La S.C. sulla facoltà di parcheggiare l’autocaravan che oltrepassa la segnaletica orizzontale degli stalli comunali (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 6 ottobre 2022, n. 29050).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7417-2019 proposto da:

(OMISSIS) Barbara e (OMISSIS) Elisa, elettivamente domiciliate in Roma, piazza (OMISSIS) n. 9, presso lo studio dell’avvocato Lorenzo (OMISSIS), che le rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

PREFETTURA DI BRESCIA – UTG, elettivamente domiciliata ex lege in ROMA, via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende per legge;

– intimata –

avverso l’ordinanza n. ruolo 20399/2018 della Corte di Cassazione, depositata il 10 agosto 2018;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 17 febbraio 2022 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

letta la relazione del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alessandro Pepe, che ha concluso per l’accoglimento della revocazione e in via rescissoria, per l’accoglimento anche dell’originario ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel procedimento definito con ordinanza della Sesta Sezione civile-2, in data 1° agosto 2018 n. 20399, questa Corte ha dichiarato improcedibile il ricorso per cassazione proposto da Barbara (OMISSIS) ed Elisa (OMISSIS) avverso la sentenza n. 2110 del 2016, con cui il Tribunale di Brescia aveva rigettato l’impugnazione interposta dalle medesime ricorrenti avverso la sentenza emessa dal Giudice di pace di Brescia n. 337 del 2013, che aveva – a sua volta – respinto l’opposizione proposta avverso l’intimazione di due ordinanze – ingiunzione prefettizie per violazione dell’art. 146 , comma 2, codice della strada e dell’art. 185 dello stesso codice.

Questa Corte – per quanto qui di interesse – ha affermato la improcedibilità del ricorso per non essere stati prodotti i documenti attestanti 13 notificazione della sentenza impugnata, che si assume avvenuta con modalità telematiche; in particolare, il destinatario della notifica avrebbe dovuto estrarre copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e dei suoi allegati e poi attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico e depositare quest’ultima, giacché nel giudizio di cassazione non era ancora estesa la disciplina del processo telematico.

Avverso siffatta decisione la (OMISSIS) e la (OMISSIS) hanno proposto, con ricorso notificato il 28 febbraio 2019, revocazione ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c., affidato ad un unico motivo, per essere la sentenza impugnata – a loro avviso – affetta da errore di fatto risultante dagli atti o dai documenti della causa.

La Prefettura UTG di Brescia è rimasta intimata.

Dovendo avvenire la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., giusta il terzo comma dell’art. 391-bis c.p.c., nel testo modificato dal d.l. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.

Fissata adunanza camerale all’11.11.2020, in vista della quale parte ricorrente ha anche depositato memoria illustrativa, all’esito della stessa, con ordinanza interlocutoria n. 19076 del 2021 depositata il 06.07.2021, il Collegio rilevava che il motivo di revocazione per errore di fatto investiva la statuizione relativa alla censura sulla produzione documentale ai fini della procedibilità del ricorso per cassazione.

Il ricorso è stato posto in discussione per la decisione allo stato degli atti all’udienza del 17 febbraio 2022, ai sensi dell’art. 23, comma 8 d.l. n. 137 del 2020, conv. in legge n. 176 del 2020.

In prossimità della pubblica udienza è stata depositata dal sostituto procuratore generale, Dott. Alessandro Pepe, memoria con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso dell’accoglimento del ricorso per revocazione e, in via rescissoria, anche dell’originario ricorso per cassazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con l’unico motivo le ricorrenti assumono che l’errore si sostanzierebbe nella circostanza che l’errore di fatto denunciato della supposta mancanza di specifica produzione di documenti relativi alla prova della notificazione della sentenza impugnata è frutto di un errore casuale per non essere mai stata notificata alle ricorrenti da parte della Prefettura di Brescia la sentenza del Tribunale di Brescia.

Il motivo appare fondato e con esso il ricorso per revocazione.

Giova osservare che il motivo di revocazione per errore di fatto investe la statuizione relativa alla censura sulla produzione documentale ai fini della procedibilità del ricorso per cassazione.

Si assume che l’errore si sostanzierebbe nella circostanza che l’errore di fatto denunciato da supposta mancanza di specifica produzione di documenti relativi alla prova della notificazione della sentenza impugnata è frutto di un errore casuale per non essere mai stata notificata, meno che mai in via telematica, alle ricorrenti da parte della Prefettura di Brescia la sentenza del Tribunale di Brescia.

