Compensazione delle spese di lite e sanzioni amministrative tributarie: fattispecie distinte secondo la Cassazione (Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, Sentenza 5 aprile 2023, n. 9360).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Rel. Consigliere –

Dott. DE ROSA Maria Luisa – Consigliere –

Dott. LENOCI Valentino – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 18007/2018 R.G. proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS). che la rappresenta e difende, per procura speciale.

 –ricorrente

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore generale pro tempore.

intimata

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE, già  (omissis), Direttore generale pro tempore.

intimata

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n. 7319/17/2015, depositata l’11 dicembre 2017.

Udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Michele Cataldi nella pubblica udienza del 14 marzo 2023;

udito il Sostituto Procuratore generale, dott. Aldo Ceniccola, che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso;

udito, per la ricorrente, l’Avv. (OMISSIS) (OMISSIS), che ha fatto istanza di discussione orale.

udito, per le Agenzie intimate, l’Avv. di Stato

Rilevato che:

1. (OMISSIS) (OMISSIS) s.p.a. propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza, di cui all’epigrafe, della Commissione tributaria regionale del Lazio, che ha accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, che aveva accolto il ricorso della contribuente avverso la cartella di pagamento avente ad oggetto le sanzioni irrogate con tre distinti avvisi d’accertamento.

2. Avverso questi ultimi atti impositivi la contribuente aveva opposto distinti ricorsi, accolti dalla Commissione tributaria provinciale di Roma.

La commissione tributaria regionale del Lazio aveva invece accolto in parte gli appelli erariali, rideterminando la pretesa impositiva.

Passate, pacificamente, in giudicato le decisioni d’appello sugli accertamenti, l’Amministrazione ha quindi proceduto alla riscossione delle sanzioni, nella misura residua dovuta in relazione alle imposte accertate definitivamente con la cartella per cui è causa.

L’Agenzia delle entrate e l’Agenzia delle entrate-Riscossione non hanno svolto difese scritte, limitandosi a partecipare, tramite l’Avvocatura dello Stato, munita di procura ex lege per la prima ed in forza della Convenzione tra l’Agenzia e l’Avvocatura dello Stato per la seconda (cfr. , Sez. Un., 19/11/2019, n. 30008), alla discussione orale, come consentito dall’art. 370, primo comma, secondo periodo, cod. proc. civ. (cfr. ex plurimis Cass., Sez. Un., 11/04/1981, n. 2114; Cass. 30/09/2011, n. 20029; Cass. 28/05/2013, n. 13183; Cass. 14/03/2017, n. 6563).

Il Procuratore generale ha prodotto conclusioni scritte, chiedendo di rigettare il ricorso.

La ricorrente ha prodotto memoria.

Considerato che:

1. Con il primo motivo di ricorso – rubricato in relazione all’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ., ma nella sostanza proposto ai sensi del n. 4 della stessa norma- la contribuente lamenta che la CTR non abbia ritenuto che la stessa società, totalmente vittoriosa in primo grado in ordine alle pretese impositive erariali, relativamente alla sua domanda subordinata di dichiarare comunque non dovute le sanzioni per l’oggettiva incertezza sulle norme violate, non avrebbe dovuto proporre appello incidentale, né avrebbe dovuto riproporre comunque la stessa questione nelle controdeduzioni in appello, poiché sulla stessa le sentenze di primo grado si erano comunque pronunciate, riconoscendo l’oggettiva incertezza normativa, sia pur ai dichiarati fini di compensare le spese, nonostante l’Agenzia fosse totalmente soccombente.

2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato in relazione all’art. 360, primo comma, 3, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 2909 cod. civ., la contribuente lamenta che la CTR non abbia ravvisato un giudicato (esterno rispetto a questa controversia sulla cartella, ma interno rispetto ai giudizi sugli atti impositivi presupposti) formatosi, in ragione del predetto accertamento sull’obbiettiva incertezza normativa (che ha giustificato la compensazione delle spese nel primo grado dei relativi giudizi), non impugnato nei relativi appelli dall’Amministrazione.

