REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Rel. Consigliere –
Dott. MARCHEIS Chiara Besso – Consigliere –
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. 12586/2017 R.G. proposto da
(OMISSIS) ROBERTO e (OMISSIS) CLAUDIA, rappresentati e difesi giusta procura a margine del ricorso dall’Avv.to Antonio (OMISSIS) del foro di Salerno e con quest’ultimo elettiw3mente domiciliati in Roma, via G. (OMISSIS) n. 10, presso lo studio dell’Avv. Giancarlo (OMISSIS);
-ricorrenti-
Contro
(OMISSIS) ALFREDO, rappresentato e difeso dall’Avv.to Luciano (OMISSIS) del foro di Salerno, con domicilio eletto in Roma, via (OMISSIS) n. 5, presso (OMISSIS);
-controricorrente-
Avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 972/2017 pubblicata il 24 febbraio 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 maggio 2022 dal Consigliere Dott.ssa Milena Falaschi.
OSSERVATO IN FATTO E IN DIRITTO
Ritenuto che:
– con atto di citazione Alfredo (OMISSIS) – in qualità di proprietario del fondo rustico con annesso fabbricato sito in S. Ciprinao Picentino – evocava, dinanzi al Giudice di pace di S. Cipriano Picentino, Maria Gaetana (OMISSIS), Claudia e Roberto (OMISSIS) (eredi questi ultimi del defunto fratello Aniello) – nella loro qualità di proprietari del fondo confinante – chiedendo l’estirpazione ex art. 894 c.c. o, in subordine, la potatura della siepe fino all’altezza del muro divisorio, per aver i convenuti piantato a ridosso del confine una siepe di tuje che, oltre a violare le norme in materia di distanze legali, riduceva l’aria di luce e veduta del fondo confinante creando pericolose zone di umidità;
– il Giudice di pace adito, con sentenza n. 99/2014, rigettata l’eccezione formulata dai convenuti di usucapione del diritto a tenere la siepe di tuje a distanza inferiore a quella legale, accoglieva la domanda attorea e condannava i convenuti all’estirpazione del filare di piante di tuje mai sensi e per gli effetti dell’art. 894 c.c.;
– sul gravame interposto da Maria Gaetana (OMISSIS), Claudia e Roberto (OMISSIS), il Tribunale di Salerno, nella resistenza dell’appellato, con sentenza n. 972/2017, in accoglimento parziale dell’appello, rigettava la domanda di estirpazione ex art. 894 c.c., accertando l’acquisto per usucapione del diritto degli appellanti a tenere la siepe a distanza inferiore rispetto a quella legale; accoglieva la domanda attorea formulata, in via subordinata, a norma dell’art. 892, comma 4 c.c. e, per l’effetto,” condannava gli appellanti a tenere la siepe di tuje messa a ridosso del muro di confine ad altezza pari alla sommità dello stesso.
Il Tribunale, tenuto conto delle deposizioni testimoniali rese in primo grado, accertava che le piante di tuje messe a dimora nella proprietà del defunto Aniello (OMISSIS) risalivano ad epoca anteriore al sisma del 23/11/1980 e, al contempo, riteneva irrilevante l’altezza e l’età delle piante, stante la possibilità di sostituire le piante nel corso degli anni in presenza di una siepe.
Aggiungeva il giudice del gravame che non ricorreva la tolleranza dell’appellato, per non aver quest’ultimo dimostrato che il possesso esercitato dagli appellanti dipendeva da atti di mera tolleranza che avevano fondamento nello spirito di condiscendenza nei rapporti di amicizia o di buon vicinato.
