco prima della consumazione del delitto, il veicolo del ricorrente uscì dal casello di Piacenza Ovest e successivamente un veicolo del tutto somigliante, munito di particolari cerchioni a stella, con a bordo un passeggero molto somigliante a Caminneci, fu ripreso dalle telecamere in località San Nicolò, lungo un percorso diretto verso il centro commerciale ove poi si sarebbero svolti i fatti delittuosi;

nelle settimane seguenti Zuncheddu ebbe varie conversazioni telefoniche con i familiari di Musicò, che si trovava in carcere, ragionevolmente espressive di una perdurante comunanza di interessi.

La motivazione della decisione, pertanto, si sottrae alle censure svolte dal ricorrente.

4. E’ manifestamente infondato anche il motivo sul concorso anomalo, con cui pure è stata richiamata la costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la responsabilità del compartecipe ex art. 116 cod. pen., in luogo di quella tipica concorsuale ex art. 110 cod. pen., può essere configurata solo quando l’evento diverso non sia stato voluto e, dunque, a condizione che non sia stato considerato come possibile conseguenza ulteriore o diversa della condotta criminosa concordata (ex plurimis v. Sez. 2, n. 29641 del 30/05/2019, Rhimi, Rv. 276734; Sez. 2, n. 49443 del 03/10/2018, Jamarishvili, Rv. 274467; Sez. 1, n. 11595 del 15/12/2015, Cinquepalmi, Rv. 266647; Sez. 2, n. 48330 del 26/11/2015, Lia, Rv. 265479; Sez. 5, n. 44359 del 18/03/2015, Sisti, Rv. 265728; Sez. 2, n. 49486 del 14/11/2014, Cancelli, Rv. 261003).

Il ricorrente, però, ha obliterato il principio coerentemente affermato da questa Corte con numerose decisioni, anche a Sezioni unite, secondo il quale la partecipazione all’accordo per commettere una rapina utilizzando un’arma da fuoco comporta la responsabilità, a titolo di concorso ordinario e non anomalo, anche per l’omicidio od il tentato omicidio commesso nel corso della sua esecuzione dal complice che ha in concreto cagionato la morte del rapinato (Sez. U, n. 337 del 18/12/2008, dep. 2009, Antonucci, Rv. 241574; Sez. 1, n. 12750 del 27/02/2019, Tarantino, Rv. 276175; Sez. 5, n. 36135 del 26/05/2011, S., Rv. 250936; Sez. 6, n. 18489 del 13/01/2010, Rubino, Rv. 246914; Sez. 2, n. 20885 del 13/05/2009, Moscato, Rv. 244808).

A detto principio si è attenuta la Corte territoriale, evidenziando logicamente come l’utilizzo delle armi nei confronti delle guardie giurate, in una rapina ad un furgone portavalori, sia un evento probabile (e comunque oggetto del dolo, quantomeno eventuale, del concorrente) “in ipotesi di reazione delle guardie stesse ovvero di ostacoli di qualsivoglia provenienza frapposti alla fuga”.

Non sussiste il vizio motivazionale denunciato nel ricorso, in quanto il precedente riferimento al “comportamento ingiustificatamente violento ed assolutamente illogico” posto in essere dai due esecutori materiali, i quali, verosimilmente sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, persero lucidità, si spiega con la circostanza che gli stessi spararono alla guardia giurata appena la stessa si avvicinò al furgone per riporre il sacco contenente il denaro.

Le condizioni soggettive dei due complici, ben note a Zancheddu, rafforzano ulteriormente la valutazione dei giudici di merito in ordine al fatto che il tentato omicidio rientrò in uno sviluppo dinamico talmente prevedibile da escludere radicalmente che l’evento più grave potesse considerarsi non voluto dall’imputato, neppure sotto il profilo del dolo indiretto, alternativo od eventuale.

5. Alla inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro duemila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 30 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.