REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da
Pierluigi Di Stefano – Presidente –
Massimo Ricciarelli -relatore-
Giuseppina Anna Rosaria Pacilli
Paolo Di Geronimo
Ombretta Di Giovine
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Procuratore generale presso Corte di appello di Perugia nei confronti di:
(omissis) (omissis) nato il (omissis);
avverso la sentenza in data 06/12/2022 della Corte di appello di Perugia;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Massimo Ricciarelli;
lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Raffaele Piccirillo, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
lette le memorie inviate dal difensore dell’imputato.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 23/07/2021 il G.u.p. del Tribunale di Perugia, all’esito di giudizio svoltosi con rito abbreviato, ha assolto (omissis) (omissis) dal reato di rivelazione di segreto di ufficio, fatto commesso in data (omissis), in qualità di Procuratore generale presso la Corte di cassazione e componente del C.S.M. e su istigazione del dott. (omissis) (omissis) contestato nel procedimento n. 3224/19, perché non punibile ex art. 131-bis cod. pen., nonché dal reato di rivelazione di segreto di ufficio, commesso in data (omissis), nella medesima veste e su istigazione del dott. (omissis) contestato nel procedimento n. 768/2020, perché il fatto non sussiste.
Ha rilevato il G.u.p. che relativamente al primo reato avrebbe potuto parlarsi di rivelazione di s greto solo con riguardo al riferimento all’importo di duemila euro, che in base ad un’informativa corrispondeva a quello sborsato dal soggetto indicato come corruttore del dott. (omissis) per il pagamento di un viaggio, e che tuttavia si trattava di fatto tale da determinare una minima offesa al bene protetto e da valutarsi nello specifico contesto nel quale il dott. (omissis)si era venuto a trovare per l’improvvisa comparsa del dott. (omissis).
Con riguardo all’ulteriore reato, nel quale veniva attribuito al dott. (omissis) di aver istigato il dott.(omissis) a rivelargli che era pervenuto al Comitato di Presidenza un esposto presentato dal dott. (omissis) d a fornirgli ulteriori ragguagli in ordine alle iniziative che il Comitato di Presidenza intendeva assumere, il G.u.p. ha segnalato che non avrebbe potuto parlarsi di notizie segrete, in quanto rivelate prima di una formale secretazione, non essendo desumibili diverse indicazioni dal Regolamento Interno del Consiglio Superiore della Magistratura, fermo restando che il tipo di rivelazione era inidoneo a determinare una lesione del bene protetto, posto che il dott. (omissis) aveva contezza della presentazione dell’esposto e che il dott. (omissis) si era limitato a formulare ipotesi.
2. A seguito di appello del Procuratore generale, la Corte di appello di Perugia con sentenza del 06/12/2022 ha confermato l’assoluzione pronunciata dal primo Giudice, ritenendo applicabile al primo reato la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. e rilevando, quanto al secondo reato, l’infondatezza dell’assunto accusatorio incentrato sulla configurabilità di un segreto di ufficio desumibile dal Regolamento interno, in particolare dagli artt. 31 e segg., avendo il Comitato di Presidenza secretato formalmente la pratica solo in data successiva a quella delle asserite rivelazioni.
La Corte ha comunque confermato che in concreto non avrebbe potuto ravvisarsi alcuna offensività della condotta.
3. Ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte di appello di Perugia.
3.1. Richiamate le precedenti fasi e dato conto delle motivazioni delle sentenze di merito, con il primo motivo denuncia violazione di legge in relazione alla non punibilità del fatto di cui al procedimento 3224/19, ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen.
Rileva che nel processo erano contestate al dott. (omissis) due analoghe violazioni, poste in essere in un ristretto lasso di tempo, cosicché la reiterazione costituiva presupposto negativo stabilito dal legislatore, ben potendosi desumere l’abitualità da fatti reiterati oggetto dell’esercizio dell’azione penale.
3.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge in relazione alle norme del regolamento interno del C.S.M. circa l’insistenza del segreto, quale presupposto per la configurabilità del reato contestato nel procedimento 768/2020.
Segnala gli argomenti alla base dell’assoluzione, individuati nel fatto che: la secretazione era stata disposta solo il 17 aprile 2019 e non ai sensi dell’art. 32 del regolamento; solo una piccola parte degli atti pervenuti viene iscritta a protocollo riservato; la circolare del 23/11/2016 non rileva ai fini dell’esistenza del segreto, ma comprime solo il principio della piena conoscibilità degli atti da parte dei componenti del C.S.M.; è possibile stabilire una distinzione tra riservatezza e segretezza; nel regolamento è disciplinato l’obbligo del segreto in relazione alle fasi e ai soggetti; i casi di segreto sono tassativamente indicati ed è vietata la possibilità di far ricorso all’analogia o ad interpretazioni estensive.
