LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE
Composta da
Felice MANNA – Presidente
Mario BERTUZZI – Consigliere
Milena FALASCHI – Consigliere Rel.
Cristina AMATO – Consigliere
Valeria PIRARI – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26195/2018 R.G. proposto da
(omissis) (omissis) c.f.: (omissis), rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. (omissis) (omissis) ed elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
-ricorrente-
contro
CONDOMINIO (omissis) c.f.: (omissis)), in persona dell’amministratore pro tempore, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al controricorso, dall’avv. (omissis) (omissis) ed elettivamente domiciliato in (omissis), presso lo studio dell’avv. (omissis) (omissis);
–controricorrente–
avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 3784/2018, pubblicata il 7 giugno 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 marzo 2023 dal Consigliere dott.ssa Milena Falaschi.
Osserva in fatto e in diritto
Ritenuto che:
– con sentenza 1122 del 2017, il Tribunale di Ravenna – Sezione distaccata di Lugo respingeva l’opposizione proposta da (omissis) (omissis) avverso il decreto ingiuntivo n. 712/2015 con il quale le era stato ingiunto il pagamento di euro 5.591,97 in favore del Condominio (omissis) per spese condominiali relative all’impianto di riscaldamento centralizzato, oltre interessi e spese processuali, con la quale l’opponente contestava l’esistenza dell’obbligazione asserendo di avere acquistato l’immobile dalla precedente proprietaria che aveva già all’epoca provveduto al distacco dell’appartamento dal sistema centralizzato di riscaldamento.
Il Tribunale, per quanto ancora di rilievo in questa sede, sulla scorta della CTU espletata, rilevava che il distacco operato dalla dante causa dell’opponente non era conforme né ai requisiti richiesti dall’art. 1118 c.c. né ai requisiti indicati dalla legge regionale n. 156/08, come modificata dalla delibera di Giunta Regionale n. 1366/118, ed aggiungeva che l’impianto autonomo installato non risultava essere a norma. Il giudice di primo grado, inoltre, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava parte attrice al ripristino del collegamento del proprio impianto di riscaldamento a quello condominiale;
– sul gravame interposto dalla (omissis) la Corte di appello di Bologna, nella resistenza del Condominio (omissis) (omissis) con ordinanza n. 3784 del 2018, dichiarava inammissibile l’appello per non avere una ragionevole probabilità di essere accolto, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c.
La Corte territoriale, infatti, riteneva corretta la decisione del giudice di prime cure secondo la quale il condomino distaccato doveva fornire la prova, tramite documentazione tecnica, che dallo stesso non derivavano notevoli squilibri all’impianto di riscaldamento o aggravi di spesa per gli altri condomini che continuavano a servirsi dell’impianto condominiale.
Aggiungeva la Corte territoriale che, nel caso di specie, la perizia fornita all’assemblea condominiale dall’appellante era priva della motivazione di carattere tecnico, mancando i relativi calcoli che avrebbero dovuto escludere siffatto aggravio;
– (omissis) (omissis) ha proposto ricorso per cassazione basato su due motivi avverso la citata ordinanza di appello ed ulteriori due mezzi, formulati in via subordinata, avverso la sentenza di primo grado;
– ha resistito con controricorso il Condominio (omissis).
Considerato che:
– ancor prima di analizzare i motivi di ricorso, il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale degli 348 bis e ter c.p.c. siccome introdotti da un decreto legge emanato in violazione dell’art. 77 della Costituzione poiché, rimandando gli effetti delle proprie disposizioni a non meno di sei mesi dalla sua entrata in vigore, non risulterebbero integrati i caratteri straordinari di necessità ed urgenza.
In aggiunta, in via preliminare, la ricorrente evidenzia che solo apparentemente la Corte di appello ha fatto proprie le argomentazioni del Tribunale. Invero, mentre la Corte territoriale è giunta a ritenere illegittimo il distacco oggetto di causa solo in virtù dell’assenza dei calcoli nella perizia di parte, il Tribunale aveva fondato la propria pronuncia sulla sussistenza dei pregiudizi di cui all’art. 1118 c.c.
Per siffatte ragioni la ricorrente ritiene che il provvedimento della Corte bolognese assuma la veste di vera e propria sentenza e come tale impugnabile ex art. 360 c.p.c. per i motivi di seguito formulati.
Questa Corte ha già avuto occasione di affermare che sono da escludere tutti i dubbi di legittimità costituzionale dell’istituto in questione con orientamento che si ritiene di condividere e a cui va data continuità.
