La condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si sostanzia nello stabile inserimento del soggetto nella struttura organizzativa della associazione (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 3 aprile 2024, n. 13592).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE PENALE

composta dai signori:

Anna Petruzzellis                  – Presidente –

Andrea Pellegrino                 – Relatore –

Giuseppe Coscioni                – Consigliere –

Giuseppe Sgadari                 – Consigliere –

Marzia Minutillo Turtur       – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

Manzo Vito, nato a Trapani il xx/xx/19xx;

rappresentato ed assistito dall’avv. (omissis) (omissis) e dall’avv. (omissis) (omissis), di fiducia;

avverso la ordinanza in data 14/11/2023 del Tribunale di Palermo;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1 -bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112 e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Andrea Pellegrino;

letta la requisitoria scritta, ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. modif., con la quale il Sostituto procuratore generale, Dott. Raffaele Gargiulo, ha concluso chiedendo di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 14/11/2023, il Tribunale di Palermo rigettava la richiesta di riesame avanzata nell’interesse di Vito Manzo avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Palermo che, in data 17/10/2023, aveva applicato nei confronti del sunnominato la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al reato di cui all’art. 416-bis, primo, terzo, quarto, quinto e sesto comma, cod. pen. (capo 1).

Al Manzo è attribuito di aver fatto parte della famiglia mafiosa di Valderice e mantenuto, attraverso incontri riservati ed il continuo scambio di comunicazioni, un costante collegamento con gli associati anche di altre articolazioni territoriali finalizzato, tra l’altro, all’acquisizione in modo diretto o indiretto di attività economiche e al controllo del territorio.

2. Avverso la predetta ordinanza, nell’interesse di Vito Manzo, è stato proposto ricorso per cassazione, il cui formale unico motivo viene di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.: violazione di legge in relazione agli artt. 416-bis cod. pen. e 273 cod. proc. pen.

Gli elementi indiziari a carico del Manzo sarebbero costituiti, oltre che dalla condanna irrevocabile dello stesso per il reato di associazione mafiosa per fatti commessi sino al luglio 2020, in alcuni nuovi elementi, costituiti:

– dallo stretto rapporto fiduciario con altri esponenti della famiglia mafiosa;

– dall’avvenuto incontro in una grotta con il latitante Matteo Messina Denaro; -dal contenuto dell’intercettazione del 15/08/2021;

– dalla vendita di un gregge di pecore ai Centonze;

– dall’intervento nella compravendita di terreni agricoli nella controversia tra l’Oddo ed il Gambino;

– dall’intervento in favore di Giuseppe Maranzano per impedire la vendita di un terreno.

Elementi privi di quella concludenza probatoria richiesta ai fini della punibilità della condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso in relazione alla quale la mera “contiguità compiacente”, così come la “vicinanza” o “disponibilità” nei riguardi di singoli esponenti, anche di spicco, del sodalizio, non costituiscono comportamenti sufficienti ad integrare il “tipo”, ove non sia dimostrato che l’asserita vicinanza a soggetti mafiosi si sia tradotta in un vero e proprio contributo, avente effettiva rilevanza causale, ai fini della conservazione o del rafforzamento della consorteria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Ritiene il Collegio, a fronte di deduzioni che invocano principi estranei alla fase cautelare, di dover chiarire in premessa i limiti di sindacabilità da parte di questa Suprema Corte dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale.

Invero, secondo l’orientamento consolidato di questa Suprema Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce al giudice di legittimità alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonchè del Tribunale del riesame.

Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità:

a) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato;

b) – l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr., Sez. 6, n. 2146 del 25/05/1995, Tontoli, Rv. 201840 – 01; Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011, dep. 2012, Siciliano, Rv. 251760 – 01).

Inoltre, il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale, è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro, la valenza sintomatica degli indizi.

Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici.

