Con tre principi di diritto, la Cassazione mette altrettanti punti fermi nella dibattuta questione dei limiti al mantenimento dei figli maggiorenni. Vale il “principio di autoresponsabilità” (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 20 settembre 2023, n. 26875).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

FRANCESCO ANTONIO GENOVESE  -Presidente

MARCO MARULLI                                -Consigliere

LAURA TRICOMI                                  -Consigliere

LOREDANA NAZZICONE                    -Consigliere-Rel.

ANDREA FIDANZIA                              -Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 28612/2020 R.G. proposto da:

(omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in (omissis), presso lo studio dell’avv. (omissis) (omissis) per procura speciale in calce al ricorso che lo rappresenta e difende;

-ricorrente-

contro

(omissis) (omissis), domiciliata in (omissis);

-intimata-

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO ROMA n. 931/2020 depositata il 07/02/2020.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/07/2023 dal Consigliere dott.ssa Loredana Nazzicone.

Udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, che ha concluso per l’accoglimento del quarto motivo di ricorso.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Roma con sentenza del 23 settembre 2015, in sede di giudizio di divorzio, dispose un assegno di € 550,00 in favore della ex moglie ed un assegno di mantenimento di € 500,00 in favore della figlia maggiorenne, da corrispondere alla prima, oltre al contributo pari all’80% delle spese straordinarie per la medesima.

Con sentenza del 7 febbraio 2020, n. 931, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’impugnazione proposta dall’obbligato, ha ridotto l’assegno divorzile ad € 400,00 mensili e quello per la figlia ad € 350,00 mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie, con decorrenza dal settembre 2019.

Ha ritenuto la corte territoriale, per quanto ancora rileva, che:

a) in conformità all’orientamento enunciato da, sez. un., 18287/2018, occorre anzitutto operare la valutazione comparativa delle condizioni economiche e patrimoniali delle parti, e, poi, considerare il contributo reso dal richiedente alla vita ed al patrimonio comune;

nella specie, ha accertato:

i) che il marito ha sempre svolto l’attività di imprenditore nella compravendita di legname, in ispecie parquet, in forma associata o individuale, e nel 2019 ha anche venduto al fratello una quota sociale di altra società del valore calcolato dal c.t.u. in € 54.758,11; le dichiarazioni dei redditi prodotte non sono fedeli, come verificato dal c.t.u., che ha individuato superiori redditi; dai documenti, pur incompleti, depositati dall’obbligato emerge l’esistenza di altri conti correnti, le cui movimentazioni il medesimo ha omesso di produrre; ha, quindi, esaminato il conto titoli e le proprietà immobiliari; inoltre, egli ha un tenore di vita e spese documentate, come accertato dal c.t.u., ben superiori al ridotto reddito dichiarato;

ii) che la moglie non ha mai lavorato durante la convivenza coniugale ed è affetta da infermità psicotica, che le ha da sempre reso difficile la vita di relazione, né è in grado, per la patologia e per l’età, di reperire un’attività lavorativa; ella non ha entrate, come risulta dalle dichiarazioni dei redditi, percependo unicamente l’assegno dell’ex coniuge; ha degli immobili;

iii) tutto ciò considerato e tenuto conto della durata ultraventennale del matrimonio, nonché del fatto che il marito non si è occupato della prole, ha confermato l’assegno, pur riducendolo;

b) con riguardo al mantenimento della figlia maggiorenne non autosufficiente, grava sull’obbligato l’onere di provare che il figlio abbia raggiunto l’indipendenza economica o la sua colpevole inerzia o rifiuto di un’attività lavorativa; nella specie, la corte ha accertato che la figlia della coppia, nata nel (omissis) ha avuto un percorso di studi non costante, essendosi dapprima iscritta ad una facoltà universitaria, ma senza sostenere esami, ed avendo poi iniziato, con maggiore impegno, una facoltà differente, nella quale ha sostenuto venti esami, mancando un solo esame e la tesi al fine del conseguimento del diploma universitario; tenuto conto inoltre del fatto che la medesima ha dovuto affrontare la patologia psichiatrica materna, ha concluso che non sussiste un atteggiamento di inerzia o rifiuto ingiustificati della medesima rispetto al reperimento di un lavoro.

Avverso la sentenza viene proposto ricorso per cassazione dall’obbligato, sulla base di quattro motivi.

Non svolge difese l’intimata.

Il ricorrente ha depositato anche la memoria.

