Vizi della consegna nel contratto di leasing e responsabilità dell’utilizzatore (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 25 luglio 2024, n. 20749).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati

LUIGI ALESSANDRO SCARANO                Presidente

CHIARA GRAZIOSI                                      Consigliere

PASQUALINA ANNA PIERA CONDELLO  Consigliere – Rel.

ANTONELLA PELLECCHIA                         Consigliere

GIUSEPPE CRICENTI                                   Consigliere

a pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24451/2022 R.G. proposto da:

IL RISTORANTE (omissis) DI (omissis) (omissis) E F.LLI S.N.C., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. (omissis) (omissis) (p.e.c.: ), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. (omissis) (omissis), in Roma, via (omissis) (omissis), n. 10

-ricorrente-

contro

(omissis) (omissis) INTERNATIONAL B.V. – Succursale di Milano – in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. (omissis) (omissis) (p.e.c.: (omissis)

– controricorrente–

avverso la sentenza del la Corte d’appello di Milano n. 2305 /2022, pubblicata in data 30 giugno 2022;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 aprile 2024 dal Consigliere dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La società Ristorante (omissis) di (omissis) (omissis) F.lli s.n.c. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo – con cui (omissis) (omissis) International B.V., Succursale di Milano, in qualità di concedente, aveva intimato , in relazione al contratto di locazione intercorso tra le parti, il pagamento di tre canoni per la complessiva somma di euro 8.554,84- chiedendo che venisse accertata la nullità, per simulazione assoluta, del contratto di leasing e, comunque , l’inesistenza della pretesa creditoria e, in via gradata, la intervenuta risoluzione del contratto, in ragione del recesso operato con la comunicazione trasmessa in data 13 settembre 2016 e della conseguente accettazione della locatrice; in via ancor più gradata, che venisse dichiarato il grave inadempimento dell’opposta all’obbligazione principale di consegna della merce oggetto di fornitura, deducendo che dei beni oggetto di locazione (lampadine e condizionatori), venduti alla concedente dalla fornitrice (omissis) (omissis) s.p.a., erano stati consegnati diciannove scatoloni contenenti le sole lampadine.

L’opposta eccepiva di avere provveduto al pagamento, in favore della fornitrice, del prezzo dei beni oggetto di locazione, in quanto l’utilizzatrice aveva firmato, senza riserve, il verbale di consegna dei beni.

Il Tribunale di Milano accoglieva l’opposizione, rilevando che la sola ricezione degli scatoloni contenenti le lampadine risultava supportata dalla circostanza che la opposta aveva ammesso di avere rinvenuto parte dei condizionatori presso la (omissis) (omissis) s.p.a. e che l’apparente contestualità della sottoscrizione del verbale di consegna e del contratto di leasing era contraddetta dalla clausola n. 5 del contratto di locazione, da cui si desumeva che la consegna doveva avvenire in un momento successivo a quello di sottoscrizione dell’accordo, cosicché era contraria a buona fede la condotta dell’opposta, che non si era attivata presso il fornitore per far pervenire il bene alla conduttrice.

2. La Corte d’appello di Milano ha accolto l’appello della società concedente, facendo applicazione del principio espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 19785/15, secondo cui ‹‹se l’utilizzatore accetta di sottoscrivere il verbale di accettazione, consegna e collaudo senza riserve pur a fronte di una consegna mancata o incompleta da parte del fornitore (invece di rifiutare la prestazione o far constare il rifiuto) pone il concedente nelle condizioni di dover adempiere la propria obbligazione verso il fornitore e non gli è consentito di opporre al concedente che la consegna non è stata completa oppure non è avvenuta, né può legittimamente sospendere il pagamento dei canoni››.

Ha, in particolare, osservato che, essendo pacifico che l’utilizzatore avesse sottoscritto il verbale di consegna senza riserve, la utilizzatrice era tenuta al pagamento de i canoni, poiché non ave va assolto l’obbligo di informare il concedente della eventuale mancata consegna dei beni, né rifiutato di apporre la propria firma sul verbale, così tenendo una condotta non conforme a buona fede.