In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell’ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti “prima facie” dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto (Sez. 1, n. 1700 del 20/03/1998, Barbaro, Rv. 210566 – 01), nè possono essere dedotte come motivo di ricorso per cassazione avverso il provvedimento adottato dal Tribunale del riesame pretese manchevolezze o illogicità motivazionali di detto provvedimento, rispetto a elementi o argomentazioni difensive in fatto di cui non risulti in alcun modo dimostrata l’avvenuta rappresentazione al suddetto Tribunale, come si verifica quando essa non sia deducibile dal testo dell’impugnata ordinanza e non ve ne sia neppure alcuna traccia documentale quale, ad esempio, quella costituita da eventuali motivi scritti a sostegno della richiesta di riesame, ovvero da memorie scritte, ovvero ancora dalla verbalizzazione, quanto meno nell’essenziale, delle ragioni addotte a sostegno delle conclusioni formulate nell’udienza tenutasi a norma dell’art. 309, comma 8, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 1786 del 05/12/2003, dep. 2004, Marchese, Rv. 227110 – 01).

In ogni caso, la nullità che la legge pone a presidio del corretto adempimento del dovere di valutazione critica non può essere infatti relegata in una dimensione squisitamente formalistica, e non può quindi essere dedotta facendo leva esclusivamente sulla rilevazione di particolari tecniche di redazione che al più possono valere quali indici sintomatici ma non sono esse stesse ragioni del vizio.

La parte interessata deve, invece, indicare gli aspetti della motivazione in relazione ai quali l’asserita accettazione acritica avrebbe impedito apprezzamenti di segno contrario e di tale rilevanza da condurre a conclusioni diverse da quelle adottate (Sez. 1, n. 333 del 28/11/2018, dep. 2019, Esposito, Rv. 274760 – 01).

3. Nella fattispecie, il Tribunale avrebbe individuato tra i gravi indizi di colpevolezza, oltre alla condanna irrevocabile riportata dal Manzo per il reato di associazione mafiosa per i fatti commessi sino al 20 luglio 2000, sei nuovi elementi, sintomatici della sussistenza del grave quadro indiziario.

Al riguardo, il difensore rileva che tali indizi non sarebbero idonei a sostenere l’impianto accusatorio, non bastando per ritenere configurabile il reato, la mera contiguità compiacente, così come la vicinanza o disponibilità nei riguardi di singoli esponenti anche di spicco del sodalizio.

3.1. Come correttamente rilevato dalla Procura generale, la decisione impugnata ha esaminato partitamente tutti gli elementi indiziari a carico del Manzo, evidenziando che essi dimostravano la sua partecipazione al sodalizio mafioso. In tale prospettiva, si è ritenuto che assumessero un rilievo particolare le intercettazioni ambientali e telefoniche, tra l’indagato e altri individui, alcuni dei quali di comprovata appartenenza al citato sodalizio mafioso.

In particolare, il Tribunale, nell’attribuire al contenuto delle predette conversazioni una specifica valenza probatoria a livello di gravità indiziaria a carico del ricorrente per il delitto di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, ha fatto corretta applicazione dei principi affermati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, fornendo una congrua ed esaustiva motivazione.

In questa prospettiva, si è precisato che i contenuti informativi provenienti da soggetti intranei all’associazione mafiosa, frutto di un patrimonio conoscitivo condiviso derivante dalla circolazione all’interno del sodalizio di informazioni e notizie relative a fatti di interesse comune degli associati – quale indubbiamente sono i temi affrontati dai soggetti intercettati in quanto direttamente attinenti a settori vitali della cosca di Valderice – sono utilizzabili in modo diretto, e non come mere dichiarazioni de relato soggette a verifica di attendibilità della fonte primaria qualora siano, come nel caso di specie, gravi, precise e concordanti (cfr., Sez. 2, n. 10366 del 06/03/202, Mujà, Rv. 278590 – 02; Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, Acampa, Rv. 278611 – 02, Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263714 – 01).

Il tenore dei diversi colloqui, oggetto di captazione, conferma solidità del vincolo che è valso a legare il Manzo, non soltanto con altri sodali di un rango elevato, quali il Todaro, ma anche con esponenti di vertice della famiglia, come ad esempio il Virga.

Le attività di indagine hanno, inoltre, consentito di disvelare il variegato contributo associativo di carattere strategico informativo ed esecutivo, stabilmente assicurato dal Manzo alla famiglia mafiosa di Valderice, evincibile dallo stretto rapporto fiduciario che “l’avvinceva” tanto ai componenti delle famiglia mafiosa di appartenenza (Todaro Francesco, Maltese Giuseppe), quando ad esponenti apicali, storici e attuale del potente mandamento mafioso trapanese (Virga Pietro, Vincenzo Buzzitta Antonino, Matteo Messina Denaro), con cui si relazionava nella soluzione di comuni questioni di interesse strategico per l’articolazione mafiosa.