A fronte di ciò contesta di voler proporre un’interpretazione analogica o estensiva delle norme regolamentari ma di voler sollecitare un inquadramento sistematico e razionale delle stesse.
Richiama l’istituzione del registro di passaggio in cui sono inseriti gli atti iscritti nel protocollo riservato e rileva che tutti gli atti che pervengono sono non ostensibili, tanto più alla luce della prassi dell’iscrizione nel protocollo riservato.
Indipendentemente da secretazione, grava sul personale l’obbligo del segreto ai sensi dell’art. 34, comma 5, del regolamento.
Il problema ha rilievo non oggettivo, bensì soggettivo.
Solo chi iscrive gli atti nel registro riservato e chi li esamina, cioè il Comitato di Presidenza, può conoscere quegli atti.
Non può farsi leva sul dato della non conoscibilità dell’atto, che non costituisce una segretezza affievolita, ma inerisce al diritto di accesso.
I componenti del Consiglio hanno solo la possibilità di conoscere in termini generici quali saranno le pratiche discusse al Comitato di Presidenza, ma non hanno possibilità di conoscere l’atto pervenuto al C.S.M., iscritto nel registro di passaggio.
L’argomento della non conoscibilità non vale a suffragare la tassatività dei casi di previsione del segreto e ad escludere che l’obbligo gravasse sul dott. (omissis) la cui posizione era diversa da quella dei componenti del Consiglio, fermo restando che anche per loro la rivelazione del contenuto di atti non esaminati dal Comitato è penalmente rilevante.
Segnala comunque che se la questione della non conoscibilità degli atti è irrilevante, è per contro errata la distinzione tra riservatezza e segretezza.
Le ragioni di riservatezza di cui all’art. 33 sono poste in relazione alla facoltà di accesso mentre le stesse, ai sensi dell’art. 34, sono quelle che giustificano la segretazione dei lavori e degli atti, per cui non vi è una disciplina per la riservatezza meno rigorosa di quetia relativa alla segretezza, in quanto è la riservatezza che giustifica la segretezza e ne costituisce la ragione.
Alla resa dei conti, sulla base di tale analisi, secondo il ricorrente, l’atto è segreto prima dei lavori del Comitato e può esserlo dopo, valendo la necessità dell’espressa segretazione solo per la fase successiva ai lavori del Comitato di Presidenza, come è desumibile anche dall’art. 31, secondo cui gli atti pervenuti possono essere visti e fotocopiati dopo l’esame da parte del Comitato, che può peraltro disporre la segretazione.
Non può dirsi dunque che il segreto valga solo per il personale amministrativo e che diventi segreto per tutti solo se venga disposta la segretazione.
La conclusione della Corte in ordine all’insussistenza del segreto in capo ai componenti del C.S.M., salva segretazione, dà luogo a conseguenze paradossali, gravando il segreto solo su chi protocolla l’atto o su chi lo riceve dopo la segretazione e non su chi lo esamina per primo e ha il potere di disporre la segretazione.
In ogni caso la facoltà di accesso è successiva al momento dell’esame degli atti da parte del Comitato, mentre nella specie l’attività del Comitato non si era conclusa e dunque l’accesso non era consentito, dovendosi valorizzare l’orientamento per cui in tema di rivelazione di segreti costituiscono notizie di ufficio che devono restare segrete anche quelle la cui diffusione sia vietata dalle norme sul diritto di accesso, perché effettuata senza il rispetto delle modalità ovvero nei confronti di soggetti non titolari del relativo diritto.
Rileva infine il ricorrente che la violazione di legge inerisce anche all’affermazione dell’inesistenza della lesione del bene protetto.
La rivelazione non era stata innocua, avendo messo il dott. (omissis) in condizione di scegliere se intraprendere o meno attività mirate a condizionare le attività del Comitato di Presidenza, a fronte della segnalazione che probabilmente sarebbe stato chiesto un approfondimento al Procuratore Generale di Roma.
4. Il Procuratore generale ha inviato requisitoria concludendo per l’annullamento con rinvio.
5. Ha inviato due memorie il difensore dell’imputato, la prima volta a contrastare il ricorso, segnalandone l’inammissibilità o comunque l’infondatezza, e la seconda volta a replicare alle conclusioni del Procuratore generale.