Il Collegio ritiene che, in effetti, dalla prospettazione offerta dalle ricorrenti rapportata agli atti di causa, è emersa la possibile erronea percezione – con l’ordinanza qui impugnata – del fatto asserito come inesistente (la specifica prova della notificazione della sentenza impugnata a cura della controparte) riferito alla procedibilità del ricorso per cassazione quanto alle modalità di produzione della decisione de qua.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 442 del 2018) l’istanza di revocazione di una pronuncia della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395, n. 4, c.p.c., che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato, con la precisazione che l’errore in questione presuppone il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione.

In effetti, dalla prospettazione offerta dalle ricorrenti rapportata agli atti di causa, è emersa la erronea percezione – con l’ordinanza qui impugnata – del fatto asserito come inesistente (la specifica prova della notificazione della sentenza impugnata eseguita, come nel caso di specie, con modalità telematiche, con la conseguenza che per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della decisione con la relazione di notificazione, il difensore delle ricorrenti, destinatario della suddetta notifica, doveva estrarre copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e dei suoi allegati – relazione di notifica e provvedimento impugnato – attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, ai sensi dell’art. 9, commi 1 bis e 1 ter, 1. n. 53 del 1994, e depositare nei termini quest’ultima presso la cancelleria della S.C.) riferito alla procedibilità del ricorso per cassazione quanto alle modalità di produzione della decisione de qua.

Ne discende che l’affermazione dell’impugnata ordinanza di questa Corte, secondo cui il ricorso è improcedibile per mancata produzione della documentazione sopra indicata e relativa alla prova della notificazione della sentenza gravata è erronea.

L’errore di fatto dell’ordinanza impugnata attiene alla supposizione di inesistenza di un fatto (vale a dire, non avere prodotto le ricorrenti, a sostegno della procedibilità del ricorso per cassazione la relata di notificazione della sentenza gravata) falsamente percepita la circostanza dell’avvenuta notificazione telematica da parte della Prefettura della sentenza impugnata alle ricorrenti, come emerge direttamente dalla lettura del ricorso; tale errore ha altresì avuto carattere decisivo, in quanto ha costituito la ragione essenziale e determinante della pronuncia di improcedibilità del ricorso.

Rivelatosi l’errore di fatto e dovendosi rescindere la decisione di cui all’ordinanza della Corte di Cassazione n. 20399/2018, va esaminato il ricorso per cassazione proposto dalle medesime (OMISSIS) e (OMISSIS) contro la sentenza del Tribunale di Brescia n. 2110 del 2016.

Con il primo motivo le ricorrenti denunciano la nullità della sentenza o del procedimento – ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. – per violazione dell’art. 34 c.p.c. avendo il giudice del gravame omesso l’accertamento incidentale di una questione pregiudiziale di merito.

In particolare, ad avviso delle ricorrenti il Tribunale in seconda istanza avrebbe ritenuto di non dover esaminare incidenter tantum la circostanza dell’esistenza di una legittima ordinanza istitutiva della segnaletica che le ricorrenti avrebbero violato, quale provvedimento amministrativo presupposto.

Con il secondo motivo viene censurata la violazione di norma di diritto ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., in particolare dell’art. 6, comma 11 d.lgs. n. 150 del 2011 in relazione all’art. 5, comma 3 C.d.S., per mancanza di prove sufficienti all’accertamento della responsabilità delle opponenti stante l’inesistenza di un provvedimento istitutivo della segnaletica stradale.

In altri termini, ad avviso delle ricorrenti l’Amministrazione opposta non aveva dimostrato l’esistenza di provvedimenti istitutivi della segnaletica di istituzione di stalli di sosta in viale Europa, ignorando del tutto la previsione di cui all’art. 5, comma 3 C.d.S.

Con il terzo motivo (per mero errore materiale indicato con il numero 4) si lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 146, comma 2 C.d.S. (per svista riportato in sentenza l’art. 142 C.d.S.), quale norma contestata, mentre la fattispecie avrebbe dovuto essere ricondotta all’art. 157 C.d.S. in relazione all’art. 351 reg. es . C.d.S. ovvero all’art. 6, comma 4 lett. b) o d) C.d.S. richiamato dall’art. 7, comma 1 C.d.S.

