REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MICCOLI Grazia Rosa Anna – Presidente –
Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere –
Dott. BELMONTE Maria Teresa – Consigliere –
Dott. SESSA Renata – Consigliere –
Dott. RICCARDI Giuseppe – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BREDIC Danni, nato a Udine il 13/05/19xx;
avverso la sentenza del 01/10/2020 della Corte di Appello di Trieste;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE RICCARDI;
lette le richieste scritte ai sensi dell’art. 23, co. 8, dl. 28 ottobre 2020, n. 137, del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa Olga Mignolo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 01/10/2020 la Corte di Appello di Trieste, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Udine del 28/03/2018, ha dichiarato non doversi procedere in ordine ai reati di truffa (capi A e C) per essere estinti per remissione di querela, ed ha confermato l’affermazione di responsabilità penale nei confronti di Bredic Danni per i due reati di sostituzione di persona (capi B e D), per avere dichiarato a (OMISSIS) Luca e a (OMISSIS) Valentina, che avevano posto in vendita, rispettivamente, un orologio Rolex e monili e pietre preziose, di chiamarsi Daniele e di essere un agente della Polizia di Stato in servizio alla Questura di Udine, così inducendoli a consegnargli gli oggetti di valore, di cui si appropriava.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Bredic Danni, Avv. Rosa (OMISSIS), deducendo la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato di sostituzione di persona, sostenendo che la condotta attribuita all’imputato non integrerebbe il reato di cui all’art. 494 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile, non soltanto perché del tutto generico, per l’assertività e l’omesso concreto confronto argomentativo con la sentenza impugnata, ma altresì perché manifestamente infondato.
2. La sentenza impugnata ha affermato la responsabilità penale dell’imputato per i reati di sostituzione di persona, per essersi, al fine di ingannare le vittime in ordine alla propria identità, attribuito un falso nome, sostenendo in entrambi i casi di chiamarsi “Daniele”, ed una qualità inesistente, sostenendo di essere un agente di polizia (addirittura, in un caso ha dato appuntamento alla vittima dinanzi alla Questura per rendere più credibile la circostanza).
Al riguardo, l’art. 494 cod. pen. punisce “chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome o un falso stato ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici”.
Nel caso in esame, dunque, non ricorrono dubbi in ordine alla tipicità del fatto, avendo l’imputato attribuito a sé un falso nome (“Daniele”) ed una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici (essere un agente di polizia), che, per il lavoro che svolge e la qualifica che ricopre, ha il compito di proteggere i cittadini da comportamenti delittuosi, cui consegue un ragionevole affidamento del cittadino nella liceità delle sue condotte.
La motivazione appare dunque immune da censure, e conforme al consolidato insegnamento di questa Corte, secondo cui integra il delitto di sostituzione di persona qualsiasi condotta ingannevole tesa a far attribuire all’agente, da parte del soggetto passivo, un falso nome o un falso stato o false qualità personali cui la legge attribuisce specifici effetti giuridici (Sez. 5, n.11406 del 12/06/2014, dei. 18/03/2015, Resta, Rv. 263057, con riferimento ad una fattispecie in cui l’imputato si era falsamente qualificato come Carabiniere alla persona offesa, subito dopo averla aggredita, allo scopo di farla desistere dal richiedere l’intervento delle forze dell’ordine, nell’erroneo convincimento di trovarsi al cospetto di un militare dell’Arma), ovvero la condotta del soggetto che, attribuendosi falsamente una qualifica professionale, ponga in essere atti che, anche se non riservati in via esclusiva ai soggetti dotati di speciale abilitazione, siano comunque ad essa connessi, poiché a tale qualifica la legge ricollega gli effetti giuridici tipici della professione (Sez. 2, n. 21705 del 17/04/2019, Polidori, Rv. 276447, con riferimento ad una fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la condanna dell’imputato che, qualificatosi falsamente come avvocato, incamerava somme di denaro, che diversamente non gli sarebbero state versate, per acquistare un immobile, asseritamente oggetto di una procedura esecutiva in realtà inesistente).
3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di €. 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 15/11/2021.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2022.