A tanto la Corte territoriale ha aggiunto che l’accoglimento dell’impugnazione costituiva il naturale effetto del contenuto delle clausole 3, 8 e 2 del contratto di leasing, le quali spostavano in capo al conduttore il rischio di mancata o ritardata consegna dei beni locati, cosicché a nulla rilevava che la concedente sapesse della presenza dei beni presso la (omissis) (omissis) s.p.a., essendo ciò avvenuto dopo l’adempimento dell’obbligazione di pagamento nei confronti del fornitore.

3. Il Ristorante (omissis) di (omissis) (omissis) F.lli s.n.c. ricorre per la cassazione della suddetta decisione, con sette motivi.

(omissis) (omissis) International B.V. – Succursale di Milano – resiste mediante controricorso.

4. Il ricorso è stato avviato per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis.1. cod. proc civ. ed entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrent e denunzia la ‹‹ violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c. – art. 1363 c.c., art. 112 c.p.c., art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.››, per avere i giudici di appello, sulla base dei principi espressi dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 19785/15, ritenuto che il Tribunale avesse errato nell’addebitare l’inadempimento alla locatrice.

A supporto della censura evidenzia che è documentalmente provato chela concedente , con comunicazione del 26 luglio 2016, le aveva inviato, in pari data, per la sottoscrizione, il contratto di leasing e l’allegato verbale di consegna, prima ancora che avvenisse, in data 1° settembre 2016, la sola consegna di una minima parte della fornitura, e che, con successiva comunicazione del 13 settembre 2016, inviata alla concedente ed alla fornitrice, aveva contestato la mancata consegna dei beni oggetto del contratto di locazione e manifestato la volontà di procedere alla risoluzione del contratto di leasing ed alla restituzione delle lampadine led già ricevute; diversamente da quanto ritenuto dal giudice d’appello, pertanto, proprio sulla base dei principi delle richiamate Sezioni Unite, la concedente, essendo stata tempestivamente informata della mancata consegna dei beni, avrebbe dovuto sospendere il pagamento del prezzo nei confronti del fornitore.

Soggiunge che la conoscenza, da parte della concedente, della mancata consegna dei beni si evince pure: dalla comunicazione, fatta pervenire alla utilizzatrice in data 5 ottobre 2016, con la quale la procuratrice speciale della società concedente aveva accetta to la riconsegna dei beni, informandola di avere delegato alla società (omissis) s.r.l. le operazioni di ritiro della fornitura; dalla comunicazione della (omissis) s.r.l. del 5 ottobre 2016, con cui si faceva presente che al ritiro dei beni, ovvero dei 19 scatoloni di lampadine, avrebbe provveduto la società (omissis) (omissis) s.r.l.; dalla circostanza che, in data 6 ottobre 2016, la società (omissis) (omissis) s.r.l., a mezzo dell’incaricato (omissis) (omissis), aveva proceduto al ritiro della merce, come da verbale di riconsegna, dichiarando che la concedente non aveva altro a pretendere nei confronti del Ristorante (omissis).

Ad ulteriore conferma della conoscenza della mancata consegna evidenzia pure che, in data 29 settembre 2016, la (omissis) (omissis) s.p.a. le aveva inviato altra comunicazione, con la quale, dando atto dell’avvenuto invio delle lampadine Led e non dei climatizzatori, l’aveva invitata a sottoscrivere un nuovo contratto di locazione operativo, riferito ai soli prodotti LED, in sostituzione del precedente.

Assume, quindi, che tutti i documenti sopra richiamati, di cui la Corte d’appello non aveva tenuto conto, essendosi limitata ad attribuire rilevanza al solo verbale di consegna dei beni, offrono la prova che tutte le parti del rapporto d leasing e la stessa fornitrice fossero edotte della mancata consegna dei beni e “sconfessano” l’assunto, su cui poggia la decisione impugnata, che la (omissis) (omissis) non fosse stata tempestivamente portata a conoscenza della mancata fornitura dei beni in epoca precedente al pagamento del prezzo da essa asseritamente eseguito, di cui non era stata peraltro fornita prova.