Infine con il quarto ed ultimo motivo (per mero errore materiale indicato con il numero 5) le ricorrenti denunciano la nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c. stante l’omessa pronuncia sull’eccezione di violazione dell’art. 185, comma 1 C.d.S., riproposta in appello ex art. 6 346 c.p.c., quanto alla non specificità della contestazione, non previsti in loco segnali di riserva di parcheggio per le sole autovetture, bensì tracciati esclusivamente stalli di dimensioni non compatibili con le dimensioni degli autocaravan.

Le censure – da trattare unitariamente per la evidente connessione argomentativa che le avvince rinvenendosi in tutte nella sostanza la contestazione al potere dell’amministrazione locale di irrogare la sanzione amministrativa de qua – sono prive di pregio per le ragioni di seguito illustrate.

Va preliminarmente osservato che la questione sottesa ai motivi attiene al contenuto e ai limiti del potere dei Comuni nell’adozione dei provvedimenti di disciplina del transito e degli spazi di sosta di tutte o di alcune categorie di veicoli, come previsto dall’art. 7, comma 1 lett. b), d), e) ed f) del C.d.S., laddove l’art. 185, lett. h) dello stesso C.d.S. istituisce la facoltà di realizzare aree attrezzate riservate al parcheggio delle autocaravan.

La normativa nazionale, ai fini della circolazione stradale (e la sosta su strada, che fa parte della stessa circolazione), equipara le autocaravan agli altri autoveicoli, pur con alcune specificità.

A norma dell’art. 54, comma 1 lettera m) del C.d.S., le autocaravan sono veicoli aventi una speciale carrozzeria e attrezzati permanentemente per essere adibiti al trasporto e all’alloggio di sette persone al massimo, compreso il conducente per essere dotate di motore e sistema di guida autonoma.

La circolazione e la sosta di siffatti mezzi sono regolamentati dall’art. 185 del C.d.S., le cui disposizioni si possono così riassumere:

– le autocaravan sono equiparate agli autoveicoli di classe M, le comuni automobili, e sono pertanto soggetti agli stessi divieti e limitazioni (per la sosta il riferimento è l’art. 158 CdS);

– le stesse possono sostare ovunque sia consentito;

– per le autocaravan in sosta su strade pubbliche sono vietati tutti i comportamenti che possono ricondurre all’attività di campeggio: ancorare stabilmente il mezzo al suolo, emettere fumi e/o scarichi delle acque, ampliare la sagoma del camper attraverso l’apertura di porte o verande, posizionare tavoli, sedie o quant’altro al di fuori del mezzo, ecc.

L’attività di campeggio è ammessa solo nelle aree di sosta attrezzate per i camper;

– le autocaravan che sostano nelle strisce blu pagano una tariffa maggiorata del 50%, ma solo se lo stallo di sosta è di dimensioni maggiori rispetto agli altri stalli presenti nell’area di parcheggio.

Le amministrazioni comunali possono imporre ulteriori limitazioni alla circolazione e soprattutto alla sosta dei camper, giustificandole con “accertate e motivate esigenze di prevenzione degli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale” (art. 7 comma 1 lettera b) del C.d.S.).

Tanto chiarito, la questione che permane è dunque quella di individuare la facoltà di parcheggiare siffatti mezzi negli stalli predisposti dal Comune laddove la sagoma dell’autocaravan oltrepassi con le proprie dimensioni la segnaletica orizzontale, in assenza di ogni altra previsione.

Orbene è evidente che l’organizzazione di un parcheggio deriva dalla progettazione del numero di stalli di sosta e dalla apposizione della relativa segnaletica stradale, soprattutto orizzontale, da cui dipende la tipologia dei veicoli che ne possono usufruire.

Come sopra detto, ai sensi dell’art. 185 C.d.S., non si può escludere dalla circolazione l’autocaravan da una strada e/o da un parcheggio allo stesso tempo consentirlo alle autovetture.

Tuttavia siffatta previsione deve essere esaminata in combinato disposto con l’art. 149 del reg. att. C.d.S. che ai commi 1 e 2 stabilisce che “La delimitazione degli stalli di sosta è effettuata mediante il tracciamento sulla pavimentazione di strisce della larghezza di 12 cm formanti un rettangolo, oppure con strisce di delimitazione ad L o a T, indicanti l’inizio, la fine o la suddivisione degli stalli entro i quali dovrà essere parcheggiato il veicolo.

