Vettura piazzata al volo sullo stallo riservato ai disabili, esposta sul parabrezza la copia del contrassegno per il parcheggio invalidi: legittima la condanna (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 16 maggio 2022, n. 19189).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCARLINI Enrico Vittorio Stanislao – Presidente

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – Consigliere

Dott. DE MARZO Giuseppe – Rel. Consigliere

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) DEBORAH nata a MILANO il 27/10/19xx;

avverso la sentenza del 05/10/2020 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, Dott. Vincenzo Senatore, il quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Con sentenza del 05/10/2020 la Corte d’appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado che aveva condannato alla pena di giustizia Deborah (OMISSIS), avendola ritenuta responsabile del reato di cui all’art. 489 cod. pen. per avere fatto uso di un falso contrassegno per il parcheggio invalidi.

2. Nell’interesse dell’imputata è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1.Con il primo motivo si lamenta inosservanza ed erronea applicazione dell’art.489 cod. pen., rilevando:

a) che il contrassegno era realmente esistente e che la copia – comunque grossolana – a disposizione dell’imputata era utilizzata poiché non sempre lo stesso parente accompagnava la titolare del permesso – ossia la nonna dell’imputata – a fare le visite;

b) che, in ogni caso, l’imputata si era semplicemente recata all’interno del negozio dove lavorava per prendere le chiavi del portone e condurre il veicolo nel palazzo dove abitava.

2.2. Con il secondo motivo si lamenta la mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.

3. Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, dott. Vincenzo Senatore, il quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, per manifesta infondatezza e assenza di specificità, in quanto, per un verso, insiste nella tesi della grossolanità del falso, razionalmente esclusa dai giudici di merito alla luce della stessa necessità di esami strumentali di verifica (e ciò senza dire che, anche seguendo il ricorso, alcuni indicatori sospetti erano emersi solo quando gli operanti avevano potuto esaminare direttamente il documento loro esibito dalla donna da loro successivamente rintracciata) e, dall’altro, ripropone la tesi dei motivi contingenti del parcheggio, altrimenti non consentito nella zona all’imputata, laddove i primi sono del tutto irrilevanti, una volta che sia stato fatto uso del documento falso.

5. Inammissibile per assenza di specificità è anche il secondo motivo, dal momento che, come osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa, che ha ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., richiedendosi una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta che tenga conto anche del grado di colpevolezza desumibile dalle modalità della condotta e dell’entità del danno o del pericolo arrecato alla persona offesa e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto (Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590).

In tale cornice normativa, del tutto razionale è la valutazione espressa dalla Corte territoriale, quanto alla non particolare tenuità del fatto.

6. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso il 10/02/2022.

Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.