REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. STEFANO MOGINI -Presidente-
Dott. FILIPPO CASA -Relatore-
Dott. FRANCESCO CENTOFANTI -Consigliere-
Dott. STEFANO APRILE -Consigliere-
Dott. MARCO MARIA MONACO -Consigliere-
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(omissis) (omissis) nato a CATANIA il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 19/01/2023 della CORTE APPELLO di CATANIA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
letta la requisitoria inviata in forma scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020 e succ. mod., con la quale il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. MARCO DALL’OLIO, ha concluso per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Catania, in parziale riforma della decisione emessa, con rito abbreviato, in data 21 marzo 2018 dal G.U.P. del Tribunale di Catania, rideterminava in un anno, un mese e dieci giorni di reclusione la pena inflitta ad (omissis) (omissis) in quanto ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 75, comma 2, d.lgs n. 159 del 2011: nell’ipotesi accusatoria, avallata dai giudici di merito, l’imputato, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, aveva violato la prescrizione di non uscire di casa prima delle ore 6.00 e di non rincasare oltre le ore 21.00, non essendo stato rintracciato presso la propria abitazione dagli agenti operanti al momento del controllo effettuato alle ore 1.05 del 10 agosto 2017, senza che egli avesse comunicato cause di giustificazione e senza essere munito di autorizzazione.
1.1. In primo luogo, la Corte di appello respingeva, citando la giurisprudenza di legittimità, l’eccezione di nullità della sentenza, derivante, secondo la difesa, dalla nullità del verbale di elezione di domicilio, conseguente alla mancata sottoscrizione dello stesso da parte dell’imputato.
1.2. Nel merito, reputava non attendibile la versione dei fatti fornita dall’imputato, atteso che i Carabinieri tornarono per ben due volte presso l’immobile dove il (omissis) avrebbe dovuto trovarsi in orario notturno, suonando il clacson della vettura di servizio, attivando il sistema luminoso della stessa e, infine, entrando all’interno dello stabile, senza reperirvi l’imputato; rilevavano, inoltre, i giudici del gravame che, soltanto in sede di spontanee dichiarazioni rese all’udienza di discussione dell’appello (19 gennaio 2023), il (omissis) aveva riferito di non aver udito i Carabinieri in quanto si sarebbe trovato in un non meglio precisato seminterrato, mentre, nel giudizio di primo grado, aveva, diversamente, sostenuto di essersi trovato ai piani superiori dell’immobile, che, in realtà, gli operanti avevano accertato essere inaccessibili poiché bloccati da transenne e lamiere.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, per il tramite del difensore avv. (omissis) (omissis), sulla base di due motivi:
– con il primo, reitera l’eccezione processuale, già dedotta in appello, di nullità del verbale di elezione di domicilio e degli atti successivi e derivati;
– con il secondo, denuncia vizio di motivazione in relazione all’art. 533, comma 1, cod. proc. pen. poiché la Corte territoriale, nella sostanza, non avrebbe spiegato in modo adeguato le ragioni per le quali non aveva ritenuto verosimile la versione dei fatti resa dall’imputato circa la sua presenza all’atto del controllo degli operanti; o, per meglio dire, si sarebbe limitata a sottolineare, per dimostrarne l’inverosimiglianza, la difformità tra le due versioni rese al riguardo.
3. Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria redatta in forma scritta, in coerenza con la modalità prevista dall’art. 23 comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, e succ. nnod., in assenza di richieste di trattazione orale, ha concluso perché venga dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni che seguono.
1.1. Il primo motivo è manifestamente infondato in diritto.
Secondo l’orientamento di legittimità ormai prevalente, cui il Collegio intende dare continuità, la mancata sottoscrizione, da parte dell’indagato, del verbale contenente l’elezione di domicilio non ne determina l’invalidità, a meno che non risulti che egli abbia rifiutato di sottoscrivere l’atto eccependone la difformità rispetto alle dichiarazioni rese o all’intenzione di non dare più corso all’elezione di domicilio (Sez. 6, n. 33567 del 15/06/2021, Ben Soltana, Rv. 281931); è stato precisato, sul punto, che l’omessa sottoscrizione delle “persone intervenute” non è causa di nullità del verbale e che, in assenza della specifica indicazione di un motivo, l’atteggiamento dell’interessato non può intendersi mirato alla revoca della dichiarazione verbalizzata (Sez. 1, n. 50973 del 29/10/2019, Bossaidi, Rv. 277827); del resto, si è anche rimarcato, l’ordinamento non richiede per l’elezione di domicilio, avente natura di dichiarazione di volontà con valore negoziale, la forma scritta, e dunque, la necessaria sottoscrizione (Sez. 4, n. 24940 del 17/04/2019, Moualhi, Rv. 276456).
In base agli enunciati principi, del tutto correttamente la Corte di merito ha ritenuto ininfluente, nel caso in esame, sulla validità dell’atto e di quelli successivi, l’omessa sottoscrizione del verbale di elezione di domicilio da parte dell’imputato, non risultando essa accompagnata dalla specifica indicazione di un motivo che la giustificasse. Inconferente è il richiamo, operato in ricorso, a una giurisprudenza minoritaria e ormai superata (Sez. 5, n. 28618 del 18/05/2008, Rv. 240430).
1.2. Con il secondo motivo si esprimono doglianze di carattere assertivo ed aspecifico, in quanto con esse la difesa si limita ad insistere, in modo apodittico, sulla credibilità della versione fornita dal ricorrente nel giudizio di appello, senza confrontarsi per nulla con la motivazione fornita dalla Corte distrettuale, che, in modo non manifestamente illogico, ha chiarito, diversamente da quanto opinato in ricorso, le ragioni – di cui sopra si è dato atto e che qui si richiamano – per le quali non era possibile dare credito alle giustificazioni fornite, nell’ultimo momento processualmente utile, dall’imputato.
2. Dalla declaratoria di inammissibilità della impugnazione discende la condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di ipotesi di esonero, al versamento di un’ulteriore somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2024
Il Consigliere estensore Il Presidente
Filippo Casa Stefano Mogini
Depositato in Cancelleria il 17 giugno 2024.