La delimitazione degli stalli di sosta mediante strisce è obbligatoria ovunque gli stalli siano disposti a spina (con inclinazione di 45° rispetto all’asse della corsia adiacente agli stalli) ed a pettine (con inclinazione di 900 rispetto all’asse della corsia adiacente agli stalli); è consigliata quando gli stalli sono disposti longitudinalmente (parallelamente all’asse della corsia adiacente agli stalli).”

Dal quadro normativo sopra descritto discende che i provvedimenti per la regolazione della circolazione emessi dall’ente proprietario della strada ed i criteri ivi previsti per la realizzazione delle aree, fra i quali sono ricomprese le dimensioni degli stalli, costituiscono di per sé precetto per l’individuazione degli spazi entro i quali la facoltà di sosta può essere fruita e non oltre, per cui il parcheggio è consentito ed autorizzato purché avvenga nel rispetto e con l’occupazione di un’area determinata sia che riguardi le autovetture sia le autocaravan, sempre che abbiano lo stesso ingombro.

Alla luce di siffatta interpretazione appare, pertanto, evidente che il giudice del gravame ha fatto buon governo dei principi sopra illustrati avendo accertato, attraverso i verbali di infrazione e le fotografie prodotte dal Comune (v. pag. 3 della sentenza impugnata), che le autocaravan delle ricorrenti, che sostavano nelle zone di stallo delimitate da strisce orizzontali che consentivano – per dimensioni – il parcheggio a veicoli di ridotte misure, fuoriuscivano con parte della loro sagoma dalle linee di delimitazione.

Con la conseguenza che non è applicabile la disciplina invocata dalle ricorrenti, in quanto la sporgenza era in zona non deputata al parcheggio ma al transito, presupponendosi per ciò solo un intralcio alla circolazione.

Per completezza argomentativa, inoltre, ci osserva che per la medesima ragione, sotto il profilo processuale, di cui ai motivi due e quattro del ricorso, la trattazione unitaria dei motivi di appello, ove connessi uno all’altro, non comporta automaticamente omessa pronuncia in relazione all’uno o all’altro motivo, che può sussistere solo qualora nella motivazione unitaria un aspetto particolare e denunciato con un apposito motivo di appello, non sia stato assolutamente preso in considerazione, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

Né era necessario un ulteriore accertamento relativo all’esistenza di ulteriore e specifico provvedimento amministrativo di divieto di sosta delle autocaravan, di cui al primo motivo di ricorso, per quanto sopra esposto.

In definitiva, va accolto il ricorso per revocazione di Barbara (OMISSIS) ed Elisa (OMISSIS) avverso l’ordinanza della Corte di cassazione n. 20399/2018, depositata il 10 agosto 2018 e per l’effetto va revocata la ordinanza impugnata; va, infine, giudicando in rescissorio, rigettato il ricorso proposto dalle medesime (OMISSIS) e (OMISSIS) contro la sentenza del Tribunale di Brescia n. 2110/2016.

A seguito dell’accoglimento dell’impugnazione per revocazione di una sentenza, il giudice della revocazione, definendo l’intero giudizio, ha poi il potere-dovere di regolare le spese non solo della fase rescindente, ma anche di quella rescissoria (cfr. Cass. 12 marzo 1969 n. 786; conf. Cass. 16 gennaio n. 975 del 2019).

La rescissione, anche parziale, della sentenza determina, inoltre, la caducazione del capo che ha statuito sulle spese di lite; ne discende che occorre in questa sede procedere nuovamente al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.

A tal fine, deve considerarsi comunque come le (OMISSIS) – (OMISSIS) rimangano in sostanza soccombenti alla stregua dell’esito della fase rescissoria.

Nessuna pronuncia sulla regolazione delle spese processuali del giudizio di cassazione e del giudizio di revocazione per non avere l’Amministrazione svolto difese in queste fasi di giudizio.

Stante, peraltro, l’accoglimento del ricorso per revocazione ai fini della pronuncia rescindente, non può perciò dirsi tale impugnazione “respinta integralmente”, e ciò agli effetti dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per revocazione avverso la ordinanza della Corte di cassazione n. 20299/2018, depositata il 10 agosto 2018;

revoca l’ordinanza impugnata che ha dichiarato improcedibile il ricorso proposto da Barbara (OMISSIS) ed Elisa (OMISSIS) contro la sentenza di appello del Tribunale di Brescia n. 2110 del 2016.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile del 17 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.