LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ADRIANA DORONZO – Presidente –
Dott. MARGHERITA MARIA LEONE – Consigliere –
Dott. ANTONELLA PAGETTA – Rel. – Consigliere –
Dott. FABRIZIO AMENDOLA – Consigliere –
Dott. GUALTIERO MICHELINI – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 28933-2021 proposto da:
(omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in ROMA, (omissis), presso lo studio degli avvocati (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) che lo rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
(omissis) S.R.L., in persona del legale rappresentante, pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA (omissis), presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (omissis) (omissis);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3665/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 18/10/2021 R.G.N. 2124/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/06/2024 dal Consigliere, Dott.ssa ANTONELLA PAGETTA.
Rilevato che
1. la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva a sua volta confermato l’ordinanza ex art 1 comma 49, I. n. 92/2012, di rigetto della domanda di accertamento della illegittimità del licenziamento per giusta causa intimate a (omissis) (omissis) da (omissis) s.r.I. sulla base di contestazione che addebitava al dipendente lo svolgimento, nei giorni di assenza per malattia, di attività extralavorative incompatibili con la malattia certificata ovvero di trovarsi in uno stato di salute compatibile con la prestazione lavorativa;
2. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso (omissis) (omissis) sulla base di due motivi;
la parte intimata ha resistito con controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memoria;
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 5 nonché 3 e 4, I. n. 300/1970, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto legittimi gli accertamenti investigativi disposti dalla società datrice di lavoro, accertamenti che assume sostanzialmente intesi alla verifica della idoneità al lavoro del dipendente e del suo stato di malattia, e pertanto espletati in violazione dei limiti posti dal legislatore in materia ed in particolare in violazione del combinato disposto degli 3 e 5, I. 300/1970 che riserva solo agli Istituti Specializzati di diritto pubblico il controllo sulla idoneità fisica del lavoratore a rendere la prestazione lavorativa;
2. con il secondo motive di ricorso deduce ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli artt. 1174, 1375, 2015 e 2106 c.c., violazione e falsa applicazione del c.c.n.l. Chimici farmaceutici in tema di “licenziamenti per mancanze” nonché dell’art. 30, I. n. 183/2010 in tema di sindacabilità della scelta datoriale.
In relazione al primo profilo denunzia il vizio di sussunzione nel quale era incorsa la Corte distrettuale con riferimento alla gravità dei fatti addebitati ed in questa prospettiva evidenzia che l’inadempimento del dipendente era stato ridimensionato dal primo giudice, avuto riguardo all’intensità del dolo, al grado di affidamento connesso alle mansioni – di operaio comune – assegnate, alla durata del rapporto di lavoro ed all’assenza di sanzioni disciplinari.
In relazione al secondo profilo, si duole che la concreta fattispecie sia stata ricondotta all’ipotesi punita dal contratto collettivo con sanzione espulsiva; sostiene, infatti, che alla ritenuta dal giudice del reclamo “giustificatezza dell’assenza per malattia” doveva conseguire la mancanza di rilievo disciplinare della condotta del lavoratore; deduce quindi la violazione dell’art. 30, l. n. 183/2010 che impone al giudice di tener conto delle previsioni del c.c.n.l.;
3. il primo motivo di ricorso é infondato;
3.1. non sussiste la denunziata violazione dei limiti entro i quali é consentito al datore di lavoro lo svolgimento di accertamenti investigativi; come correttamente evidenziato dalla Corte di merito, gli accertamenti disposti dalla società erano legittimi in quanto non avevano finalità di tipo sanitario ma miravano a verificare se le plurime specifiche condotte extralavorative, poi contestate, fossero o meno compatibili con la malattia addotta dal lavoratore per giustificare l’assenza dal lavoro e dunque l’idoneità della predetta malattia a determinare uno stato di incapacità lavorativa;