Con ordinanza interlocutoria n. 5968/2023, il Collegio ha ritenuto «opportuno rinviare la trattazione della causa alla discussione in pubblica udienza, in relazione alle doglianze prospettate nel quarto motivo, e ciò in ragione del contrasto registratosi nella giurisprudenza della Prima Sezione civile di questa Corte sulla questione della ripartizione degli oneri probatori in tema di assegno di mantenimento del figlio maggiorenne (così, V. Cass. 12952/2016; v. anche Cass. n. 19589/2011, n. 15756/2006; contra: Cass. 17183/2020; Cass. 27904/2021)»

Il P.G. ha chiesto l’accoglimento del quarto motivo di ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I – I motivi di ricorso possono essere come di seguito riassunti:

1) “difetto di motivazione per errore di fatto” ed omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, 5, c.p.c., con violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., perché la corte territoriale ha errato nell’affermare che il valore della quota di partecipazione nella (omissis) s.r.l., venduta dal ricorrente, sia stato accertato dal c.t.u. in € 54.759,11, quando invece nella relazione peritale viene indicato un quarto di tale valore; anzi, egli vendette la quota al valore nominale di € 2.500,00, quindi questa era la somma da considerare; inoltre, la corte territoriale ha trascurato tutta la documentazione decisiva, da cui emergeva il deterioramento della sua situazione economica;

2) violazione e falsa applicazione degli 2697 c.c. e 5, comma 6, l. n. 898/1970, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., non avendo l’ex moglie provato l’inadeguatezza dei propri mezzi di sussistenza e l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive come l’inabilità al lavoro, e neppure il suo contributo personale ed economico alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune;

3) violazione degli 2733 e 2735 c.c., 115 e 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., avendo la corte territoriale ritenuto provata l’impossibilità di attendere al lavoro della controparte, in forza degli atti dal ricorrente depositati nel procedimento rotale intrapreso per la declaratoria di nullità del matrimonio, così attribuendo valore di confessione stragiudiziale alle sue affermazioni, sebbene dirette ad un terzo (il Vicariato di Roma, quale Tribunale di prima istanza);

4) violazione e falsa applicazione degli 315, comma 4, 337-septies, comma 1, 2697 c.c., 115, comma 1, 116 c.p.c., avendo la corte territoriale affermato che grava sull’obbligato l’onere di provare il venire meno dei presupposti per la sussistenza dell’obbligo di mantenimento della figlia maggiorenne, nonché ritenuto sussistere nella specie i requisiti per il permanere dell’obbligo di mantenimento in capo al genitore, pur essendo la figlia nata nel (omissis) ed avendo conseguito a suo tempo, nel 2008, il diploma nella scuola superiore di odontotecnico, senza ricercare un lavoro coerente con tale titolo di studio, ma decidendo dapprima di iscriversi alla facoltà di Scienze del Turismo, non sostenendo però per tre anni nessun esame, e poi a quella di Filosofia, Lettere e Scienze umanistiche, dove per due anni ha sostenuto un solo esame, ed a quasi dieci anni dall’iscrizione non ha ancora conseguito la laurea triennale.

2. – I primi tre motivi sono inammissibili.

Come palesa la loro stessa tecnica redazionale, si tratta di motivi che, pur sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge o di omesso esame, pretendono invece dalla Corte di legittimità una rivisitazione della vicenda concreta, già scrutinata dai giudici del merito, tramite la lettura degli atti istruttori: ma il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, laddove l’allegazione di un’erronea ricognizione della concreta vicenda a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (e multis, Cass. 15 aprile 2021, 10029; Cass. 17 febbraio 2021, n. 4172; Cass. 22 gennaio 2021, n.  1341; Cass. 4 maggio 2020, n. 8444; Cass. 10 marzo 2020, n. 6692; Cass. 6 marzo 2019, n. 6519; Cass. 5  febbraio 2019, n. 3340; Cass. 14 gennaio 2019, n. 640); rimane, pertanto, estranea a tale vizio qualsiasi censura volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova.

In particolare, giova osservare ancora:

1) quanto al primo motivo, che il dedotto errore sul valore della quota compravenduta non sarebbe comunque decisivo, alla stregua dell’impianto motivazionale complessivo e dell’esame compiuto delle prove raccolte dal giudice del merito;

2) quanto al secondo motivo, che tutti i requisiti a fondamento dell’assegno di mantenimento divorzile sono stati puntualmente vagliati e posti a fondamento della impugnata decisione, senza che il giudice del merito sia tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex multis, Cass. 5 dicembre 2018, n. 31402; Cass. 14 novembre 2013, n. 25608; Cass. 15 aprile 2011, n. 8767; Cass. 9 febbraio 2004, n. 2399);

3) quanto al terzo motivo, che la censura non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale proprio come prova indiziaria tra le altre ha valutato le dichiarazioni provenienti dallo stesso ricorrente in altro giudizio circa la situazione psichiatrica della ex moglie, suffragata dai documenti di tipo medico del pari da essa menzionati.