3. Nella sostanza, il nucleo della controversia risiede nel contenuto del giudicato che ciascuna delle parti concorda si sia formato, nei giudizi sugli atti impositivi presupposti, in ordine alla domanda, subordinata, di disapplicazione delle sanzioni per oggettiva incertezza normativa: secondo l’Amministrazione, e la CTR, si tratterebbe di giudicato favorevole all’Ufficio; secondo la contribuente, invece, il giudicato sarebbe suo favore e comporterebbe la disapplicazione, e la non debenza, delle sanzioni di cui alla cartella impugnata.

4. I motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

Appare opportuno premettere che, come risulta dallo stesso ricorso (pag. 7), oltre che dalla sentenza qui impugnata, le sentenze della Commissione tributaria provinciale di Roma che decisero sugli atti impositivi presupposti, accogliendo i ricorsi della contribuente, presero in considerazione «la possibile incertezza, invocata anche, sebbene ad altri fini, dalla stessa parte risultata vincitrice» (così il testo riportato, tra virgolette, dalla sentenza impugnata) quale motivo della compensazione delle spese di lite, che altrimenti avrebbero dovuto porre integralmente a carico dell’Amministrazione, risultata in quel grado soccombente.

È quindi inequivoco che la CTR valutò l’assunta “incertezza” quale dato sussunto e rilevante nella prospettiva delle norme- gli artt. 92 cod. proc. civ. e 15 d.lgs. n. 546 del 1992- destinate esclusivamente a regolare la disciplina delle spese processuali, ritenendolo motivo idoneo a consentirne, nel caso di specie, la compensazione, derogando alla regola generale della soccombenza.

La circostanza che l’oggetto, il criterio di valutazione e lo scopo dell’accertamento fossero limitati alla sola decisione sulle spese di lite è del resto esplicitata nell’espressa considerazione della CTP che la «possibile incertezza» era stata invocata dalla contribuente «ad altri fini», ovvero quale esimente rispetto alle sanzioni, ai sensi dell’art. 6, comma 2, d.P.R. 18 dicembre 1997, n. 472, quindi con riferimento ad una fattispecie normativa sostanziale che nulla ha a che vedere con quella che disciplina l’imputazione delle spese di lite tra le parti del giudizio, ed è quindi assolutamente “altra” rispetto a quest’ultima.

Tanto più che, anche sotto il profilo oggettivo, l’incertezza alla quale si riferisce l’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, quale situazione che legittima la disapplicazione delle sanzioni tributarie, è rigorosamente qualificata dallo stesso legislatore, dovendo versare l’agente in «obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono», e dovendo la violazione imputata essere stata «determinata» dal ricorrere di tale condizioni, delle quali va quindi apprezzata necessariamente l’efficacia ezio1ogica ne1 singo1o caso.

Ed infatti, nella giurisprudenza di legittimità, i criteri con i quali condurre l’accertamento della scriminante in questione sono stati più volte indagati e circoscritti, essendo stato precisato che «In tema di sanzioni amministrative tributarie, l’incertezza normativa oggettiva – che deve essere distinta dalla ignoranza incolpevole del diritto, come si evince dall’art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997 – è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può’ essere desunta da alcuni “indici”, quali, ad esempio:

1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative;

2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica;

3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata;

4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà;

5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari;

6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali;

7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità’ costituzionale;

8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale;

9) il contrasto tra opinioni dottrinali;

10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente.» (Cass. 13/06/2018, n. 15452).

Riguardo, poi, alla prospettiva nella quale traguardare gli indici rivelatori fattuali che emergano, questa Corte ha chiarito che « In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, sussiste incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità’ amministrativa tributaria ai sensi dell’art. 10 della I. n. 212 del 2000 e dell’art. 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando è ravvisabile una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita, non già’ ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione.» (Cass. 01/02/2019, n. 3108).