La peculiarità dell’istituto sta in ciò, che la comunicazione attiva il termine per impugnare un provvedimento necessariamente già in ogni sua parte conosciuto, quale quello di primo grado, reso significativamente oggetto dell’appello, benché questo sia poi stato dichiarato non sorretto da ragionevoli probabilità di accoglimento: infatti, è sempre esclusa la possibilità di impugnare in via autonoma l’ordinanza di secondo grado, non già perché non decisoria ma perché mai definitiva proprio per la possibilità di una utile impugnabilità del provvedimento lesivo della posizione giuridica sostanziale.
Tanto comporta che neppure sussiste l’esigenza di conoscere le motivazioni del provvedimento oggetto di comunicazione per apprestare le sole difese consentite, cioè quelle avverso il provvedimento precedente di primo grado.
L’istituto risulta funzionale alla definizione semplificata del grado di appello mediante l’ordinanza di insussistenza di ragionevole probabilità di accoglimento, con accelerazione dei tempi di definizione.
Una tale ratio è del tutto condivisibile e conforme al principio costituzionale di effettività della tutela del diritto mediante l’azione in giudizio in quanto, conclamato essendo il carattere limitato delle risorse destinabili dall’ordinamento alla domanda di giustizia, per cui l’effettività può essere garantita soltanto attraverso l’oculata e razionale gestione di quelle risorse e la loro attivazione con adeguato coinvolgimento dell’interessato.
Inevitabilmente a questi è richiesto allora di osservare specifiche disposizioni e determinate condizioni, tali da giustificare l’impegno del sistema nell’apprestare attenzione e tutela anche alle sue situazioni giuridiche sostanziali, piuttosto o in aggiunta a quella di innumerevoli altre istanze di giustizia (così Cass., Sez. Un., n. 25513 del 2016; Cass. 15 maggio 2014 n. 10723).
Il diritto di azione, quindi, esige l’imposizione, finalizzata alla funzionalità del sistema giudiziario e quindi alla sua effettività nei confronti di tutti i suoi possibili fruitori, di sanzioni di inammissibilità o preclusioni a chi vuole avvalersene.
È pertanto indispensabile una regolazione non già dell’accesso stesso, quanto piuttosto dello sviluppo del processo – all’interno di ogni suo grado e nei suoi diversi e successivi gradi – merce un sistema di regole tecniche chiare e rigorose, beninteso uguali per tutti e non tali da rendere di fatto impossibile l’esercizio del diritto di azione, via via più stringenti a mano a mano che il processo approdi a gradi successivi e involga il controllo delle attività processuali già espletate, assistite già di per sé sole da rigorose garanzie procedimentali.
Per completezza argomentativa, è appena il caso di rilevare che non è l’appello a possedere una garanzia costituzionale, ma soltanto il ricorso per cassazione e per di più soltanto in caso di violazione di legge, sicché è coerente con un tentativo di recupero di funzionalità del sistema la semplificazione del relativo giudizio ed il mantenimento di un livello di garanzia – mediante il ricorso per cassazione diretto contro la sola pronuncia di primo grado – ancorato a requisiti, anche temporali, di ammissibilità, che sono sì rigorosi, ma tutt’altro che in grado di impedire, a prezzo solo di un modesto maggior impegno dell’interessato, l’esercizio del diritto di difesa.
L’intero sistema degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. va letto in tale ottica e non integra pertanto neppure alcuna compromissione di quest’ultimo la previsione della decorrenza del termine di impugnazione dalla comunicazione della pronuncia di secondo grado (sempre Cass. n. 10723/2014 cit.).
Pertanto, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.
Del pari è manifestamente infondata la questione con riferimento all’art. 77 Cost.
Infatti la Corte costituzionale quanto alla sussistenza dell’«evidente» mancanza dei presupposti per l’adozione della decretazione di urgenza, dopo le sentenze n. 171 del 2007 e n. 128 del 2008, con le quali formulò un vero e proprio «test di scrutinio», chiarendo che il relativo accertamento doveva essere condotto attraverso «indici intrinseci ed estrinseci alla disposizione impugnata», ossia attraverso elementi contenuti nel testo normativo o estranei ad esso, già con le pronunce immediatamente successive – fra cui ad esempio, meritano di essere ricordate la n. 355 del 2010 e la successiva n. 367 del 2010 – evidenziarono in relazione alla sussistenza dei presupposti come la valutazione cui è subordinato il potere del Governo di adottare norme primarie comporti un largo margine di elasticità, dal momento che la straordinarietà del caso può essere dovuta a una pluralità di situazioni in relazione alle quali «non sono configurabili rigidi parametri valevoli per ogni caso».
