Per la Cassazione, va confermato l’assegno di divorzio all’ex marito che ha aiutato la moglie a completare gli studi e fare carriera (Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, Sentenza 14 aprile 2023, n. 10016).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI MARZIO Mauro – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24756/2021 R.G. proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS)

-ricorrente-

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’avv. (OMISSIS) (OMISSIS) che lo rappresenta e difende;

-controricorrente-

nonché contro

(OMISSIS) (OMISSIS);

-intimato-

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 532/2021 depositata il 06/05/2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/04/2023 dal Consigliere Dott.ssa MAURA CAPRIOLI.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Ritenuto che:

Con sentenza nr 532/2021 la Corte di appello di Ancona accoglieva parzialmente l’appello di (OMISSIS) (OMISSIS) riducendo parzialmente l’assegno divorzile in favore (OMISSIS) (OMISSIS) di € 200,00 di mensili.

Il giudice del gravame riteneva, alla luce delle emergenze processuali, la sussistenza delle condizioni che giustificano l’erogazione di un assegno divorzile in favore dell’ex coniuge.

Osservava in questa prospettiva che nei primi anni di matrimonio il contributo dato dall’appellato ai fini del soddisfacimento delle esigenze familiari era stato significativo.

Rilevava infatti che l’appellante non aveva completato il percorso di studi e non disponeva di risorse economiche per il proprio mantenimento e di quelle della figlia.

Sottolineava che anche successivamente a far data dall’anno 1991 la (OMISSIS) quantunque avesse cominciato a percepire una borsa di studio, si era rivelato necessario il contributo economico del marito al fine di proseguire il percorso di studi iniziato tenuto conto che le somme dalla stessa percepite non erano rilevanti e che l’attività professionale avviata aveva comportato diversi esborsi.

Evidenziava che il raggiungimento nel 2012 della stabilità lavorativa da parte dell’appellante ed il conseguente miglioramento economico era dipeso dall’innegabile aiuto fornitole dal marito.

La Corte distrettuale riteneva pertanto che tale apporto dato alla conduzione della vita familiare, valutato in relazione alla durata del matrimonio assumeva decisivo rilievo ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.

Osservava infatti che il criterio perequativo-corrispettivo giustificava l’erogazione di una somma in presenza di una sperequazione reddituale che, se pure sorta in epoca successiva alla separazione, era direttamente collegabile allo svolgimento dell’attività professionale iniziata dalla (OMISSIS) durante il lungo periodo di convivenza, anche con il contributo economico del marito.

Il giudice del gravame ha messo in luce che l’emolumento invocato dal richiedente non poteva escludersi sulla base del fatto che l’appellato non aveva operato alcun sacrificio delle proprie aspettative lavorative e reddituali sottolineando che il criterio compensativo richiede di valutare gli effetti e le conseguenze delle scelte operate dai coniugi durante il matrimonio e quindi di tenere in considerazione non solo eventuali occasioni di lavoro mancate ma anche di apprezzare i vantaggi ottenuti da un coniuge ricollegabili al contributo fornito dall’altro.

In quest’ottica andava dato rilievo, secondo il giudice distrettuale, al fatto all’apporto fornito dal (omissis) il quale pur continuando a svolgere la medesima attività lavorativa, aveva nel corso degli anni messo a disposizione dell’ex moglie, nei limiti delle proprie disponibilità, quanto alla stessa necessario per proseguire negli studi universitari e per migliorare la sua formazione favore l’inserimento della stessa nel mondo del lavoro che, successivamente le aveva permesso di raggiungere l’attuale stabilità lavorativa.

Pertanto il giudice di appello, operata la necessaria valutazione comparativa tra le condizioni delle parti e considerata la funzione compensativa e perequativa dell’assegno nonché la durata del matrimonio e lo squilibrio significativo esistente fra le due posizioni reddituali risultante dalle dichiarazioni dei redditi, ha ritenuto che il contributo economico dato dall’appellato alla conduzione e realizzazione della vita familiare dovesse determinarsi in € 200,00 mensili.

Avverso tale sentenza (OMISSIS) (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo cui ha resistito (OMISSIS) (OMISSIS) con controricorso illustrato da memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

Con l’unico motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art 5 comma sesto della legge 898/1970 in relazione all’art 360 primo comma nr 3 c.p.c. per non avere la Corte di appello fatto corretta applicazione dei principi elaborati da questa Corte in relazione alle modalità di riconoscimento dell’apporto fornito dal coniuge richiedente durante la vita coniugale, alla formazione del patrimonio familiare, nonché all’attività professionale dell’altro coniuge, con conseguenti sacrifici e rinunce.