1.1. Il motivo è sotto plurimi profili inammissibile.

1.2. Va anzitutto osservato che la doglianza è formulata in violazione del requisito a pena d’inammissibilità prescritto all’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., atteso che la ricorrente pone a base delle mosse censure atti e documenti del giudizio di merito, in particolare, la comunicazione del 13 settembre 2016, dalla stessa inoltrata alla (omissis) (omissis) s.p.a., quella del 5 ottobre 2016, asseritamente proveniente dalla procuratrice speciale della (omissis) (omissis), la comunicazione del 6 ottobre 2006, con cui la CRB aveva delegato le operazioni di ritiro dei beni, il verbale di consegna dei beni redatto in pari data, la quietanza liberatoria del 6 ottobre 2016, altra comunicazione inviata dalla (omissis) (omissis) s.p.a. in data 29 settembre 2016, limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte strettamente d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, con precisazione anche dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti pure in sede di giudizio di legittimità, cosicché la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rende il ricorso inammissibile (cfr. Cass., sez. U, 19/4/2016, n. 7701; Cass., sez. U, 27/12/2019, n. 34469).

Così facendo, come precisato dalla pronuncia delle Sezioni Unite da ultimo richiamata, la ricorrente non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, dovendosi qui ribadire che i requisiti di formazione del ricorso rilevano ai fini della relativa giuridica esistenza e conseguente ammissibilità, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (in senso conforme, Cass., sez. 1, 01/07/2022, n. 1248).

D’altro canto, di recente, anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha confermato la compatibilità del requisito di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. con il principio di cui all’art. 6, § 1, della CEDU, a norma del quale «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…)» – purché, secondo il criterio di proporzionalità, non si trasmodi in un “formalismo eccessivo” – anche alla luce della sua pregressa giurisprudenza in tema di «limitazioni del diritto di accesso a una giurisdizione superiore», e in particolare alla Corte di cassazione, in ragione delle peculiarità del relativo procedimento (v. sentenze 5 aprile 2018, Zubac c. Croazia; 27 giugno 2017, Sturm c. Lussemburgo; 18 ottobre 2016, Miessen c. Belgio; 15 settembre 2016, Trevisanato c. Italia; 2 giugno 2016, Papaioannou c. Grecia).

Difatti, con la sentenza del 28 ottobre 2021 (Succi ed altri c. Italia), la Corte di Strasburgo ha concluso che le condizioni imposte per la redazione del ricorso per cassazione – e in particolare l’applicazione del principio di autosufficienza – perseguono uno scopo legittimo, segnatamente quello di «agevolare la comprensione della causa e delle questioni sollevate nel ricorso e permettere alla Corte di Cassazione di decidere senza doversi basare su altri documenti, affinché quest’ultima possa mantenere il suo ruolo e la sua funzione, che consistono nel garantire in ultimo grado l’applicazione uniforme e l’interpretazione corretta del diritto interno (nomofilachia)» e dunque, in ultima analisi, «la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia» (par. 73-75).

1.3. Sotto altro profilo il motivo in esame, pur formalmente proponendo la censura di erronea interpretazione del contenuto del contratto, di non corretta applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere della prova e di vizio procedurale di omessa pronuncia, per inferirne una responsabilità in capo alla odierna controricorrente, è, nella sostanza, esclusivamente funzionale ad una non consentita rivisitazione del merito della vicenda fattuale, preclusa in sede di legittimità.

1.4. Con specifico riferimento alla contestata violazione dei criteri ermeneutici di interpretazione, va ribadito che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’interpretazione del contratto, concretandosi nell’accertamento della volontà dei contraenti, si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo per il caso di insufficienza o contraddittorietà della motivazione, tale da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione, o per violazione delle regole ermeneutiche, cosicché non si sottrae alla declaratoria d’inammissibilità ogni critica che investe la ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca, come nella specie, nella sola prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto vagliati dal giudice di merito (tra le tante, Cass., sez. 3, 31/03/2006, n. 7597; Cass., sez . 3, 01/04/2011, n. 7557; Cass., sez.3, 14/0 2/2012, n. 2109; Cass., sez. 3, 29/07/2016, n. 15763).