Ebbene, nel caso di specie, la formula adottata dalle sentenze di primo grado in questione (come riportata nella sentenza qui impugnata), nel generico e sintetico richiamo alla (solo) «possibile incertezza» apprezzata ai fini della compensazione delle spese di lite, non fa riferimento ai parametri appena illustrati (né avrebbe dovuto comunque farlo), confermando ulteriormente che, come del resto esplicitamente affermato dalla CTP, la relativa valutazione era finalizzata esclusivamente all’accertamento dei motivi che giustificavano la compensazione delle spese.

Contesto, quest’ultimo, nel quale anche la situazione di incertezza delle questioni (di fatto o) di diritto rilevanti nel caso specifico, intesa tuttavia in senso generale e più ampio, potrebbe in ipotesi rientrare, purché espressamente e congruamente motivata, nell’elastico concetto delle «gravi ed eccezionali ragioni» di cui agli artt. 15, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 e 92, secondo comma, cod. proc. civ., vigenti ratione temporis (cfr. Cass. 29/11/2016, n. 24234; Cass. 11/03/2022, n. 7992, a proposito dell’opinabilità delle questioni affrontate o dell’oscillante soluzione ad esse data in giurisprudenza; Cass. 16/05/2022, n. 15495, riguardo l’incertezza sul diritto controverso ), ma senza che essa si traduca necessariamente anche in quelle determinanti «obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni», rigorosamente circoscritte- nei presupposti, nell’oggetto e negli effetti eziologici- dall’art. 6, comma 2, d.1gs. n. 472 del 1997 e dai principi giurisprudenziali elaborati e consolidati in materia.

L’atipicità e l’elasticità della valutazione ai fini della decisione sulle spese di lite, contrapposta alla rigorosa delimitazione dei presupposti necessari ai fini della disapplicazione delle sanzioni, escludono pertanto che l’accertamento in concreto dell’ “incertezza normativa”, in ipotesi sufficiente per la compensazione delle spese di giudizio, comporti necessariamente anche il coincidente accertamento dell’esimente dall’applicazione delle sanzioni tributarie, trattandosi di due “fatti” diversi già nelle differenti fattispecie normative astratte nelle quali l'”incertezza” dovrebbe sussumersi in un caso e nell’altro.

Così come differenti, del resto, sono i momenti rispetto ai quali la valutazione dell’ “incertezza” va fatta retroagire, rilevando, ai fini della disapplicazione delle sanzioni, l’impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nella contestualità della condotta illecita che l’ha violata, con incidenza sull’e1emento psicologico dell’autore della condotta attiva od omissiva sanzionabile; mentre, per quanto riguarda l’attribuzione delle spese di lite, viene in ri1ievo (sia pur con le differenti caratteristiche già sottolineate) l’incertezza che sussista all’atto, necessariamente successivo, di agire o resistere in giudizio (o di persistere nelle rispettive difese nel corso della lite), che non “scusa” la condotta sostanziale controversa, ma evidenzia in qualche modo la “necessità” del ricorso alla tutela giudiziaria, e comunque la natura non pretestuosa dell’azione o della resistenza in giudizio: ovviamente, non è scontato che la norma sostanziale applicabile sia, o meno, incerta in ambedue le fasi temporali.

Deve pertanto escludersi che, riconoscendo l'”incertezza” (peraltro solo come “possibile”) sufficiente e rilevante ai fini della compensazione delle spese di lite le decisioni in commento abbiano contemporaneamente accertato, con idoneità al giudicato, anche la sussistenza in fatto ed in diritto delle «obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni» prevista dall’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997 ai fini della disapplicazione delle sanzioni.

A conferma di tale conclusione, del resto, militano ulteriori considerazioni.