Si sostiene, in particolare, che la funzione perequativa dell’assegno divorzile deve apprezzarsi in relazione al sacrificio delle aspettative professionali e lavorative poste in essere dal coniuge in costanza di matrimonio a beneficio della famiglia e che quest’ultimo, in ragione del tempo di durata del matrimonio e della sua età anagrafica, non possa ultimamente recuperare sul piano lavorativo.

Si afferma che, come messo in risalto dal giudice del gravame, il (OMISSIS) non aveva rinunciato ad una “fulgida” carriera lavorativa, anteponendovi la famiglia nel cui nome ed interesse aveva sacrificato aspettative di successo, di guadagno ma aveva semplicemente assolto ad un suo obbligo giuridico e morale che aveva assunto verso il coniuge più giovane che all’epoca non aveva completato il suo ciclo di studi.

Il ricorso è inammissibile.

La Corte d’Appello ha riconosciuto l’apporto fornito dalla ricorrente al menage familiare attribuendo espressamente all’assegno divorzile funzione compensativa.

Non vi è dubbio che la valutazione in fatto compiuta dalla Corte di Appello  nella  concreta  determinazione  dell’assegno stabilito in funzione perequativo-compensativa non sia sindacabile in sede di legittimità, essendo, peraltro, tale valutazione sorretta da una motivazione ampia ed immune da vizi logici, unico profilo eventualmente sindacabile in questa sede, seppur nei ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come interpretato dalle S.U. di questa Corte nella sentenza n. 8053/2014), vizio comunque non dedotto dalla ricorrente.

Ed invero, la sentenza impugnata si focalizza puntualmente sulla notevole sperequazione della situazione economico-reddituale dei coniugi, con una valutazione improntata all’attualità ed effettività – Cass., n. 35710 del 19/11/2021-, tesa ad accertare “che lo squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi trovi ragione nella intrapresa vita matrimoniale, per scelte fatte e ruoli condivisi” (Cass., n. 38362 del 03/12/2021), sulla scorta di un percorso motivazionale logico e specifico (Cass., n. 23997 del 02/08/2022).

Nel confermare la sentenza di primo grado, sviluppandone le argomentazioni, la Corte di appello, dopo aver individuato in (OMISSIS) (OMISSIS) la parte più debole economicamente”, lungi dal limitarsi all’accertamento del mero prerequisito fattuale dell’assegno di divorzio (ex multis, Cass., n. 11796 del 05/05/2021), ha valorizzato il significativo apporto dato dallo stesso alla vita del nucleo familiare composto dalla giovane moglie e da una bambina sia nella fase iniziale del matrimonio che anche successivamente a partire dall’anno 1991.

Il giudice del merito ha infatti messo in risalto il fatto che il completamento del ciclo di studi e della fase di specializzazione seguita dal dottorato era avvenuto grazie al contributo economico del marito giacché le somme percepite dalla moglie per la loro entità non coprivano gli esborsi connessi alla professione (affitto di studio, assicurazione professionale).

In questo senso ha pure sottolineato che la stabilizzazione economica nell’anno 2012 della (omissis) era dipesa non solo dal suo impegno ma anche dall’apporto economico dell’ex coniuge il quale aveva destinato le proprie risorse alle necessità della moglie.

La Corte distrettuale ha opportunamente chiarito che il criterio compensativo-perequativo richiede di valutare gli effetti e le conseguenze delle scelte operate dai coniugi durante il matrimonio e quindi di tenere in considerazione non solo le eventuali occasioni di lavoro mancate ma anche di apprezzare i vantaggi ottenuti da un coniuge, ricollegabili al contributo fornito dall’altro.

Alla stregua delle considerazioni che precedono e dell’indagine fattuale compiuta dai giudici di merito, deve ritenersi che la Corte territoriale abbia fatto corretta applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 quale interpretato dalle Sezioni Unite, 18287/2018, che ne ha chiarito il contenuto, con riferimento ai dati normativi già esistenti.

La decisione qui impugnata si è infatti incentrata sull’adeguata valutazione dell’apporto effettivo e del ruolo endofamiliare di (OMISSIS) (OMISSIS) in costanza di matrimonio, nonché, previa comparazione con la situazione dell’ex moglie, sulla riconducibilità alle dinamiche familiari, ed al sacrificio professionale conseguitone, del rilevante squilibrio economico tra le condizioni patrimoniali e reddituali degli ex coniugi, accertato in fatto allo sciogliersi del vincolo di coniugio.

Alla stregua di detti accertamenti fattuali, adeguatamente motivati, la Corte di merito, attenendosi ai principi suesposti, ha ritenuto che fosse dimostrato uno squilibrio reddituale riconducibile alle scelte di vita matrimoniali, sì da giustificare una compensazione o perequazione.

Il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di legittimità che si liquidano in complessive € 5000,00 oltre € 200,00 per esborsi e ad accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Dispone che in caso di diffusione siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Roma 4.4.2023.

Depositato in Cancelleria il 14 aprile 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.