I Giudici della Consulta hanno sottolineato la necessità di «evitare la sovrapposizione tra la valutazione politica del Governo e delle Camere (in sede di conversione) e il controllo di legittimità costituzionale» e che il proprio controllo «rimane circoscritto alla «evidente mancanza di tali presupposti» o alla «manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della relativa valutazione», sulla base di una pluralità di indici intrinseci ed estrinseci».
Ed è in relazione a tali indici che la Corte ha individuato delle ‘figure sintomatiche’ della carenza dei presupposti, consistenti, in particolare: a) nella coerenza della norma rispetto al titolo del decreto ed al suo preambolo; b) nell’omogeneità contenutistica o funzionale della norma rispetto al resto del decreto-legge e nelle dichiarazioni che emergono nei lavori preparatori, nonché c) nel carattere ordinamentale o di riforma della norma (sentenza 186 del 2020).
In relazione al profilo della coerenza, la Corte ha in particolare sottolineato la necessità che il decreto-legge «nella sua interezza» rappresenti «un insieme di disposizioni omogenee per materia e per scopo» e che i presupposti dell’art. 77 Cost. siano riferiti ad un provvedimento le cui disposizioni si presentino «legate tra loro dalla comunanza di oggetto o di finalità», «inteso come un tutto unitario, atto normativo fornito di intrinseca coerenza anche se articolato e differenziato al suo interno».
Diversamente, ha chiarito la Corte, «l’inserimento di norme eterogenee all’oggetto e alle finalità del decreto-legge – ha chiarito ancora la Corte costituzionale – spezza il legame logico giuridico tra la valutazione fatta dal Governo dell’urgenza del provvedere ed il provvedimento provvisorio con forza di legge», trasformandolo «in una congerie di norme assemblate soltanto da mera causalità temporale» (sent. n. 22 del 2012).
In altri termini, la giurisprudenza costituzionale successiva all’orientamento del 2007-08 ha fatto comunque salvi in linea di principio i decreti- legge che richiedono una pluralità di interventi eterogenei (come i cd. ‘mille proroghe’), ossia i cosiddetti «provvedimenti governativi ab origine a contenuto plurimo», purché essi obbediscano ad una «ratio unitaria» o le disposizioni, ancorché eterogenee dal punto di vista materiale che presentino «una sostanziale omogeneità di scopo» per cui il decreto, anche se «articolato e differenziato al proprio interno, appaia fornito di una sua intrinseca coerenza».
La Corte ha, dunque, chiarito come l’urgenza del provvedere possa riguardare «anche una pluralità di norme accomunate non solo dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ma anche dall’intento di fronteggiare una situazione straordinaria complessa e variegata, che richiede interventi oggettivamente eterogenei, in quanto afferenti a materie diverse, ma indirizzati tutti all’unico scopo di approntare urgentemente rimedi a tale situazione» (da ultimo, in tal senso, Corte Cost. n. 8 del 2022).
Ed è quanto occorso con il d.l. n. 83 del 2012, che nella legge di conversione n. 134 del 2012 reca il titolo «Misure urgenti per la crescita del Paese», che riguarda disposizioni per favorire la crescita, lo sviluppo e la competitività nei settori delle infrastrutture, dell’edilizia e dei trasporti, nonché per il riordino degli incentivi per la crescita e lo sviluppo sostenibile, finalizzate ad assicurare, nell’attuale situazione di crisi internazionale, onde fornire un sostegno al sistema produttivo del Paese, anche al fine di garantire il rispetto degli impegni assunti in sede europea.
Ne deriva che, se l’obiettivo delle pur eterogenee disposizioni contenute nel d.l. n. 83 del 2012 è quello di promuovere la ripresa economica del Paese, ciò può giustificare la scelta del legislatore di intervenire in norme processuali quale l’art. 348 c.p.c. delimitandone la portata, soluzione resa compatibile con il principio d’effettività della tutela giurisdizionale e del giusto processo, ai sensi degli artt. 24, 111 e 113 Cost. e 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, come sopra esposto, anche con decretazione di urgenza;
– del pari è priva di pregio – sempre in via pregiudiziale – la deduzione di inammissibilità dell’ordinanza ex 348 ter c.p.c. perché al di là della forma conterrebbe diverse argomentazioni di rigetto della domanda rispetto alla sentenza di primo grado, di cui si dirà meglio di seguito, nell’esaminare i primi due motivi di ricorso;
– con il primo motivo parte ricorrente deduce – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1118, comma 4, c.c. per aver la Corte ritenuto implicitamente condizione di legittimità del distacco la comunicazione preventiva di una relazione tecnica da discutere in assemblea.