Invece, per quanto ancora di rilievo in questa sede, il Tribunale accoglieva la domanda subordinata ex art. 892, comma 4 c.c., condannando gli appellanti a tenere la siepe di tuje messa a dimora a ridosso del muro divisorio ad altezza pari della sommità dello stesso, rilevato che il muretto con rete posto al confine tra le due proprietà delle parti contendenti fungeva pacificamente da muro divisorio comune;
– per la cassazione della sentenza del Tribunale di Salerno, Claudia e Roberto (OMISSIS), in proprio e nella loro qualità di eredi legittimi della defunta madre Gaetana (OMISSIS), propongono ricorso, fondato su quattro motivi, cui resiste Alfredo (OMISSIS) con controricorso;
– il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 16 novembre 2021 e in prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno curato il deposito di memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.;
– rinviata la causa per impedimento del relatore, il ricorso veniva nuovamente fissato per la camera di consiglio del 19 maggio 2022, in vista della quale parte controricorrente ha curato il deposito di ulteriore memoria illustrativa.
Considerato che:
– Con il primo motivo i ricorrenti lamentano, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione la falsa applicazione degli artt. 892, quarto comma, 894, 896 primo comma, 1158, 1061, 1065, 1066 e 1067 c.c. per aver il giudice di appello condannato gli appellanti a tenere il filare di truje ad altezza pari a quella del muro esistente sul confine, in violazione del loro diritto (acquisito per usucapione) a mantenere il predetto filare a distanza inferiore a quella legale.
Ad avviso dei ricorrenti, a fronte del rigetto della domanda attorea principale, la domanda subordinata non avrebbe potuto trovare ingresso.
Difatti, in seguito all’accertamento del diritto a tenere le piante a distanza inferiore rispetto a quella legale per intervenuta usucapione, non avrebbe potuto disporsi alcuna modificazione o riduzione del possesso.
In particolare, i ricorrenti sostengono che l’accertata servitù ultraventennale non potrebbe cessare o essere modificata se non per le cause riconosciute dalla legge e non certamente in applicazione dell’art. 892, quarto comma o in applicazione dell’art. 896, primo comma c.c.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 892 quarto comma c.c. per averli il Tribunale condannati ex art. 892 c.c. in mancanza dei presupposti di fatto necessari per tale pronunzia, quali l’esistenza di un muro e la preesistenza alla piantagione degli alberi.
Quanto al primo presupposto, ossia l’esistenza del muro, i ricorrenti sostengono che le fotografie depositate da controparte e la descrizione dello stato dei luoghi contenuta nell’atto di citazione dimostrerebbero la presenza, non già di un muro, ma di una rete metallica alta 1.50 mt. per circa un terzo del confine, nonché quella di un muretto di altezza oscillante tra quota zero e 1,20 m. circa per i restanti due terzi.
Trattasi, secondo i ricorrenti, di un manufatto la cui consistenza contrasterebbe con l’assunto dello stesso Tribunale quanto al presupposto per l’applicazione dell’art. 892 comma 4 c.c. e, comunque, gli alberi non avrebbero un impatto maggiore del muro nel diminuire aria, luce, soleggiamento o panoramicità in danno del vicino.
Quanto al secondo presupposto ai fini dell’applicazione dell’art. 892 comma 4 c.c. (la preesistenza del muro rispetto alla piantagione degli alberi), i ricorrenti sostengono che, alla luce delle deposizioni testimoniali espletate in primo grado, la realizzazione del muro di confine sarebbe avvenuta in epoca successiva alla piantagione di filare.
Infine, asseriscono i ricorrenti che la norma evocata avrebbe carattere puramente derogatorio o facoltativo, non già carattere percettivo o sanzionatorio.
Ebbene, in virtù di tale lettura, qualora il proprietario, avvalendosi della facoltà di cui al quarto comma dell’art. 892 c.c., pianti gli alberi a distanza inferiore a quella legale senza però attenersi alla prescrizione di tenerli ad altezza inferiore alla sommità del muro, troverebbe applicazione la norma sanzionatoria di cui all’art. 894 c.c., con conseguente possibilità del vicino di richiedere e ottenere l’estirpazione, salvo l’intervenuta usucapione del diritto a mantenere le piante ad una distanza inferiore rispetto a quella legale (come avvenuto nella specie).
I motivi di ricorso, che devono essere trattati congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi, vanno respinti.
