Ruba una bottiglia di whisky al supermercato e aggredisce un addetto alla sicurezza: il reato non esclude il beneficio della sospensione condizionale (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 23 febbraio 2022, n. 6547).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGO Geppino – Presidente –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

Dott. PERROTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CIANFROCCA Pierluigi – Rel. Consigliere –

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sull’impugnazione proposta nell’interesse di

El (OMISSIS) Brahim, nato in Marocco il 3.8.19xx;

contro la sentenza della Corte di Appello di Firenze del 29.10.2020;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Pierluigi Cianfrocca;

udito il PG, in persona del sost. proc. gen. dr. Domenico Seccia, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza con cui il GUP di Prato aveva riconosciuto El (OMISSIS) Brahim responsabile del delitto di rapina pluriaggravata in concorso (con altro giovane non identificato) e, esclusa la aggravante dell’avere agito in più persone riunite, ritenuta invece la attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. ed applicata altresì la diminuente per la scelta del rito, lo aveva condannato alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione ed Euro 300 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare in carcere;

2. ricorre per cassazione il difensore dell’El (OMISSIS) lamentando:

2.1 violazione di legge per erronea applicazione degli artt. 628 e 56 cod. pen. e vizio di motivazione sul punto: segnala che la Corte di Appello ha ingiustamente disatteso la tesi proposta con l’atto di appello dove era stato chiesto di derubricare il fatto in rapina tentata alla luce della soluzione cui è pervenuta la giurisprudenza per l’ipotesi della sottrazione di beni dagli scaffali di un supermercato avvenuta sotto la diretta e costante sorveglianza del personale addetto reputata maggiormente aderente al principio di offensività e adeguatezza della pena alla concreta gravità della condotta;

2.2 violazione di legge e vizio di motivazione sul diniego delle circostanze attenuanti generiche: richiama la motivazione della Corte di Appello sul motivo di gravame articolato contro la sentenza di primo grado di cui evidenzia i profili di illogicità con particolare riguardo alle condizioni socio economiche del ricorrente; sottolinea, inoltre, come il riconoscimento delle attenuanti generiche avrebbe dovuto rappresentare lo strumento per parametrare la pena alla natura sostanzialmente bagatellare del fatto;

2.3 vizio di motivazione in merito al mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena e violazione di legge con riferimento all’art. 164 cod. pen.: segnala come la difesa avesse invocato il beneficio della sospensione condizionale ed evidenzia la contraddittorietà della motivazione spesa dalla Corte di Appello che, richiamando le irregolari condizioni di vita del ricorrente, non ha tenuto presente questo dato oggettivo ponendosi in contrasto con le considerazioni svolte in punto di determinazione della pena nel minimo edittale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato quanto al motivo sulla sospensione condizionale della pena ed inammissibile per il resto perché articolato, negli altri motivi, su censure manifestamente infondate.

1. L’esame del primo motivo del ricorso impone un sia pur brevissimo cenno al fatto come ricostruito dalle due sentenze di merito dalla cui lettura si ricava che il ricorrente, unitamente ad altro soggetto rimasto non identificato, era stato notato dal personale di sorveglianza del supermercato Coop di Piazza San Marco nell’atto di prelevare una bottiglia di whisky che, dopo aver privato della placca antitaccheggio, aveva occultato sotto la maglia; il ricorrente, dunque, dopo aver pagato altra merce, si era diretto verso l’uscita dove era stato fermato dal personale addetto alla cui richiesta aveva restituito la bottiglia per poi colpire la persona che lo stava controllando tentando quindi di darsi alla fuga vanificata dai CC nel frattempo giunti sul posto.