Diversamente, a parere del ricorrente, la Corte territoriale si sarebbe dovuta limitare a valutare l’assenza di pregiudizio dato dai notevoli squilibri e dagli aggravi di spesa, solo alla luce dell’art. 1118 c.c.
Con il secondo motivo parte ricorrente censura – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – la violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sui motivi di impugnazione che ove fossero stati correttamente analizzati avrebbero condotto la Corte territoriale ad una diversa motivazione.
In particolare, l’atto introduttivo dell’appello censurava l’erronea interpretazione dei risultati della consulenza tecnica poiché, sulla base dei margini di errore del software utilizzato dal perito per i calcoli, il giudice avrebbe dovuto escludere non solo i notevoli squilibri, come è stato accertato, ma anche gli aggravi di spesa.
Con il medesimo mezzo, il ricorrente, lamenta altresì la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. nella parte in cui ha ritenuto di aderire alle motivazioni del giudice di primo grado senza esplicitare le ragioni della decisione.
Le censure sono inammissibili.
Come sopra anticipato, nel caso in cui il giudizio di appello si concluda con un’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 348bis c.p.c., l’impugnazione può essere proposta solo avverso la sentenza di primo grado a norma dell’art. 348 ter, comma 3 c.p.c., non ricorrendo nella specie alcuno dei casi in cui le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 1914/2016, hanno consentito il ricorso per cassazione contro l’ordinanza in esame. Infatti, l’impugnazione per cassazione dell’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. è consentita solo quando questa sia affetta da “vizi suoi propri”, vale a dire quando sia stata pronunciata al di fuori dei casi in cui la legge la consenta, oppure quando sia affetta da vizi processuali.
Nella specie, parte ricorrente non prospetta alcun “vizio proprio” deducibile come motivo di ricorso in cassazione, non rientrando in tale categoria la circostanza che il giudice di appello abbia motivato diffusamente le ragioni per le quali l’appello non aveva ragionevole probabilità di accoglimento, piuttosto che adottare un’ordinanza “succintamente motivata”, posto che l’eccesso motivazionale non può essere causa di nullità di un provvedimento giudiziario, e tanto meno dell’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., sia perché non nuoce al soccombente, sia perché non impedisce il raggiungimento dello scopo (Cass. n. 13835 del 2019).
Del resto, è ormai pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che l’ordinanza di inammissibilità dell’appello ex art. 348 bis c.p.c. non è impugnabile con ricorso per cassazione quando confermi le statuizioni di primo grado, anche attraverso un percorso argomentativo “parzialmente diverso” da quello seguito nella pronuncia impugnata, non configurandosi una decisione fondata su una ratio decidendi autonoma e diversa né sostanziale né processuale (Cass. n. 23334 del 2019 e Cass. n. 26915 del 2020);
– con gli ulteriori due motivi di ricorso, il ricorrente censura la sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 348 ter p.c., nel caso in cui la pronuncia della Corte di Appello dovesse essere ritenuta un’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c. e non una vera e propria sentenza.
Con il terzo mezzo parte ricorrente rileva – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. – la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2 n. 4 per essere questa meramente apparente, limitandosi il giudice a richiamare i rilievi del CTU, la normativa nazionale e regionale, ma omettendo di esplicitare l’iter argomentativo alla base della motivazione.
Inoltre, in via subordinata – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – il ricorrente deduce la falsa applicazione dell’art. 1118 c.c. per aver il tribunale dedotto l’illegittimità del distacco del servizio di riscaldamento dalla accertata irregolarità dell’impianto autonomo, laddove siffatta analisi doveva essere effettuata solo sulla scorta dei parametri richiesti dall’art. 1118 c.c.
La censura è fondata, non potendosi condividere il ragionamento del Giudice di merito.
Va osservato che la questione relativa al distacco di un condominio dall’impianto centralizzato condominiale trova la sua immediata disciplina nella normativa di cui all’art. 1118 c.c., come modificata dalla legge n. 220 del 2012, in vigore dal 18 giugno 2013, c.d. riforma del condominio.
Tale normativa ha, espressamente, ammesso la possibilità del singolo condomino di distaccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento o di raffreddamento ma a condizione che dimostri che dal distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento dell’impianto od aggravi di spesa per gli altri condomini.
Il condomino che intende distaccarsi deve, in altri termini, fornire la prova che “dal suo distacco non derivino notevoli squilibri all’impianto di riscaldamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini”, e la preventiva informazione dovrà necessariamente essere corredata dalla documentazione tecnica attraverso la quale egli possa dare prova dell’assenza di “notevoli squilibri” e di “assenza di aggravi” per i condomini che continueranno a servirsi dell’impianto condominiale.