6. Il ricorso è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23, comma 8, l. n. 137 del 2020, in base alla proroga da ultimo disposta dall’art. 94, comma 2, d.lgs. 150 del 2022, come modificato dall’art. 5-duodecies, d.l. 162 del 2022, convertito con modificazioni dalla legge 199 del 2022.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2. Premesso che, in presenza di doppia conforme sentenza di proscioglimento, con il ricorso, secondo quanto disposto dall’art. 608, comma 1-bis proc. pen., avrebbero potuto proporsi solo i motivi di cui all’art. 606, comma 1, lett. a), b) e c), cod. proc. pen., si rileva che il primo motivo con cui si contesta l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. in relazione all’ipotesi di violazione del segreto di ufficio di cui al procedimento n. 3224/19, è manifestamente infondato.
Il Procuratore generale ricorrente ha inteso dar rilievo all’ulteriore omogenea violazione che forma oggetto del presente procedimento, nel presupposto della configurabilità anche di tale reato, ciò in funzione della ravvisabilità della causa ostativa dell’abitualità.
A prescindere dal rilievo che, come si vedrà, il ricorso è inammissibile anche con riferimento all’ulteriore motivo, concernente la seconda ipotesi di violazione del segreto di ufficio, è comunque dirimente il fatto che la deduzione, volta a prospettare una violazione di legge e dunque non correlata alla valutazione di merito posta alla base del riconoscimento della particolare tenuità, si fondi sul mero dato estrinseco della doppia violazione.
In tale prospettiva è agevole rilevare che il motivo non si confronta con il consolidato orientamento interpretativo riguardante l’indice-criterio della non abitualità. Va infatti rimarcato come il comportamento sia definito abituale dall’art. 131-bis cod. pen. nel caso di soggetto dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza o che abbia commesso più reati della stessa indole, nonché nel caso di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali, reiterate: orbene, venendo all’ipotesi in esame, potrebbe in astratto farsi riferimento a più delitti della stessa specie ovvero a reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, ma in concreto deve ribadirsi che l’abitualità ricorre nel caso in cui, oltre al reato in esame, ne siano ravvisabili altri, almeno due, della stessa indole (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591), e che l’ipotesi delle condotte plurime va correlata a condotte distinte implicate nello sviluppo degli accadimenti ed a condotte strutturalmente riconducibili ad una fattispecie, pur al di fuori dei casi di abitualità e reiterazione (si richiama l’ampia e approfondita analisi di Sez. U, n. 18891 del 27/01/2022, Ubaldi, Rv. 283064).
Deve dunque in radice escludersi che nel caso in esame possa venire in rilievo il profilo dell’abitualità, ciò da cui discende la manifesta infondatezza del motivo.
3. Venendo ora al secondo motivo, avente ad oggetto il reato di violazione del segreto d’ufficio contestato nel procedimento 768 del 2020, deve premettersi che la Corte territoriale, facendo proprie le valutazioni del G.i.p. ha riproposto la duplice motivazione incentrata sia sull’insussistenza del segreto d’ufficio sia sull’inoffensività della condotta.
A fronte di ciò l’ammissibilità del motivo deve essere valutata in relazione alla deduzione di profili di violazione di legge, riferibili ad entrambi i temi, ciascuno dei quali costituente idonea e sufficiente ratio giustificativa.
Orbene, anche condividendo gli assunti volti a suffragare la sussistenza del segreto di ufficio, si rileva che il ricorso si risolve in un alternativo apprezzamento di merito, formulato in modo aspecifico e comunque radicalmente inidoneo a vulnerare la motivazione, con riguardo al profilo della concreta configurabilità di una condotta tipica ed offensiva.
4. Sotto il profilo giuridico deve sottolinearsi che la configurabilità o meno del segreto di ufficio deve essere correlata ad una fonte normativa, non potendo essere presunta sulla base di astratte valutazioni.
Tuttavia non può dirsi a tal fine preclusa un’interpretazione sistematica, teleologicamente orientata, del quadro normativo di riferimento, che non è necessariamente destinata a trasmodare nell’inammissibile ricorso all’analogia.
In tale prospettiva deve aversi riguardo alla disciplina dettata dal regolamento interno del Consiglio Superiore della Magistratura e dalle norme complementari via via introdotte.