La Corte di Appello ha disatteso la richiesta difensiva di ricondurre il fatto nella ipotesi del tentativo (di rapina impropria) richiamando, in primo luogo, l’insegnamento delle SS.UU. del 2012 “Reina” che, dirimendo un risalente contrasto, hanno ribadito la configurabilità del tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità (cfr., Cass. SS.UU., 19.4.2012 n. 34.952, Reina; cfr., anche, Cass. Pen., 2, 16.4.2015 n. 17.827, Trotta ed altro, in cui la Corte ha giudicato manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale degli artt. 56 e 628, comma secondo, cod. pen. per violazione degli artt. 3 e 25 Cost., in relazione alla configurabilità della fattispecie di tentata rapina impropria, siccome in contrasto con il principio di legalità e il divieto di analogia, in quanto il delitto di rapina ha carattere plurioffensivo e natura complessa, essendo integrato da una condotta di sottrazione e impossessamento tipica del furto, cui si aggiunge l’elemento della violenza alla persona o della minaccia; cfr., ancora, sul tentativo di rapina impropria, più recentemente, Cass. Pen., 2, 15.10.2020 n. 5.271, Avino; Cass. Pen., 2, 22.12.2020 n. 4.850, Mujkik; Cass. Pen, 2, 1.10.2020 n. 4.637, Baffoun; Cass. Pen., 2, 3.12.2020 n. 788, Reifonas).

Tanto premesso, ha dunque correttamente applicato i principi ribaditi da questa Corte secondo cui, ai fini della configurazione della rapina impropria consumata è sufficiente che l’agente, dopo aver realizzato la sottrazione della cosa mobile altrui, adoperi violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della “res”, mentre non è necessario che ne consegua l’impossessamento, che non rappresenta l’evento del reato ma un elemento che attiene invece al dolo specifico (cfr., Cass. Pen., 2, 22.2.2017 n. 11.135, Tagaswill; Cass. Pen., 2, 19.5.2015 n. 22.908, PG in proc. Gavezzoli; conf., anche, Cass. Pen., 2, 22.2.2017 n. 11.136, Karazishvili, secondo cui l’impossessamento della “res” non rappresenta un elemento materiale della fattispecie criminosa, ma è delineato dalla norma incriminatrice del reato di rapina impropria soltanto quale scopo e fine della condotta in alternativa a quello consistente nel procurare a sé o ad altri l’impunità sicché, ai fini della consumazione del reato, non è necessario che l’agente consegua effettivamente l’impossessamento della “res” ma è sufficiente che egli abbia usato la violenza o la minaccia al fine di conseguirlo).

In altri termini, se vi è stata la sottrazione della cosa mobile altrui, l’aver adoperato violenza o minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso della res, integra la fattispecie della rapina impropria consumata, e non quella della rapina impropria tentata, quand’anche l’impossessamento non si sia verificato e realizzato.

Alla luce di quanto sopra, non par dubbio che la ricostruzione operata dai giudici di merito ha consentito, correttamente, di ricondurre il fatto nella rapina impropria consumata atteso che l’intervento dell’addetto alla vigilanza, teso a recuperare la refurtiva, era avvenuto soltanto dopo che il ricorrente si era appropriato della bottiglia sottraendola dagli scaffali, privandola della placca antitaccheggio ed occultandola sotto la giacca ed aveva reagito soltanto essere passato per le casse omettendo di pagarne il prezzo ed essere stato fermato all’uscita.

Si tratta di un orientamento che, pur tra qualche isolata decisione (cfr., ad esempio, Sez. 3, 7606 del 24.1.2019, Gaeta, non massimata) è stato anche recentemente ribadito con riguardo ad una fattispecie analoga a quella che ci occupa (cfr., Sez. 2 -, Sentenza n. 15584 del 12/02/2021, Bevilacqua Donato, Rv. 281117, in cui la Corte ha ancora una volta confermato il principio sopra richiamato ritenendo immune da censure la condanna per rapina impropria consumata di due soggetti che avevano sottratto altrettanti trapani da un esercizio commerciale, usciti dal quale avevano usato violenza nei confronti degli addetti alla vigilanza, che li avevano tenuti sotto controllo, al fine di assicurarsi la fuga ed il possesso dei trapani).

3.2 II secondo motivo è a sua volta manifestamente infondato avendo la Corte di Appello motivato sulla impossibilità di riconoscere le circostanze attenuanti generiche “in assenza di alcun comportamento processuale suscettibile di positiva valutazione da parte di soggetto già ventinovenne all’epoca dei fatti, senza fissa dimora, privo di lecita occupazione, gravato di precedenti di polizia e identificato mediante una serie di alias” (cfr., in questi termini, la sentenza impugnata).