3.2. L’ampia conoscenza di dinamiche e vicende storiche ed attuali, interne al potente mandamento mafioso trapanese, acquisisce rilievo anche perché di esse, l’indagato, per sua stessa ammissione, risulta avere percezione diretta. Tali esperienze e conoscenze mafiose venivano condivise dal Manzo con altri sodali della famiglia di appartenenza, come risulta dai numerosi colloqui captati.

3.3. L’ordinanza impugnata evidenzia come l’indagato, già condannato in via definitiva in relazione al delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen., unitamente al Maltese per aver fatto parte della famiglia mafiosa di Valderice almeno fino al luglio 2000 – avuto riguardo allo stretto rapporto fiduciario con Virga Francesco, che aveva commissionato al Manzo l’esecuzione di azioni estorsive, mettendolo a conoscenza anche di interessi e cointeressenze occulte su attività economiche della sua zona di competenza – dopo la scarcerazione per fine pena (30 maggio 2003), lungi dal recidere in via definitiva, il conclamato vincolo associativo, aveva nel tempo nuovamente riallacciato relazioni e contatti illeciti con associati mafiosi storici (Todaro Francesco, Maltese Giuseppe) ed attuali (Barone), soggetti con cui l’indagato era solito relazionarsi, con assiduità, dando così inequivoca conferma della piena e persistente conoscenza e condivisione tanto delle regole associative quanto delle dinamiche interne e delle iniziative illecite dell’articolazione mafiosa.

Si evidenzia, inoltre, come il Manzo abbia stabilmente coadiuvato, in posizione direttamente subordinata il vertice della famiglia mafiosa di Valderice, Todaro Francesco, nei cui confronti però il Manzo non lesinava critiche in ordine all’esercizio di compiti di direzione affidati al predetto, come risulta dal contenuto delle captazioni ambientali intercettate indicate nell’ordinanza: tali critiche, seppur non consentite ai sodali, disvelano la piena condivisione da parte del Manzo degli scopi illeciti perseguiti dall’associazione mafiosa e che, pertanto, non trovano alcuna spiegazione alternativa al suo stabile e pieno inserimento nella famiglia mafiosa di Valderice.

3.4. La pronuncia impugnata non si è soffermata solo su una visione atomistica dei singoli episodi, ma li ha anche esaminati in modo globale e complessivo, pervenendo alla conclusione che dagli elementi raccolti a carico del Manzo si ricava il ruolo attivo che lo stesso ha assunto all’interno del gruppo criminale di Valderice: valutazione compiuta in piena aderenza ai principi contenuti nella sentenza delle Sezioni Unite n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889 – 01, secondo cui «la condotta di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si sostanzia nello stabile inserimento dell’agente nella struttura organizzativa della associazione. Tale inserimento deve dimostrarsi idoneo, per le caratteristiche assunte nel caso concreto, a dare luogo alla “messa a disposizione” del sodalizio stesso, per il perseguimento dei comuni fini criminosi».

3.5. A fronte di dette conclusioni, il ricorrente si è sostanzialmente limitato a sollecitare questa Suprema Corte ad effettuare una diversa e inammissibile ricostruzione dei fatti, offrendo una lettura alternativa degli elementi probatori e ponendosi in contrasto con il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, non può essere sindacata dalla Corte di cassazione se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione (nella specie, del tutto inesistente) con cui esse sono recepite (cfr., Sez. U, n. 22471 del 26/2/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01; Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337 – 01; Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D’Andrea, Rv. 268389 – 01; Sez. 3, n. 35593 del 17/05/2016, Folino, Rv. 267650 – 01).

4. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende, così determinata in considerazione dei profili di colpa emergenti dal ricorso. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 -ter disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 -ter disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso in Roma, il 13/03/2024.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

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Si omette l’oscuramento dei dati identificativi dei soggetti citati, in sentenza, in quanto di interesse pubblico (art. 21 Cost.).