Ambulante preleva acqua dall’idrante comunale per pulire il tratto della pubblica strada adiacente al proprio esercizio di vendita (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 4 ottobre 2022, n. 37465).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente – 

Dott. CATENA Rossella – Rel. Consigliere –

Dott. SESSA Renata – Consigliere –

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere –

Dott. TUDINO Alessandrina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(OMISSIS) Felice, nato a Foggia il 18/09/19xx;

avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari emessa in data 27/04/2021;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rossella Catena, all’udienza del 16/06/2022;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Giovanni Di Leo, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso;

lette le conclusioni scritte dell’avv. Giovanni (OMISSIS), difensore di fiducia del ricorrente, pervenute a mezzo pec in data 09/06/2022, con cui il predetto difensore si è riportato al ricorso chiedendone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bari confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Foggia in composizione monocratica in data 14/06/2018, con cui l’imputato era stato condannato a pena di giustizia per il reato di cui agli artt. 624, 625 n. 7 cod. pen., in Foggia il 13/11/2013.

2. Felice (OMISSIS) ricorre, in data 27/09/2021, a mezzo del difensore di fiducia, avv.to Giovanni (OMISSIS), deducendo quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.:

2.1 violazione di legge, in riferimento all’art. 157, comma 8-bis, cod. proc. pen., e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in riferimento alla notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, effettuata non presso il domicilio dichiarato dall’imputato – dove questi aveva, in seguito, ricevuto anche la notifica della sentenza di appello -, bensì presso il difensore di fiducia, ex art. 157, comma 8-bis cod. proc. pen., come rilevato con note depositate a mezzo pec alla Corte di Appello, in cui si deduceva anche il mancato rispetto del termine di cui all’art. 601, comma 1, cod. proc. pen., eccezioni su cui la sentenza ha del tutto omesso di motivare;

2.2 violazione di legge, in riferimento agli artt. 624, 625 n. 7 cod. pen., ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in riferimento al prelievo di acqua per pulire la pubblica via, condotta che, al più, integra l’illecito amministrativo di cui all’art. 17 r.d. n. 1775 del 1933 e successive modifiche;

2.3 violazione di legge, in riferimento agli artt. 624, 625 n. 7 cod. pen., ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in riferimento al prelievo di acqua per pulire la pubblica via, condotta che difetta anche del dolo del reato ascritto al ricorrente, dovendosi, al più, configurare l’illecito amministrativo di cui all’art. 23 d.Igs. 152/1999;

2.4 violazione di legge, in riferimento agli artt. 62-bis, 132, 133 cod. pen., ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed alla determinazione della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso di Felice (OMISSIS) è fondato e va, pertanto, accolto.

1. Va preliminarmente esaminato il profilo concernente la corretta qualificazione della condotta ascritta al ricorrente, che – come si evince dalla motivazione della sentenza impugnata – era stato sorpreso mentre prelevava acqua dall’idrante comunale per pulire il tratto della pubblica strada adiacente al proprio esercizio di vendita ambulante.

Il Collegio ritiene di aderire all’indirizzo ermeneutico illustrato da Sez. 5, n. 34455 del 05/03/2018, Di Falco ed altro, Rv. 273634 che, partendo dall’analisi del rapporto tra il delitto di furto e l’illecito amministrativo disciplinato dall’art. 17 R.D. n. 1175/1933, come modificato dall’art. 23 d.lgs. 11 maggio 1999 n. 152, quindi dall’art. 96, comma 4, d.lgs. n. 152/2006, ha dapprima operato un’ampia ricognizione delle pronunce di legittimità, osservando come tra le norme in considerazione sussista un’ipotesi di concorso apparente, laddove, a fronte dell’omogeneità della materia regolata (sottrazione e impossessamento di un bene altrui per proprio vantaggio), il predetto art. 23 presenta carattere speciale rispetto alla disposizione codicistica; tale situazione, quindi, non può che ricadere nella disciplina di cui all’art. 9 della legge n. 689 del 1981, che afferma, nell’ipotesi di concorso tra norme penali ed amministrative, il principio per il quale la norma speciale prevale su quella generale.

Attraverso la ricognizione del concetto di “acque pubbliche” appartenenti al demanio – quelle sotterranee e superficiali, messe a disposizione dalla natura, a cui gli enti pubblici abilitati non abbiano ancora conferito, sulla base dei poteri ad essi riconosciuti dalla normativa vigente, una destinazione particolare – la sentenza richiamata, citando anche precedenti conformi (Sez. 5, n. 26877 del 05/05/2004, Modaffari, Rv. 229878, in motivazione), ha precisato come il rapporto di omogeneità tra le disposizioni normative – che regolano la stessa materia, cioè l’impossessamento e la sottrazione di un bene altrui per proprio vantaggio – fa sì che quella in tema di acque risulti specifica rispetto a quella codicistica, sia per l’oggetto dell’azione – l’acqua pubblica – che per il dolo specifico – da individuare nel profitto perseguito nella finalità industriale.