Difatti, per far valere una violazione sotto i sopra richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati e se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in questa sede (Cass., sez. 3, 11/03/2014, n. 5595; Cass., sez. 6 -3, 27/02/2015, n. 3980; Cass., sez. 3, 19/07/2016, n. 14715); pertanto, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma solo che sia una delle plausibili interpretazioni e, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass., 22/02/2007, n. 4178; Cass., 03/09/2010, n. 19044).

1.5. Anche la dedotta violazione del precetto dell’art. 2697 cod. civ. non si sottrae alla declaratoria d’inammissibilità, essendo configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del riformulato art. 360 , primo comma, n. 5 , c od. proc. civ. ) ( Cass., s ez. 3 , 29/05/2018, n. 13395 ; Cass., sez. 6 -3, 31/08/2020, n. 18092).

1.6. Del tutto inesplicata è rimasta, invece, la violazione dell’error in procedendo, non essendo evincibili dalla illustrazione del motivo le ragioni per le quali il giudice sarebbe incorso nella violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.

1.7. Laddove si fa espresso riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il vizio non è stato idoneamente censurato, posto che tale norma (nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, convertito dalla l. n. 143 del 2012, applicabile ratione temporis) si riferisce al l’omesso esame di un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico (Cass., s ez. U, 07/04/ 2014 , n. 8053 e n. 8054; Cass , sez. 5, 03/10/2018, n. 24035), non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” (Cass., sez. 6 -1, 26/01/2022, n. 2268; Cass., sez. 6-1, 06/09/2019, n. 22397 ; Cass., sez. 2, 14/06/2017, n.14802).

Con la ulteriore conseguenza, tra l’altro, che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, tale vizio, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. 2, 29/10/2018, n. 27415; Cass., sez. 1, 23/03/2017, n. 7472); rimane ndo, per tanto, estranea dall’ambito del paradigma del vizio in questione qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si sia formato in esito all’esame del materiale istruttorio (Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940; Cass., sez. 2, 19/07/2021, n. 20553).

2. Con il secondo motivo, censurando la sentenza impugnata per ‹‹violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c., 1375 c.c., artt.115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.››, la ricorrente contesta alla Corte d’appello di avere travisato le risultanze processuali, in quanto, pur rilevando che i beni non erano stati mai consegnati all’utilizzatrice, aveva erroneamente ritenuto che la semplice sottoscrizione del verbale di consegna, allegato al contratto di leasing, potesse legittimare la richiesta di pagamento dei canoni, pur in assenza della minima utilizzazione degli stessi.

Evidenzia, sul punto, che la presunta consegna dei beni era smentita dalle stesse pattuizioni contrattuali ed in particolare dall’art. 5.1. del contratto di leasing (che recita: ‹‹ Il conduttore concorderà direttamente con il fornitore le modalità di consegna del bene, rispettando le condizioni stabilite nell’ordine di acquisto dei beni … la consegna dei beni dal fornitore al conduttore costituirà consegna dal locatore al conduttore, ai fini del presente contratto››), dal quale emergeva che la consegna dei beni oggetto del contratto era stata contrattualmente convenuta in un momento successivo a quello della sottoscrizione del contratto, e che alla data di sottoscrizione del contratto di leasing e del verbale di consegna (26 luglio 2016) non poteva ritenersi avvenuta la ricezione dei beni oggetto di locazione, che, invece, era pacificamente intervenuta solo in data 1° settembre 2016.

