Visibili le molteplici sconnessioni del manto stradale: niente risarcimento per l’uomo finito a terra (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 27 luglio 2022, n. 23462).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28246/2021 R.G. proposto da:

(OMISSIS) ROMANO, elettivamente domiciliato in presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) GIULIANO (V(OMISSIS)0L) che lo rappresenta e difende;

-ricorrente-

contro

COMUNE DI RIETI, elettivamente domiciliato in ROMA VIA (OMISSIS), 72, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) PIERO (V(OMISSIS)8T) rappresentato e difeso dall’avvocato DANESI (OMISSIS) FRANCESCO (D(OMISSIS)2U);

-controricorrente-

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 2476/2021 depositata il 06/04/2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/07/2022 dal Consigliere, Dott.ssa ANTONELLA PELLECCHIA.

Rilevato che:

1. Nel 2012, Romano (OMISSIS) conveniva in giudizio il Comune di Rieti al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa di una caduta dovuta ad una grave sconnessione del manto stradale.

A fondamento della propria pretesa l’attore deduceva che, mentre camminava lungo il marciapiede della strada cittadina di via S. Sassetti, era inciampato in corrispondenza di una grave sconnessione del manto pedonale, riportando gravi lesioni personali, con periodi di invalidità temporanea e postumi permanenti.

Chiedeva, quindi, che venisse accertata la responsabilità del Comune di Rieti, ai sensi dell’art. 2051 c.c., con consequenziale condanna al risarcimento dei danni nella misura di 60.000,00 euro o quella, inferiore o superiore, che sarebbe risultata nel corso del giudizio.

Il Tribunale di Rieti, con la sentenza n. 446/2017, ritenendo non provata la sussistenza del nesso causale tra evento e danno, rigettava la domanda di parte attrice.

2. La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 2476/2021, pubblicata in data 6 aprile 2021, confermando la decisione di primo grado, rigettava il gravame e condannava l’appellante alla rifusione delle spese processuali.

In particolare, il Giudice Territoriale precisava come la condotta del danneggiato fosse idonea ad interrompere il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, essendo le molteplici e visibili sconnessioni del manto stradale percepibili con una minima attenzione data l’ora diurna e la situazione di piena visibilità.

3. Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione Romano (OMISSIS) sulla base di due motivi di ricorso.

3.1. Resiste con controricorso il Comune di Rieti.

Considerato che:

4.1. Con il primo motivo di ricorso, il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 132, 2 comma, n. 4, c.p.c.

La Corte d’appello avrebbe emesso una sentenza con una motivazione meramente apparente non essendosi pronunciata sulle censure dedotte dall’appellante.

A giudizio del ricorrente, infatti, non può ritenersi idoneo il richiamo fatto dal Giudice territoriale alla sentenza di prime cure mancando sia l’indicazione delle tesi in essa sostenute sia le relative ragioni della condivisione.

4.2. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., dell’art. 2051 c.c.

La Corte d’Appello di Roma, affermando l’insussistenza del nesso di causalità tra l’insidia e la caduta, avrebbe applicato il principio di cui all’art. 2051 c.c. in modo non conforme al diritto.

A giudizio del ricorrente, infatti, la condotta del danneggiato non sarebbe idonea ad integrare la nozione di caso fortuito, mancando sia il tratto della prevedibilità che quello della prevenibilità.

5. Il primo motivo di ricorso è inammissibile perché la denuncia di motivazione apparente è effettuata non sulla base della intima contraddittorietà della motivazione che renderebbe non percepibile la ratio decidendi ma sulla base della comparazione con il dato esterno costituito dai motivi di appello.

E’ appena il caso di ricordare che la motivazione per “relationem” della sentenza di appello è legittima quando il giudice di secondo grado, pur richiamando nella sua pronuncia gli elementi essenziali della motivazione della sentenza di primo grado, si faccia comunque carico di confutare le censure contro di essa formulate con il gravame, essendo immune da critiche il modo di dar conto della soluzione adottata ove l’iter argomentativo risulti corretto.

Nel caso in esame poi, la Corte d’Appello di Roma, dopo aver richiamato la motivazione della sentenza di primo grado, ha dichiarato assorbente la questione relativa all’insussistenza del nesso causale fra l’asserita insidia e la condotta del danneggiato.

5.1. E’ inammissibile, altresì, il secondo motivo di ricorso perché non intercetta la ratio decidendi.

Quest’ultima è nel senso che la condotta del danneggiato è interruttiva del nesso di causalità sulla base della premessa che quanto più la situazione di possibile danno è percepibile tanto più incidente deve considerarsi la condotta del danneggiato, in presenza di molteplici e visibili sconnessioni, percepibili con minima attenzione data l’ora diurna e la piena visibilità.

Non cogliendo la ratio decidendi, la censura è priva di decisività.

Per il resto il motivo impinge nel giudizio di fatto, che è profilo non censurabile nella presente sede di legittimità.

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

7. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore del Comune controricorrente che liquida in complessivi Euro 3.000 oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta civile, in data 6 luglio 2022.

Depositato in Cancelleria, addì 27 luglio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.