3. – Il quarto motivo è inammissibile per la prima parte, concernente il soggetto gravato dell’onere della prova, mentre è fondato con riguardo ai requisiti per il permanere dell’obbligo di mantenimento in capo al genitore del figlio

4. – Sotto il primo profilo, concernente l’onere della prova in relazione al diritto al mantenimento in capo al figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, il motivo è inammissibile, anche se è opportuno e enunciare al riguardo il principio di diritto, ai sensi dell’art. 363 p.c.

4.1. – Dall’affermazione in diritto, secondo cui l’onere di provare l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne grava sull’obbligato, e non sul richiedente quello di provarne la esistenza, la corte territoriale non ha, invero, fatto derivare nessuna conseguenza nel processo, dal momento che – lungi dal far gravare sulla parte, ritenuta onerata, le conseguenze del mancato assolvimento dell’onere probatorio – ha semplicemente proceduto ad accertare, sulla base degli elementi in giudizio complessivamente raccolti, l’esistenza delle circostanze idonee in concreto a fondare il diritto al mantenimento

Ma la conclusione raggiunta non è scalfita in nessun modo dall’enunciazione compiuta circa l’onere probatorio, che rimane una tesi teorica, insuscettibile di influenzare la decisione finale e come tale necessariamente foriera della declaratoria d’inammissibilità della parte del motivo che la censura.

4.2. – Peraltro, l’esistenza di un’ordinanza interlocutoria di rimessione alla pubblica udienza induce il Collegio ad operare, in tema, alcune precisazioni, ai sensi dell’art. 363 p.c., quanto all’onere probatorio circa i presupposti per l’attribuzione del mantenimento al figlio maggiorenne.

Va rilevato che nessun contrasto, se non diacronico ed ormai superato, con una difforme visuale esiste in tema di ripartizione degli oneri probatori.

La sentenza Cass. 22 giugno 2016, n. 12952, che l’ordinanza interlocutoria menziona come punta del contrasto, invero – nel cassare il decreto della corte territoriale che, pronunciando sul reclamo e ritenuta non provata la raggiunta indipendenza economica da parte dei due figli, lo aveva accolto, rigettando sia la domanda di revoca che quella di aumento del contributo – aveva censurato il ragionamento del giudice del merito.

Essa aveva affermato che, nell’ipotesi in cui nessun contributo sia ancora dato, è il richiedente che deve allegare e provare i presupposti per il medesimo («il genitore che agisca nei confronti dell’altro per il riconoscimento del diritto al mantenimento in favore dei figli maggiorenni deve allegare il fatto costitutivo della mancanza di indipendenza economica, in quanto condizione legittimante l’azione ed oggetto di un accertamento giudiziale che può essere compiuto, in caso di contestazione, mediante presunzioni desumibili dai fatti che l’attore ha l’onere di introdurre nel processo»): dunque, onere di allegazione e prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., a  carico di chi agisce per richiedere il mantenimento del figlio maggiorenne.

Invece, nell’ipotesi in cui il contributo fosse già stato disposto dal giudice, si reputava ivi bensì l’obbligato onerato della prova del venir meno dei presupposti, ma con la precisazione che già l’età del figlio ed altre condizioni integrano la prova presuntiva della non debenza, mentre è il richiedente stesso a dover provare che la sua inerzia sia incolpevole, ossia gli “ostacoli personali”: «il genitore interessato alla declaratoria di cessazione dell’obbligo di mantenimento è tenuto a provare che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un’attività produttiva di reddito (o il mancato compimento del corso di studi) dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso»: però precisando che «[l]’onere della prova ben p essere assolto, anche in tal caso, mediante  l’allegazione di circostanze di fatto da cui desumere in via presuntiva  l’estinzione  dell’obbligazione  dedotta».

Ed  anzi  – prosegue la sentenza Cass. n. 12952 del 2016 – si inverte, proprio sulla base della presunzione dell’età, l’onere della prova anche nei procedimenti volti alla cessazione del precedentemente accertato obbligo di mantenimento: «La consequenzialità delle condotte perseguite dal raggiungimento della maggiore età costituisc[e] un altro elemento probatorio rilevante.

Ne consegue che gli ostacoli personali al raggiungimento dell’autosufficienza  economico reddituale, in una fase di vita da qualificarsi pienamente adulta sotto il profilo anagrafico, devono venire puntualmente allegati e provati, se collocati all’interno di un percorso di vita caratterizzato da mancanza d’iniziativa e d’impegno verso un obiettivo prescelto».