Le pattuizioni contrattuali, ove correttamente interpretate, avrebbero dovuto condurre ad affermare che non fosse materialmente possibile che alla data del 26 luglio 2016 la utilizzatrice potesse avere ricevuto i beni oggetto di locazione prima ancora di avere sottoscritto il contratto stesso.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Invero, l’odierna ricorrente, pur riproponendo la censura di erronea interpretazione delle previsioni contrattuali e del principio di buona fede che deve regolare l’esecuzione del contratto, tende surrettiziamente, in termini peraltro assolutamente generici, a criticare il convincimento espresso nella sentenza impugnata in modo difforme dalle proprie aspettative e non si confronta con la ratio su cui poggia la decisione, che, muovendo da una consolidata giurisprudenza di questa Corte, ha attribuito valore determinante alla sottoscrizione senza riserve del verbale di consegna dei beni oggetto di locazione.

2.3. A fronte della riconosciuta sottoscrizione del verbale di consegna, sia pure avvenuta contestualmente alla sottoscrizione del contratto di leasing, e della stipulazione del contratto di compravendita, ad esso collegato, concluso tra la società fornitrice e la controricorrente, la Corte territoriale ha fatto applicazione del principio che, se l’utilizzatore accetta di sottoscrivere senza riserve il verbale di consegna pure a fronte di una consegna mancante od incompleta da parte del fornitore, invece di rifiutare la prestazione o far constare il rifiuto nel relativo verbale, egli pone il concedente nelle condizioni di dover adempiere alle proprie obbligazioni verso il fornitore (tra le quali, principalmente il pagamento del prezzo) e non gli è consentito di opporre al concedente che la consegna non è stata completa o che non è avvenuta, né tanto meno può pretendere di sospendere il pagamento dei canoni (Cass., sez. 3, 23/05/2012, n. 8101; Cass., sez. U, 05/10/2015 n . 19785; Cass., sez. 3, 23/05/2019, n. 13953).

Difatti, la scissione tra soggetto destinato a ricevere (dal fornitore) la prestazione di consegna e soggetto destinato ad adempiere (nei confronti del fornitore) l’obbligazione di pagamento del prezzo non consente al concedente di pagare il prezzo indipendentemente dall’avvenuta consegna, ma giustifica, sulla base dell’art. 1375 cod. civ., che il concedente stesso possa fare affidamento sull’autoresponsabilità dell’utilizzatore nel ricevere la consegna dal fornitore, atteso che utilizzatore e concedente hanno, nei confronti del fornitore, un interesse comune (sicché su entrambi grava un onere di collaborazione) (Cass., n. 8101/12, cit).

In altri termini, il collegamento negoziale che intercorre tra il contratto di locazione finanziaria ed il contratto di compravendita in vista della realizzazione di una causa concreta unitaria, ravvisata nell’interesse dell’utilizzatore ad ottenere il godimento della cosa, impone alle parti un dovere di reciproca cooperazione che si traduce per l’utilizzatore nell’obbligo di informare o di avvisare il concedente circa la eventuale mancata consegna del o dei beni, di rifiutare di sottoscrivere il verbale, ove la consegna non sia stata eseguita, e di far constatare la mancata consegna, proprio al fine di evitare alla società concedente il pagamento del prezzo al fornitore.

2.4. Ebbene, nel caso di specie, i giudici di appello, in conformità a tali principi, hanno accertato che l’odierna ricorrente, che, secondo le previsioni contrattuali doveva ricevere i beni oggetto del contratto di locazione finanziaria direttamente dalla fornitrice, non aveva tenuto un comportamento improntato a buona fede, al fine di salvaguardare l’interesse della concedente, per non avere tempestivamente comunicato all’odierna controricorrente la mancata consegna dei beni ed hanno, per l’effetto, ritenuto che alla concedente, che aveva fatto affidamento sulla situazione di apparenza creatasi in conseguenza della sottoscrizione senza riserve del verbale di consegna dei beni, non potesse essere addebitata la violazione dell’obbligo comportamentale di cui all’art. 1375 cod. civ.