I giudici del gravame di merito hanno così motivato in maniera non censurabile in questa sede non essendo d’altra parte inutile ribadire che “le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale “concessione” del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena” (cfr., Cass. Pen., 2, 14.3.2017 n. 14.307, Musumeci; Cass. Pen., 2, 5.6.2014 n. 30.228, Vernucci); in definitiva, quindi, “la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio” (cfr., Cass. Pen., 3, 17.11.2015 n. 9.836).

3.3 Come anticipato, è invece fondato il motivo di ricorso concernente il dedotto vizio di motivazione relativo al mancato riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena.

La Corte territoriale ha infatti motivato la sua decisione con “l’indole violenta dimostrata nella fattispecie” oltre che con il riferimento alle “irregolari condizioni di vita” ed alla “… assenza di alcun segno di resipiscenza” (cfr., ivi, la sentenza impugnata).

Esclusa la legittimità del riferimento alla mancata resipiscenza dell’imputato (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 2966 del 16/01/1984, Quondarn Stefano, Rv. 163413, che ha ritenuto non adempiere all’obbligo della motivazione il giudice che neghi all’imputato la concessione della sospensione condizionale della pena esclusivamente in base alla mancata resipiscenza di fronte ai fatti commessi spiegando che essa, invero, può condurre ad una prognosi sfavorevole solo se si accompagni all’intenzione del soggetto di voler persistere nella condotta antigiuridica), va sottolineata la contraddittorietà intrinseca nella motivazione della Corte che da un lato ha richiamato l’indole violenta del ricorrente e, dall’altro, per giustificare la quantificazione della pena nel minimo edittale, ha fatto leva sulla “natura disorganizzata della condotta delittuosa, che denota la sussistenza di un dolo di minore intensità” oltre sul “modesto danno economico …” e la “… occasionalità della violenza contro la persona compiuta principalmente al fine di procurarsi la impunità”. In altri termini, per un verso la Corte ha dato rilievo all’indole violenta quale elemento per escludere una prognosi positiva sulla possibile ricaduta nel reato ma, per altro verso, ha ritenuto che l’episodio pur violento fosse del tutto occasionale e che, in realtà, la “vis“, certamente manifestatasi, fosse finalizzata soltanto a guadagnare la fuga.

Ed in effetti, la ricostruzione operata nelle due sentenze di merito, se non consente di escludere la sua riconducibilità alla fattispecie delineata dal legislatore all’art. 628 comma 2 cod. pen., rende ragione del carattere non soltanto episodico della iniziativa assunta dal giovane ma, anche, della sua complessiva modestia sia per quanto concerne il bene di cui egli si sarebbe impossessato che, inoltre, per le modalità con le quali avrebbe tentato di allontanarsi dopo esser stato fermato dal personale di vigilanza; complessivamente, insomma, il fatto non è espressione di una capacità criminale tale da fondare, di per sé, un giudizio negativo ai fini della concedibilità del beneficio.

4. Queste considerazioni, direttamente desumibili dalla ricostruzione dei fatti operata nei due gradi, consentono di riconoscere direttamente in questa sede l’invocato beneficio cui, secondo il condivisibile orientamento della giurisprudenza, la Corte può provvedere ai sensi dell’art. 620 cod. proc. pen. nell’esercizio di quella che è stata definitiva la sua “discrezionalità vincolata” (cfr., in tal senso, Sez. 2, Sentenza n. 18742 del 06/04/2018, Gadaleta ed altro, Rv. 272991; Sez. 5, Sentenza n. 18797 del 25/01/2018, Jicu, Rv. 272857; Sez. 3, Sentenza n. 792 del 25/05/2017, C., Rv. 271829; Sez. 5, Sentenza n. 52292 del 15/11/2016, Spinelli, Rv. 268747; Sez. 5, Sentenza n. 44891 del 24/09/2015, Marchi, Rv. 265481; Sez. 5 – , Sentenza n. 845 del 26/10/2020, De Vita Filippo Alberto, Rv. 280400).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto la domanda della sospensione condizionale della pena, che concede;

dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma il 12.1.2022.

Depositata in Cancelleria, quindi resa efficace e pubblica, il giorno 23 febbraio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.