Aggredisce l’infermiera che la invitava ad uscire dalla camera dell’ospedale: condannata per resistenza a pubblico ufficiale (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 18 ottobre 2022, n. 39320).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPOZZI Angelo – Presidente –

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere –

Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedetto – Consigliere –

Dott. COSTANTINI Antonio – Rel. Consigliere –

Dott. GIORGI Maria Silvia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) Vanna, nata a Lecco il 17/04/19xx;

avverso la sentenza del 06/12/2021 della Corte appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Antonio Costantini;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Nicola Lettieri, che ha richiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso;

lette le conclusioni del difensore avvocato Sonia (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Vanna (OMISSIS), per mezzo del proprio difensore, ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Milano che, confermando la sentenza resa dal Tribunale di Lecco, la ha condannata alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi otto di reclusione in ordine ai reati di cui agli artt. 337, 582 e 340 cod. pen. poiché, richiesta dall’infermiera (OMISSIS) Alice di lasciare la stanza in cui si trovava al di fuori dei consentiti orari di visita ai degenti, la inseguiva e, una volta raggiunta, la colpiva con uno schiaffo al volto, provocandole lesioni al padiglione auricolare destro giudicate guaribili in cinque giorni, così turbando la regolarità delle attività ospedaliere.

2. Avverso tale decisione, come unico motivo, la ricorrente deduce vizi di motivazione in ordine alla sola ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di resistenza a pubblico ufficiale di cui all’art. 337 cod. pen.

Secondo la ricorrente, la sentenza evidenzia che la violenza veniva semplicemente occasionata dal servizio di pubblica utilità svolto dall’infermiera ma non era tesa ad interromperlo, tanto da essere carente ogni legame con lo svolgimento del servizio; il litigio tra la ricorrente e l’infermiera Alice (OMISSIS) è avvenuto in un momento successivo rispetto alla formulata richiesta rivolta alla (OMISSIS) ed al compagno di lasciare il reparto, quando si stava allontanando e aveva cessato ogni attività connessa allo svolgimento del pubblico servizio.

Detta circostanza è emersa dalle dichiarazioni della persona offesa che aveva confermato di essere stata aggredita mentre si stava allontanando dalla stanza di degenza.

Le acquisizioni probatorie non hanno mai evidenziato collegamenti tra l’atto dell’ufficio e la violenza contestata alla (OMISSIS).

Con motivi aggiunti depositati telematicamente il 16 settembre 2022 la difesa insiste per l’accoglimento del ricorso ribadendo la assenza di legame tra lo schiaffo inferto alla persona offesa e l’attività da questa svolta.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, in quanto generico e declinato in fatto deve essere dichiarato inammissibile.

2. Deve premettersi che le censure contenute nel ricorso, a fronte della conferma della sentenza di condanna relativamente ai delitti di resistenza ex art. 337 cod. pen., lesioni aggravate ex art. 582 e 585 con riferimento all’art. 576, n. 1, cod. pen. e interruzione di pubblico servizio, ex art. 340 cod. pen., sono unicamente rivolte alla parte della decisione che ha confermato la condanna della ricorrente in ordine al delitto di cui all’art. 337 cod. pen. di cui al capo B) ed in tali corrispondenti limiti è stata formulata la richiesta di annullamento (conclusioni a pag. 3 del ricorso ribadite con i motivi aggiunti e conclusioni depositate telematicamente il 16 settembre 2022).

3. Deve essere ribadito il principio di diritto secondo cui, affinché venga integrata la fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale, non è necessario che sia concretamente impedita la libertà di azione del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto dell’ufficio o del servizio, indipendentemente dall’esito, positivo o negativo, di tale azione e dall’effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento degli atti indicati (Sez. 6, n. 5459 del 08/01/2020, Sortino, Rv. 278207).

In particolare, quanto al contesto in cui la violenza assume rilevanza, questa Corte ha puntualizzato che quando il comportamento aggressivo nei confronti del pubblico ufficiale non è diretto a costringere il soggetto a fare un atto contrario ai propri doveri o ad omettere un atto dell’ufficio, ma è solo espressione di volgarità ingiuriosa e di atteggiamento genericamente minaccioso, senza alcuna finalizzazione ad incidere sull’attività dell’ufficio o del servizio, la condotta non integra il delitto di cui all’art. 337 cod. pen., ma i reati di ingiuria e di minaccia, aggravati dalla qualità delle persone offese (Sez. 6, n. 23684 del 14/05/2015, Bianchini, Rv. 263813).

È necessario, pertanto che esista una stretta connessione tra la condotta violenta e minacciosa e l’attività a valenza pubblicistica effettivamente svolta tanto da essere impedita, intralciata o compromessa, anche solo parzialmente e temporaneamente, la regolarità del compimento dell’atto di ufficio o di servizio da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio (Sez. 6, n. 5147 del 16/01/2014, Picco, Rv. 258631).

4. Per quel che in questa sede rileva, come anche evidenziato nel ricorso, non integra il reato di cui all’art. 337 cod. pen. la reazione minacciosa posta in essere nei confronti del pubblico ufficiale dopo che questi abbia già svolto l’atto del proprio ufficio e senza, dunque, la finalità di opporvisi (Sez. 6, n. 8340 del 18/11/2010, dep. 2011, Chiodo Khalil, Rv. 249582).

E proprio al fine di confutare tale evenienza, la Corte territoriale ha messo in evidenza come la persona offesa, allorché veniva inseguita e raggiunta dalla ricorrente e colpita con violenza con uno schiaffo al volto, era proprio in procinto di richiedere aiuto al fine di far osservare le norme interne che disciplinano il diritto di visita dei pazienti, fatti avvenuti dopo che, vanamente, aveva ripetutamente invitato la (OMISSIS) a lasciare la stanza ed attenersi agli orari di visita predisposti dalla struttura ospedaliera, violazione delle norme che regolano l’accesso al nosocomio che neppure la ricorrente ha mai contestato, ammettendo di essersi introdotta unitamente al compagno nel reparto degenze superando una catenella che ne precludeva, anche simbolicamente, l’accesso.

La Corte territoriale ha pertanto evidenziato, al cospetto di critiche rivolte alla ritenuta sussistenza del delitto contestato, che contrariamente a quanto affermato nei motivi di gravame, Alice (OMISSIS), infermiera addetta al reparto, svolgeva esattamente le funzioni connesse al servizio pubblico al quale era deputata, visto che era uscita dalla stanza alla ricerca di un collega che potesse aiutarla a far rispettare la disciplina di visita dei parenti ed allontanare la ricorrente, il compagno ed il figlio della prima che si erano introdotti, al di fuori degli orari consentiti, nella stanza di degenza.

5. La ricorrente, invero, omettendo di confrontarsi con la parte della decisione in cui è stato evidenziato (in tal senso anche la sentenza del Tribunale) che la persona offesa fosse nel corridoio proprio per richiedere ausilio ai colleghi per far allontanare la (OMISSIS), il compagno ed il figlio, tenta di accreditare la tesi a mente della quale l’attività di controllo dell’infermiera aggredita si fosse ormai esaurita.

Il ricorso in tali termini proposto scade, altresì, nel precluso merito nella parte in cui viene messa in discussione la decisione che, attraverso un percorso coerente e logico, previa analisi delle risultanze istruttorie con particolare riferimento alle testimonianze rese dalle persone presenti ai fatti, ha rilevato come la condotta violenta fosse proprio connessa alle funzioni esercitate dalla Gallone, tanto da costituire ostacolo alla stessa.

6. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall’art. 616, c:omma 1, cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il 05/10/2022.

Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.