L’onere della prova in capo al condomino, che intenda esercitare la facoltà del distacco viene meno soltanto nel caso in cui l’assemblea condominiale abbia effettivamente autorizzato il distacco dall’impianto comune sulla base di una propria autonoma valutazione della sussistenza dei presupposti di cui si è detto.
Con l’ulteriore specificazione che colui che intende distaccarsi dovrà, in presenza di squilibri nell’impianto condominiale e/o “aggravi” per i restanti condòmini, rinunciare dal porre in essere il distacco perché diversamente potrà essere chiamato al ripristino dello status quo ante.
Né l’interessato, ai sensi dell’art. 1118 c.c., potrà effettuare il distacco e ritenere di essere tenuto semplicemente a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”, poiché tale possibilità è prevista solo per quei soggetti che abbiano potuto distaccarsi, per aver provato che dal loro distacco “non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini”.
Nel caso concreto, il Tribunale di Ravenna – Sezione distaccata di Lugo ha ritenuto che la delibera del 25 settembre 2014 con la quale il Condominio (omissis) ha negato a (omissis) (omissis) dante causa della ricorrente, l’autorizzazione a mantenere il distacco della propria unità immobiliare dall’impianto di riscaldamento centralizzato, doveva ritenersi legittima in quanto la condomina aveva provveduto autonomamente al distacco del proprio impianto da quello centralizzato senza la preventiva comunicazione agli altri condomini.
Ha aggiunto, altresì, che l’espletata c.t.u. evidenziava come il distacco operato non rispettava i requisiti normativi, per cui difettava la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 1118 c.c. e alla disciplina regionale, in particolare la legge regionale n. 156/2008, come modificata dalla delibera di Giunta regionale n. 1366/118 per non essere l’impianto autonomo realizzato a norma. Ha, quindi, concluso che l’esito della consulenza confermava la validità della delibera assembleare sopra indicata.
Orbene, se si dovesse aderire alle conclusione della sentenza impugnata, quel distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato che questa Corte ammette in linea di principio sarebbe sempre da escludere in concreto, in quanto oltre a non indicare quali sarebbero le condizioni previste dall’art. 1118 c.c. e dalla normativa regionale nella specie violate (impianto autonomo con un terminale di scarico dei fumi realizzato sulla parete verticale esterna), dalle argomentazioni esposte appare che la violazione contestata attiene sostanzialmente alla sola mancata procedimentalizzazione della pratica per il perfezionamento del distacco e la non messa a regola dell’impianto autonomo realizzato, circostanze che di per sé sole, invece, non hanno alcun rilievo al nostro fine, laddove va verificata nello specifico la mancanza di squilibri tecnici pregiudizievoli per l’erogazione del servizio e gli eventuali aggravi di spesa per i rimanenti condomini scaturenti dal chiesto distacco.
Trattasi all’evidenza di motivazione apodittica, senza alcun adeguato approfondimento istruttorio, che era necessitato dall’aver considerato sostanzialmente violati requisiti non meglio precisati, di rigettato della domanda dell’opponente;
– con la quarta censura, lamenta – ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. – la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 1118 c.c. analizzando quanto già evidenziato nel primo motivo di ricorso.
In particolare, il ricorrente, si premura di riproporre nuovamente tale censura nel caso in cui si dovesse interpretare che anche il tribunale, al pari della Corte territoriale, abbia affermato che per valutare la legittimità del distacco sia necessaria tanto la comunicazione preventiva di una relazione tecnica all’assemblea condominiale da parte del condomino distaccante, quanto la dimostrazione in giudizio di assenza di pregiudizio.
A tal riguardo, aggiunge il ricorrente, che la sentenza sarebbe altresì nulla – ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 4 – per apparente motivazione, di cui la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., per non aver il Tribunale mai affermato che nel caso in esame non era stata presentata una relazione.
La censura è superata dall’accoglimento del terzo mezzo, che involge un accertamento pregiudiziale ai sensi dell’art. 1118 c.c.
In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il terzo motivo di ricorso va accolto, assorbito il quarto, dichiarati inammissibili le prime due censure e cassata la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio per nuovo esame dell’appello, alla Corte di Bologna, in diversa composizione, alla luce dei rilievi sopra illustrati, cui si demanda anche il regolamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbito il quarto, dichiarate inammissibili le prime due censure;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile in data 21 marzo 2023.
Il Presidente
Dott. Felice MANNA
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2023.