Posto che nel caso di specie viene in rilievo un esposto inviato al C.S.M. dal dott. (omissis) iscritto dal Segretario generale nel protocollo riservato ed esaminato dal Comitato di Presidenza in data 3 aprile 2019, una sincronica lettura degli artt. 7 e 31 segg., nonché della risoluzione del 23 novembre 2016, in materia di protocollo riservato, sembra invero accreditare, in conformità con i rilievi contenuti anche nella requisitoria inviata dal Procuratore generale, l’assunto secondo cui avrebbe dovuto ravvisarsi già alla data del 3 aprile 2019 un segreto di ufficio gravante sul dott.(omissis) quale componente del Comitato di Presidenza del C.S.M. nella sua veste di Procuratore generale presso la Corte di cassazione.
Deve al riguardo osservarsi che in base all’art. 31 i componenti del Consiglio sono legittimati a prendere visione di ciascun atto pervenuto solo dopo l’esame di esso da parte del Comitato di Presidenza che, secondo quanto previsto dall’art. 34, può disporre la segretazione provvisoria al momento dell’invio alla Commissione competente, la quale, a sua volta, può disporre la segretazione.
Avvalendosi delle indicazioni relative alle sedute del Comitato, i componenti del Consiglio possono esercitare le facoltà previste dall’art. 7, fermo restando il limite alla diretta conoscenza degli atti.
In tale quadro si inserisce la disciplina sul protocollo riservato e sull’istituzione di un registro di passaggio, che, pur correlata alla previsione dettata dall’art. 32 del Regolamento, che contempla l’ipotesi in cui siano ravvisabili ragioni di sicurezza, è comunque destinata ad attuare il peculiare regime previsto dall’art. 31, in piena coerenza con esso, riducendo ulteriormente la sfera di conoscenza da parte dei componenti del Consiglio prima dell’esame da parte del Comitato di Presidenza.
Ordunque, sebbene il Regolamento contempli espressamente l’obbligo del segreto all’art. 34, che per i componenti del Consiglio si riferisce alle sedute per le quali è stata esclusa la pubblicità e ai lavori delle Commissioni rispetto ai quali è stata disposta la segretazione, nondimeno deve ritenersi che la previsione dell’art. 31 sottenda che l’attività del Comitato di Presidenza sia connotata non solo dal limite della non conoscibilità degli atti, ma anche, almeno verso l’esterno, cioè verso coloro che non fanno parte del C.S.M., dalla massima riservatezza, cioè dalla necessità di salvaguardare preliminarmente quelle stesse esigenze che solo alla luce di quell’esame potranno anche per il prosieguo essere poste a fondamento della formalizzazione del segreto, la cui valenza potrebbe risultare altrimenti pregiudizialmente vanificata.
E’ coerente con tale linea interpretativa anche il fatto che il segreto gravi sul personale del C.S.M. e sui componenti della Segreteria e dell’Ufficio Studi e che la risoluzione del 23 novembre 2016 in tema di protocollo riservato e registro di passaggio prenda in considerazione, ai fini del segreto, gli addetti alla prima ricezione dei documenti in entrata e alla gestione del registro di passaggio con riguardo agli atti ivi inseriti: va infatti considerato che tale disposizione implica necessariamente la configurabilità di un segreto da tutelare prima del sollecito esame del Comitato di Presidenza; quand’anche volesse prospettarsi un diverso ambito della sfera del segreto sul piano soggettivo, non potrebbe comunque prescindersi da precisi indici, desumibili dallo stesso Regolamento, che da un lato assicura una più o meno limitata conoscenza agli altri componenti (si richiama sul punto il disposto dell’art. 7, peraltro con le limitazioni desumibili dalla risoluzione del 23 novembre 2016 nei casi di protocollo riservato e inserimento nel registro di passaggio), ma dall’altro limita la conoscenza all’esterno, cioè al di fuori della sfera di operatività del diritto di accesso contemplato dall’art. 33.
Non può del resto sottacersi che sulla base di un consolidato indirizzo interpretativo «in tema di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio, per notizie di ufficio che devono rimanere segrete si intendono non solo le informazioni sottratte alla divulgazione in ogni tempo e nei confronti di chiunque, ma anche quelle la cui diffusione (non preclusa in un momento successivo) sia vietata dalle norme sul diritto di accesso, perché effettuata senza il rispetto delle modalità previste ovvero nei confronti di soggetti non titolari del diritto a riceverle» (Sez. 6, n. 39312 del 01/07/2022, Mango, Rv. 283941; Sez. 6, n. 19216 del 04/11/2016, dep. 2017, Di Campli, Rv. 269776; Sez. 5, n. 15950 del 15/01/2015, Perrone, Rv. 263590).