Infatti, nell’economia delle predette decisioni di primo grado, che accolsero i ricorsi della contribuente, sarebbe stato del tutto gratuito, da parte della CTP, accertare, ai fini della disapplicazione delle sanzioni, la sussistenza dell’obiettiva incertezza di cui all’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, posto che i ricorsi vennero accolti dallo stesso giudice in ordine alle relative imposte, con conseguente caducazione delle relative sanzioni, effetto che non solo prescindeva dalla loro eventuale disapplicazione, ma era in contrasto con essa (poiché si possono “disapplicare” solo sanzioni che sarebbero altrimenti “applicabili” a seguito delle violazioni che hanno condotto al recupero delle relative imposte).

Inoltre, come ben osservato dal P.G., ponendosi nella prospettiva del contribuente (quella secondo cui la statuizione sulla situazione di obiettiva incertezza costituiva un rilievo a tutto campo, valido, cioè, sia nella prospettiva della compensazione delle spese, sia in quella dell’annullamento delle sanzioni), si dovrebbe conseguentemente ammettere che l’unico strumento che, a que1 punto, avrebbe potuto impedire la formazione del giudicato sarebbe stato costituito dall’impugnativa da parte dell’Ufficio: quest’ultimo, cioè, per evitare la formazione del giudicato, avrebbe dovuto contestare, tramite l’appello, un’affermazione della CTP (circa la situazione di incertezza) svolta ai soli fini della compensazione delle spese processuali.

Ma, ovviamente, nessun interesse aveva l’Agenzia ad impugnare una considerazione contenuta all’interno di un capo (quello concernente le spese processuali) che produceva per l’Ufficio un effetto unicamente favorevole (la compensazione delle spese nel giudizio che pure, in quel grado, lo aveva visto soccombere integralmente).

L’interesse dell’Ufficio, piuttosto, era quello di chiedere, tramite l’appello, l’accertamento della legittimità della ripresa a tassazione, quale presupposto della conseguente applicazione delle sanzioni.

A fronte dell’appello dell’Ufficio sarebbe stato, pertanto, onere del contribuente riproporre, in via subordinata e per il caso dell’eventuale accoglimento del gravame erariale, la questione della disapplicazione, originariamente prospettata e rimasta assorbita dall’esito del giudizio di primo grado, della disapplicazione delle sanzioni ai sensi dell’art. 6, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, poiché « L’appellato che abbia ottenuto l’accoglimento della sua domanda principale nel giudizio di primo grado è tenuto, per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c., a riproporre espressamente, in qualsiasi forma indicativa della volontà di sottoporre la relativa questione al giudice d’appello, la domanda subordinata non esaminata dal primo giudice, non potendo quest’ultima rivivere per il solo fatto che la domanda principale sia stata respinta dal giudice dell’impugnazione» (cfr. Cass. n. 13721 del 2020, ex plurimis).

Ma è la stessa ricorrente (cfr. pag. 8 del ricorso) che allega di non aver né proposto appello incidentale, né riproposto eccezioni solevate in primo grado.

Va quindi formulato il seguente principio di diritto: «La pronuncia con la quale il giudice tributario di merito, ai sensi dell’art. 15, co. 2, d.lgs. n. 546 del 1992, compensi le spese di giudizio per gravi ed eccezionali ragioni, individuandole nell’ “incertezza normativa”, non comporta necessariamente il contemporaneo accertamento della sussistenza in fatto ed in diritto anche delle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni prevista dall’art. 6, co. 2, d.lgs. n. 472 del 1997, ai fini della disapplicazione delle sanzioni amministrative tributarie, attesa la differenza delle relative fattispecie legali in ordine sia al concetto di “incertezza” in ciascuna sussumibile, sia alla ratio della sua rilevanza ed agli effetti della sua rilevazione, sia al momento rispetto al quale deve farsi risalire il suo accertamento».

La sentenza impugnata non si è discostata da tale principio, per cui il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, in relazione alla sola attività difensiva effettivamente svolta dalle Agenzie partecipando alla discussione orale (cfr. Cass. 16/05/1994, n. 4780; Cass. 04/11/1995, n. 11499).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere ad ognuna delle controparti le spese del giudizio di legittimità, che liquida per ciascuna in euro 3.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 de1 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’u1teriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 marzo 2023.

Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.