premesso che non é validamente contrastata l’affermazione relativa alla finalità degli accertamento investigativi in oggetto, la sentenza impugnata é in diritto corretta in quanto conforme alla giurisprudenza di questa Corte che ha costantemente affermato la legittimità del controlli affidati ad agenzie investigative, anche al di fuori di locali aziendali, ove non aventi ad oggetto l’espletamento dell’attività lavorativa, e che le disposizioni dell’art. 5 st. lav., che vietano al datore di lavoro di svolgere accertamenti sulle infermità per malattia o infortunio del la voratore dipendente e lo autorizzano a effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa rilevante e, quindi, a giustificare l’assenza (Cass. n. 11697/2020, Cass. n. 15094/2018, Cass. n. 25162/2014, Cass. 6236/2001);
4. il secondo motivo di ricorso presenta profili di inammissibilità e di infondatezza;
4.1. la sentenza impugnata, nel verificare la riconducibilità della concreta fattispecie alle condotte di rilievo disciplinare considerate dal contratto collettivo, ha escluso innanzitutto la sussumibilità del fatto oggetto di addebito nell’ambito della ipotesi dell’ “assenza ingiustificata” essendo pacifico che la assenza per malattia era stata giustificata tramite certificati medici; ha ritenuto quindi che la condotta del dipendente si poneva in contrasto con i generali doveri di correttezza e buona fede nonché con gli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nell’esecuzione del contratto che avrebbero imposto al lavoratore, assente per malattia, di comunicare al datore di lavoro l’intervenuto anticipato recupero delle proprie abilità e di non svolgere attività extralavorative che potessero ritardare o pregiudicare la ripresa del servizio; ha ritenuto in concreto sussistente la giusta causa di licenziamento per comportamenti rimproverabili quanta meno a titolo di colpa e denotanti imprudenza, abitudinaria noncuranza verso gli obblighi contrattuali, scarsissima inclinazione a collaborare con la controparte per consentire il regolare funzionamento del rapporto negoziale; ha ritenuto che il complesso di tali elementi giustificava il giudizio negativo sul futuro esatto adempimento della prestazione di lavoro;
4.2. la valutazione del giudice di merito in ordine alla sussistenza della giusta causa di licenziamento non é validamente inficiata dalle censure sul punto articolate da parte ricorrente la quale, pur formalmente denunziando violazione di norme di diritto, sotto il profilo della non corretta applicazione delle clausole generali di cui agli artt. 2119 e 2106 cod. civ., non individua alcuno specifico contrasto con i criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale e dalla coscienza sociale in relazione ai parametri astratti ai quali ha fatto riferimento il giudice di merito nel ritenere la configurabilità della giusta causa di licenziamento, come, viceversa, richiesto per la denunzia di violazione ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c. riferita alle norme richiamate in rubrica (Cass. n. 28492/2018; Cass. n. 7426/2018, Cass. n. 25144/2010, Cass. n. 7838/2005), sembra richiedere un rinnovato apprezzamento delle circostanze di causa, apprezzamento estraneo al controllo devoluto al giudice di legittimità;
4.3. infine é da escludere la dedotta violazione del contratto collettivo, prospettata anche in relazione all’art. 30, l. n. 183/2010, alla luce della corretta lettura che ne ha dato il giudice del merito, il quale con ragionamento congruo ed esaustivo ha escluso che il fatto addebitato potesse essere ricondotto tra le condotte sanzionabili con misure conservative, non trattandosi nel caso di specie di una semplice assenza dal servizio bensì di una condotta caratterizzata da un quid pluris, e, in particolare, dall’aver il lavoratore tenuto – in violazione delle regole che presidiano la disciplina e la diligenza del lavoro – un comportamento contrario allo stato di malattia ovvero dall’aver taciuto di trovarsi in uno stato compatibile con lo svolgimento dell’attività lavorativa;
deve aggiungersi che il giudizio di gravità e proporzionalità deIla condotta rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, ed é insindacabile in sede di legittimità (v. tra le altre, Cass. 17321/2020);
5. al rigetto del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente alle spese di lite ed al pagamento raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma quater d.p.r. n. 115/2002, nella sussistenza dei relativi presupposti processuali;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 4 giugno 2024
Il Presidente
Dott.ssa Adriana Doronzo
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2024.