Tale concorso apparente di norme si prospetta, quindi, solo nel caso in cui si tratti di acque pubbliche, per cui l’impossessamento abusivo delle acque sotterranee e di quelle superficiali, anche raccolte in invasi o cisterne, integra esclusivamente l’illecito amministrativo di cui all’art. 23 del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, e non anche il delitto di furto (Sez. 2, n. 17580 del 10/04/2013, Caramazza, Rv. 256928; Sez. 4, n. 20404 del 03/03/2009, Dolce, Rv. 244215; Sez. 5, n. 25548 del 07/03/2007, Lanciani, Rv. 237702), atteso che, per espressa previsione dell’art. 1, comma 1, d.p.r. n. 238/1999 (Regolamento recante norme per l’attuazione di talune disposizioni della I. 5 gennaio 1994, n. 36, in materia di risorse idriche), tali beni appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico.

Sul punto, occorre, altresì ricordare come Sez. 5, n. 1010 del 24/11/2017, dep. 12/01/2018, Scalet, Rv. 271921, abbia ribadito, dando continuità ad un precedente orientamento, richiamato in motivazione, che l’impossessamento abusivo dell’acqua convogliata nelle condutture dell’acquedotto municipale integra il reato di furto aggravato e non già la violazione amministrativa prevista dall’art. 23 del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152, che si riferisce alle sole acque pubbliche, ossia ai flussi non ancora convogliati in invasi o cisterne.

Ciò in quanto l’acqua già convogliata nell’acquedotto comunale non può definirsi pubblica, secondo la definizione fornita dalla legge Gelli n. 35/1994 (disposizioni in materia di risorse idriche), che qualifica come tale tutte le acque, superficiali e sotterranee, sia pure in invaso o cisterna.

2. Tanto premesso, occorre osservare che, nel caso di specie, certamente si trattava di acque già convogliate nell’acquedotto comunale, e, quindi, di acque non sussumibili nel concetto di acque pubbliche.

Tuttavia non appare possibile – sulla scorta di un rigido automatismo che prescinda totalmente dalle specifiche connotazioni della condotta – connotare la condotta dell’agente come furto, prescindendo, cioè, dalla necessaria verifica della sussistenza degli elementi costitutivi della detta fattispecie penalmente rilevante.

Nel caso in esame, infatti, la condotta non si era affatto concretata in un vero e proprio allaccio abusivo, con il conseguente mutamento della destinazione impressa al bene dall’ente gestore delle risorse idriche, mancando anche il profitto, consistente nel mancato esborso del controvalore dell’acqua consumata (in tal senso, Sez. 5, n. 38098 del 20/05/2019, Di Iorio Nicola, Rv. 277037).

Al contrario, l’imputato aveva attinto l’acqua da un pubblico idrante, utilizzando, quindi, il bene già destinato dall’ente gestore alla pubblica fruizione proprio attraverso la sua erogazione mediante un idrante pubblico; tra l’altro, l’acqua era stata utilizzata non per un uso esclusivo del (OMISSIS), ma per lavare il pubblico suolo, antistante il suo esercizio ambulante.

Tale condotta, quindi, manifesta in maniera evidente come non possa in alcun modo ritenersi sussistente alcun mutamento della destinazione impressa al bene dall’ente gestore delle risorse idriche, il che esclude ab origine la possibilità di inquadrare la condotta nella fattispecie di furto contestata; ciò anche considerato che, nel momento stesso in cui l’acqua fuoriesce dalla rete idrica comunale per essere gratuitamente erogata alla cittadinanza, viene in rilievo da una parte, l’interesse dell’ente pubblico all’erogazione e, dall’altra parte, l’interesse del privato al prelievo. In tal senso si è pronunciata anche la Corte costituzionale, precisando che “la scelta legislativa di sanzionare solo in via amministrativa eventuali comportamenti trasgressivi delle regole di utilizzo delle acque non è manifestamente irragionevole, giacché deve aversi primariamente riguardo al rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione nell’accesso ad un bene che appartiene in principio alla collettività.

Tale rapporto viene alterato dalla violazione di norme che non sono poste soltanto a presidio della proprietà pubblica del bene, collocato in una sfera separata rispetto a quella dei cittadini, ma soprattutto a garanzia di una fruizione compatibile con l’entità delle risorse idriche disponibili in un dato territorio e con la loro equilibrata distribuzione tra coloro che aspirano a farne uso.

Se tutti hanno diritto di accedere all’acqua, l’aspetto dominicale della tutela si colloca in secondo piano, rispetto alla primaria esigenza di programmare e vigilare sulle ricerche e sui prelievi, allo scopo di evitare che impossessamenti incontrollati possano avvantaggiare indebitamente determinati soggetti a danno di altri o dell’intera collettività” (C. cost., sentenza n. 273 del 22 luglio 2010).

Ne discende, pertanto, che, in accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso – inerenti la qualificazione della condotta come illecito amministrativo – la sentenza impugnata va annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non é previso dalla legge come reato.

Così deciso in Roma, il 16/06/2022.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2022.

SENTENZA – originale -.