E non avendo la ricorrente dimostrato che (omissis) (omissis) International B.V. fosse consapevole o avesse avuto contezza, prima di adempiere all’obbligo di pagamento del corrispettivo alla fornitrice, che la situazione di apparenza ingenerata dal verbale di consegna era falsa, la Corte d’appello ha, implicitamente, pure escluso che si potesse pretendere che la concedente, in ragione della contestuale sottoscrizione del contratto di leasing e del verbale di consegna, fosse tenuta a chiedere conferma all’utilizzatrice, a distanza di qualche tempo, dell’avvenuta consegna dei beni oggetto di locazione.

Alla luce della ricostruzione della vicenda operata dalla Corte territoriale, non è dunque prospettabile la pretesa responsabilità della concedente, né sono ravvisabili le censure rivolte alla decisione gravata, sostanzialmente tendenti ad una diversa valutazione del medesimo corredo probatorio, già adeguatamente vagliato dai giudici di merito.

3. Con il terzo motivo, prospettando la ‹‹violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 c.c., 1455 c.c., art. 112 c.p.c., 115 14 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.››, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo ignorando il palese inadempimento della concedente, che aveva effettuato a mezzo del fornitore la consegna parziale dei beni indicati nel contratto di leasing, omettendo di far pervenire tutti i climatizzatori ed i macchinari che costituivano l’oggetto principale della fornitura.

Rimarca, sul punto, che la prova inequivoca dell’inadempimento trova conferma nella comunicazione del 16 marzo 2017, proveniente da (omissis) (omissis), con cui quest’ultima, rappresentando di avere rinvenuto i beni oggetto del contratto di leasing (macchinari e climatizzatori), aveva offerto alla utilizzatrice, a distanza di mesi, quegli stessi beni che fino a quel momento la stessa aveva asserito essere nella disponibilità della utilizzatrice per essere stati asseritamente consegnati in data 26 luglio 2016; nonché nel comportamento successivo alla risoluzione del contratto di leasing tenuto dalla concedente, che aveva chiesto il pagamento immediato di tre canoni di locazione, sebbene la merce non fosse stata consegnata, la restituzione dei beni non consegnati ed il pagamento della ulteriore somma di euro 99.261,25 a titolo di penale per anticipata risoluzione contrattuale.

Il motivo è inammissibile perché non si confronta con il percorso argomentativo della sentenza in questa sede impugnata che, tenendo conto della estraneità della concedente al rapporto utilizzatore – fornitore e della libertà, desumibile dalle stesse allegazioni di parte ricorrente, lasciata alla utilizzatrice di concordare con il fornitore le modalità di consegna dei beni oggetto di leasing, ha sostanzialmente negato che potesse profilarsi in riferimento alla consegna un inadempimento in capo alla concedente e reputato, al contrario, che l’utilizzatore, inviando il verbale di consegna sottoscritto senza riserve, dovesse rimanere vincolato alle conseguenze del proprio comportamento, potendo solo dalla tempestiva conoscenza della mancata consegna scaturire un obbligo, a carico della concedente, di astenersi dal corrispondere al fornitore il pagamento del prezzo dovuto.

Né, d’altro canto, può attribuirsi rilevanza alla comunicazione del 16 marzo 2017, che la ricorrente richiama a supporto del grave inadempimento imputato alla concedente, e ciò sia perché il contenuto del documento non è stato riportato in ricorso, in violazione della prescrizione imposta dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., sia perché esso risale ad epoca sicuramente successiva all’adempimento dell’obbligo della concedente nei confronti della fornitrice.

4. Con il quarto motivo la ricorrente denunzia la ‹‹ violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c., 1375 c.c., 112 c.p.c., 115 c.p.c., 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.››, per non avere il giudice d’appello considerato che la scelta operata dalla società concedente di procedere comunque all’acquisto dei beni ed al pagamento del prezzo degli stessi, pur in presenza di comunicazione inviata dalla utilizzatrice in data 13 settembre 2016 di mancata ricezione dei beni oggetto di locazione, concretava palese violazione del principio di buona fede contrattuale; sotto altro profilo, deduce la nullità delle clausole che spostavano in capo all’utilizzatore il rischio di mancata consegna dei beni (clausole nn. 3, 8 e 2 del contratto di leasing), perché vessatorie.