Ciò significa che prima dell’invio alla Commissione competente, in specie nei casi di iscrizione nel protocollo riservato e di inserimento negli atti nel registro di passaggio, la ragione della riservatezza da un lato si traduce in un limite alla conoscenza dell’atto da parte degli altri componenti del C.S.M., ma dall’altro implica il segreto, che non può valere solo per gli addetti al protocollo e che comunque opera almeno verso l’esterno, in un quadro insuscettibile di dare luogo ad legittimo accesso da parte di terzi.
5. Peraltro, come anticipato, il giudizio non è decisivamente condizionato da tale profilo.
5.1. Si rileva invero che la condotta addebitata al (omissis) riguarda un colloquio telefonico intercorso con il dott. (omissis) (omissis) in precedenza componente del Consiglio Superiore della Magistratura, ma in quella fase soggetto estraneo ai lavori del Consiglio e del Comitato di Presidenza.
Il colloquio risale alla mattina del 4 aprile 2019 in una fase in cui il Comitato di Presidenza aveva esaminato l’esposto inviato dal dott. (omissis) -iscritto nel protocollo riservato e riguardante una pretesa incompatibilità del dott. Pignatone ma non aveva ancora assunto precise determinazioni in merito. Solo nella tarda mattinata il Comitato avrebbe formulato una richiesta di informazioni al Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma.
5.2. Orbene, al fine di poter formulare un giudizio di penale responsabilità in ordine al delitto di violazione del segreto di ufficio deve aversi riguardo alla peculiare natura di tale fattispecie, che «riveste natura di reato di pericolo effettivo e non meramente presunto nel senso che la rivelazione del segreto è punibile, non già in sé e per sé, ma in quanto suscettibile di produrre nocumento a mezzo della notizia da tenere segreta» (Sez. U, n. 4694 del 27/10/2011, dep. 2012, Casani, Rv. 251271).
D’altro canto il delitto non è ravvisabile «quando la notizia sia divenuta di dominio pubblico, né quando essa, sebbene ancora segreta, sia rivelata a persone appartenenti alla pubblica amministrazione autorizzate a riceverla, in quanto debbano necessariamente esserne informate per la realizzazione dei fini istituzionali connessi al segreto, ovvero a persone che, pur estranee alla pubblica amministrazione, ne siano già venute altrimenti a conoscenza, fermo restando, con riferimento a queste ultime, il limite della non conoscibilità dell’ulteriore evoluzione della notizia stessa» (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555), fermo restando che il reato non ricorre nel caso di rivelazione di notizie futili o insignificanti (Sez. 6, n. 49526 del 03/10/2016, dep. 2017, Greco, Rv. 271565).
In sintesi, dunque, occorre che la rivelazione concerna una notizia che non sia già nota all’interlocutore e che la stessa possa concretamente porre in pericolo il buon andamento e l’imparzialità della P.A.
5.3. Sulla scorta di tale premessa si rileva che la Corte, confermando la valutazione del primo Giudice ha ritenuto che la rivelazione non fosse idonea a porre in pericolo il bene protetto dalla norma, in quanto la stessa aveva avuto ad oggetto l’esposto del dott. (omissis) ben noto al dott. (omissis) (omissis) l’indicazione della successiva destinazione alla Prima Commissione, parimenti nota all’interlocutore per la pregressa esperienza consiliare e, con riferimento all’esame fin lì condotto dal Comitato di Presidenza, aveva riguardato mere ipotesi in ordine alla possibilità di richiesta di informazioni al Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma.
Il motivo di ricorso, a fronte di ciò, si risolve nell’apodittica affermazione che la rivelazione avrebbe posto l’interlocutore nella condizione di poter scegliere se intraprendere attività mirate a condizionare le determinazioni del Comitato di Presidenza, anche cercando un’interlocuzione con il Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma.
Si tratta di assunto che non si misura con l’effettiva consistenza della rivelazione e dunque con l’oggetto di essa, che, secondo la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito, si era risolta in una frase del tutto generica circa una possibile iniziativa di assunzione di informazioni, neppure soggettivamente attribuita, rispetto alla quale (omissis) non avrebbe potuto influire in alcun modo, non essendo stato ancora stabilito alcunché e non essendo stato chiarito neppure di quale tipo di informazioni si trattasse.
6. In presenza di un’informazione solo apparente, non costituente reale sviluppo di una pregressa conoscenza legittima e sostanzialmente priva di capacità euristica -conseguentemente inidonea a compromettere il buon andamento e l’imparzialità della P.A.- deve dunque ritenersi che correttamente la Corte territoriale abbia escluso la configurabilità del reato, risultando per contro il motivo aspecifico e manifestamente infondato.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso il 06/07/2023.
Depositato in Cancelleria, oggi 21 settembre 2023.