Si introduce nella veranda di una casa disabitata per organizzarvi un rave: legittima la condanna (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 6 ottobre 2022, n. 37881).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente –

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere –

Dott. SESSA Renata – Consigliere –

Dott. BIFULCO Daniela – Consigliere –

Dott. CUOCO Michele – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(OMISSIS) CONSOLATO, nato a Messina, il 26 ottobre 19xx;

avverso la sentenza del 23 ottobre 2020, della Corte d’appello di Messina;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. MICHELE CUOCO;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa LUCIA ODELLO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Consolato (OMISSIS) impugna la sentenza, indicata in epigrafe, con la quale la Corte d’appello di Messina, confermando la decisione resa in primo grado, lo ha ritenuto responsabile del reato di violazione di domicilio, commesso per aver organizzato un “Rave Party” introducendosi nella veranda privata di un’abitazione, in quel momento disabitata.

2. Articola due motivi d’impugnazione.

In particolare:

2.1. Con il primo, si lamenta l’omessa assunzione di una prova decisiva, rappresentata, in ipotesi, dall’escussione del titolare della ditta presso la quale l’imputato aveva noleggiato il gruppo elettrogeno e che, essendosi recato sul posto, avrebbe potuto dare atto delle condizioni del luogo e della percepibilità dell’altruità della veranda, liberamente accessibile (tanto che già in primo grado sarebbe stata esclusa l’aggravante della violenza sulle cose) e sostanzialmente abbandonato. Circostanza, questa, che inciderebbe comunque sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato.

2.2. Con il secondo, invece, si lamenta la violazione dell’art. 131-bis cod. pen. ed il connesso vizio di motivazione, non avendo la corte territoriale, pur a fronte di una specifica richiesta avanzata dall’appellante, espresso alcuna argomentazione in ordine al mancato riconoscimento della predetta causa di non punibilità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

La prova decisiva, la cui mancata assunzione può essere dedotta in sede di legittimità a norma dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., deve avere ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non può consistere in un mezzo di tipo dichiarativo, il cui risultato è destinato ad essere vagliato per effettuare un confronto con gli altri elementi di prova acquisiti al fine di prospettare l’ipotesi di un astratto quadro storico valutativo favorevole al ricorrente (Sez. 5, n. 37195 del 11/07/2019, Rv. 277035).

Quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato (consistente nella coscienza e volontà dell’agente di introdursi o di trattenersi nell’altrui abitazione contro la volontà di colui che è titolare del diritto di esclusione: Sez. 5, n. 5736 del 23/03/1981, Rv. 149297) è sufficiente ribadire che l’errore scusabile ai fini dell’elemento intenzionale del reato, oltre che ad incidere sul fatto costituente reato, deve discendere dall’erronea interpretazione di una legge extrapenale e cioè deve cadere su una norma destinata esclusivamente a regolare rapporti giuridici di carattere non penale, né richiamati, esplicitamente o implicitamente, dalla norma penale, in quanto tale legge, inserendosi nel precetto ad integrazione della fattispecie criminosa, concorre a formare l’obiettività giuridica del reato, con la conseguenza che l’errore che ricade su di essa non può avere efficacia scusante al pari dell’errore sulla legge penale vera e propria (Sez. 4, n. 14819 del 30/10/2003, Rv. 227875; Sez. 6, n. 25941 del 31/03/2015, Rv. 263808).

Comunque, in concreto, proprio le particolari condizioni del luogo (e, quindi, l’esistenza di un manufatto, rappresentato dalla struttura della veranda, il rapporto di pertinenzialità con un’abitazione e l’esistenza di cancelli) rendevano e immediatamente percepibile l’altruità del luogo, nonostante la sua libera accessibilità dalla spiaggia.

2. Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha dato atto della “gravità” del fatto, indicandone le ragioni (“per la sfrontata invasione di un luogo di privata dimora utilizzato per fini di profitto, imbrattato e destinato arbitrariamente all’afflusso di un gran numero di persone”) e, quindi, delle ragioni ostative al riconoscimento dell’invocata causa di non punibilità.

3. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile e, pertanto, il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 14 settembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.