Il motivo è inammissibile: quanto al primo profilo di doglianza, perché la Corte d’appello, per quanto già sopra spiegato, ha ritenuto non dimostrata la circostanza che l’utilizzatore avesse tempestivamente portato la concedente a conoscenza della asserita mancata consegna dei beni oggetto di locazione; quanto, invece, alla presunta invalidità di alcune clausole del contratto di leasing , perché la parte ricorrente, non trascrivendo in ricorso, in violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., il contenuto di tali clausole, non pone questa Corte nella condizione di poter valutare l’eccezione sollevata.

5. Con il quinto motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per ‹‹violazione degli artt. 112, 115, 116 c.p.c., 2697 c.c., in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.››, per avere la Corte d’appello posto a fondamento della decisione un fatto, ossia il presunto pagamento dei beni da parte del concedente al fornitore, peraltro non provato, che esulava da quelli posti a fondamento della pretesa e poggiato la decisione sul presupposto, errato, che l’utilizzatrice non avesse informato la concedente della mancata consegna dei beni.

5.1. La censura è , in primo luogo, in ammissibile per sovrapposizione di motivi di impugnazione eterogenei(in particolare, degli artt. 115, 116 cod. proc. civ., 2697 cod. civ. e 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), per lo più rimasti privi di qualsiasi illustrazione; la formulazione del motivo non permette, invero, di cogliere le doglianze prospettate, onde consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., sez. 1, n. 39169 del 09/12/2021 ; Cass., sez. U, 06/05/ 2015, n.9100).

5.2. Non pertinente è, invece, il richiamo all’art. 112 cod. proc. civ.

Occorre, al riguardo, rammentare che il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (petitum e causa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato) (Cass., s ez. 1 , 11/04/2018, n. 9002; Cass., sez. 2, 21/03/2019, n. 8048).

A sua volta, il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto o pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ., si ha quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass., s ez. 1 , 13 /06/ 1972, n. 1853; Cass., s ez. 5 , 16/05/2012, n. 7653; Cass., sez. 6 – 5, 27 /11/ 2017, n. 28308).

Il vizio di cui all’art. 112 cod. proc. civ. riguarda, dunque, soltanto l’ambito oggettivo della pronunzia e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione (Cass., sez. 2, 21/04/1976, n. 1397; Cass., sez. 2, 26/01/2021, n. 1616).

6. Con il sesto motivo è dedotta la ‹‹ violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.››; la ricorrente addebita alla Corte territoriale di avere ignorato il riconoscimento, da parte della odierna controricorrente, della mancata consegna dei beni, contenuto a pag. 18 dell’atto di appello.

Il motivo è inammissibile.

L’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass., sez. 2, n. 27490 del 28/10/2019).

In ogni caso, nella specie, come si evince dallo stralcio dell’atto di appello riportato in ricorso, (omissis) (omissis) International B.V., nel rassegnare le conclusioni, si è limitata a richiedere, in via subordinata e nella sola ipotesi di rigetto della pretesa formulata in via principale, ‹‹di ritenere risolto il contratto di leasing operativo, solo parzialmente, con riferimento ai beni che si presumono non consegnati…››, ma tale domanda, per come avanzata, non può intendersi come ammissione di fatti dedotti a sostegno dell’opposizione a decreto ingiuntivo, ma piuttosto come una possibile argomentazione difensiva rispetto ai motivi di opposizione fatti valere dalla controparte.

7. Con il settimo motivo, denunziando la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la ricorrente censura la statuizione sulle spese di lite, evidenziando che la corretta delibazione della vicenda avrebbe imposto il rigetto del gravame e la condanna della parte appellante al pagamento delle spese del grado.

La censura è inammissibile.

Trattasi di un ‹‹non motivo››, dato che si limita a postulare la caducazione della condanna alle spese come conseguenza della cassazione della sentenza in forza dell’accoglimento dei motivi, sebbene tale effetto operi ai sensi dell’art. 336, primo comma, cod. proc. civ.

8. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.800,00 per onorari , oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di Cassazione il giorno 29 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.