Questa Corte ha da tempo chiarito che il divieto di tenere alberi di alto fusto a meno di tre metri dal confine, stabilito dall’art. 892 comma primo n. 1 c.c. mira ad impedire che la parte fuori terra degli alberi possa arrecare un danno ai vicini, per diminuzione di aria, luce, soleggiamento o panoramicità, tanto che, anche ove le distanze indicate dalla norma non debbano essere osservate per la presenza di un muro divisorio sul confine proprio o comune (art. 892 comma 4 c.c.), le piante devono comunque essere tenute ad altezza non eccedente la sommità del muro (in tal senso, Cass. n. 6497 del 1988).
Del resto, ai sensi dell’art. 892 c.c., in ogni caso le piante devono essere tenute ad un’altezza che non ecceda la sommità del muro di confine (Cass. n. 14632 del 2012).
In altri termini, si tratta di un diritto che può essere usucapito quanto alle distanze delle piante dal confine ex art. 892 c.c., ma non in relazione alla sola altezza delle stesse.
Nella specie, il giudice di secondo grado, facendo buon governo dei principi esposti, ha accolto la domanda formulata in primo grado in via subordinata dall’originario attore ex art. 892 comma 4 c.c., dopo aver rilevato che il muretto con rete posto al confine tra le due proprietà svolgeva la funzione di muro divisorio comune.
Trattasi di una valutazione di fatto rimessa al giudice di merito e come tale incensurabile in cassazione.
Pertanto, le doglianze dei ricorrenti laddove deducono l’insussistenza di un muro di confine e la preesistenza delle piantagioni rispetto allo stesso oltre a risolversi una mera critica alla valutazione di merito, intesa peraltro a far valere una diversa e più favorevole interpretazione delle norme sostanziali, quale l’usucapione delle altezze degli alberi, assolutamente preclusa per quanto sopra esposto;
– con il terzo motivo (che si assume formulato per scrupolo difensivo) i ricorrenti lamentano, ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 896 primo comma e dell’art. 2697 c.c. per non essere stato provato né richiesto di provare l’esistenza dei rami protesi nel fondo dell’originario attore.
Con il quarto motivo (formulato sempre per scrupolo difensivo) i ricorrenti lamentano, ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 112, 115 e 7 c.p.c.
Sostengono i ricorrenti che il giudice avrebbe violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato oltre ad aver violato l’art. 115 c.p.c. fondando la sua decisione su prove non proposte dalle parti e su fatti mai stati oggetto di controversia.
Peraltro, il Tribunale in qualità di giudice di appello non avrebbe mai potuto pronunciarsi, stante la limitata competenza del Giudice di Pace in materia di distanze in cui non rientrerebbero le controversie relative all’applicazione dell’art. 896 c.c., le quali sarebbero di competenza generale del Tribunale in funzione di giudice di primo grado.
I motivi di ricorso, che devono essere trattati congiuntamente data la loro stretta connessione argomentativa, sono inammissibili in quanto non colgono la ratio decidendi.
Il giudice di secondo grado, senza violare il principio di cui all’art. 112 c.p.c., si è pronunciato sull’originaria domanda subordinata, condannando gli appellanti a potare le piante fino all’altezza del muro divisorio ex art. 892 comma 4 c.c.
A tal proposito va ribadito che secondo costante giurisprudenza di legittimità, in tema di distanze degli alberi dal confine, ai sensi dell’art. 892 c.c., è legittima e non affetta da ultrapetizione la sentenza del giudice di merito che, nel giudizio instaurato con domanda di sradicamento degli alberi posti a dimora dal confinante proprietario a distanza inferiore a quella legale, ordini al convenuto medesimo di mantenere le piante ad altezza non eccedente la sommità del muro di cinta, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 892 c.c. (Cass. n. 9280 del 2008; Cass. n. 18284 del 2015).
Di converso, il Tribunale non si è pronunciato rispetto ai rami delle piante che si protendono in orizzontale verso il fondo confinante, fattispecie inquadrabile nell’art. 896 c.c. ed estranea dall’oggetto del giudizio.
In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte degli stessi ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di legittimità in favore del controricorrente che si liquidano in complessivi euro 3.000,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della 2^ Sezione civile in data 19 maggio 2022.
Depositato in Cancelleria il 1° dicembre 2022.