Da parte di questa pronuncia, dunque, era già stato ampiamente  puntualizzato il regime degli oneri probatori, evidenziandosi che, se il genitore veniva onerato di provare la colpevolezza della inerzia, tuttavia ciò si lega già – in via di presunzione – all’età che avanza e agli “ostacoli personali” che il figlio viene onerato di rendere oggetto di allegazione e prova. Concetti del tutto consoni a quelli nei successivi arresti precisati.

Erano, semmai, altre più risalenti decisioni a porre consapevolmente l’onere a carico del genitore, onerato a dar prova che il figlio avesse raggiunto l’indipendenza economica o che fosse «stato posto nella concreta condizione di poter essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta»: ma per concludere poi soltanto che «[l]’età sola dunque non esclude in modo automatico il diritto al mantenimento» (cfr. Cass. 8 febbraio 2012, n. 1773; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1830).

La giurisprudenza della Corte è ormai uniforme nell’affermare il principio di diritto, che occorre ora ribadire, secondo cui l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente.

Ai fini dell’accoglimento della domanda, così come del permanere dell’obbligo a fronte dell’istanza di revoca dello stesso da parte del genitore, è onere del richiedente provare non solo la mancanza di indipendenza economica – precondizione del diritto preteso – ma anche di avere curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione, professionale o tecnica, e di essersi con pari impegno attivato nella ricerca di un lavoro.

Infatti, raggiunta la maggiore età, si presume l’idoneità al reddito che, per essere vinta, necessita della prova delle fattispecie che integrano il diritto al mantenimento ulteriore.

Ciò è coerente con il consolidato principio generale di prossimità o vicinanza della prova, secondo cui la ripartizione dell’onere probatorio deve tenere conto, oltre che della partizione della fattispecie sostanziale tra fatti costitutivi e fatti estintivi od impeditivi del diritto, anche del principio riconducibile all’art. 24 Cost., ed al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l’esercizio dell’azione in giudizio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova; conseguentemente, ove i fatti possano essere noti solo ad una delle parti, ad essa compete l’onere della prova, pur negativa.

Va altresì ribadito che la prova sarà tanto più lieve per il figlio, quanto più prossima sia la sua età a quella di un recente maggiorenne: invero, da un lato, qualora sia stato emesso dal giudice il provvedimento di mantenimento del figlio minorenne a carico del genitore non convivente, esso resta ultrattivo di per sé, sino ad un eventuale diverso provvedimento del giudice; e, dall’altro lato, qualora sussista una domanda di revoca da parte del genitore obbligato, l’onere della prova risulterà particolarmente agevole per il figlio in prossimità della maggiore età appena compiuta ed anche per gli immediati anni a seguire, quando il soggetto abbia intrapreso un percorso di studi, già questo integrando la prova presuntiva del compimento del giusto sforzo per meglio avanzare verso l’ingresso nel mondo adulto.

È opportuno, altresì, evidenziare come l’applicazione in buona fede di tali principi mai potrà permettere al genitore di negare il suo mantenimento al figlio, convivente o no, non appena e solo perché questi entri nella maggiore età, ove impegnato ancora negli studi superiori (se non universitari), poiché non si legittima affatto la cessazione del contributo da parte del genitore verso il figlio solo in quanto sia divenuto maggiorenne.

Di converso, la prova del diritto all’assegno di mantenimento sarà più gravosa man mano che l’età del figlio aumenti, sino a configurare il c.d. “figlio adulto”: che, in ragione del principio dell’autoresponsabilità, si valuterà, caso per caso, se possa ancora pretendere di essere mantenuto, anche con riguardo alle scelte di vita fino a quel momento operate e all’impegno realmente profuso nella ricerca, prima, di una idonea qualificazione professionale e, poi, di una collocazione lavorativa.

Ne  deriva  l’enunciazione,  ai  sensi  dell’art.  363  c.p.c.,  del principio di diritto, in calce riportato.

5. – Sotto il secondo profilo, concernente i presupposti per l’accertamento del diritto del figlio ultramaggiorenne al suo mantenimento, il quarto motivo è fondato.

5.1. – La corte territoriale, sulla base delle risultanze processuali (da chiunque offerte), ha rilevato che nella specie la figlia, sebbene nata nel (omissis) e ormai adulta, prosegue e sta terminando gli studi, dopo un lungo periodo di disorientamento e di inerzia, secondo la corte giustificato dalla condizione psicotica ed asociale della madre, solo su ciò fondando il diritto al perdurante mantenimento, nonostante l’età ampiamente sopra i trenta anni.

Tale conclusione non è conforme ai principi dettati dalla Corte nella materia.

5.2. – Si è, invero, affermato il principio costante secondo cui che per la legge il figlio adulto, di regola, non ha diritto alla contribuzione dei L’iter del ragionamento si snoda, da un lato, con riguardo alla c.d. funzione educativa del mantenimento, e, dall’altro lato, al c.d. principio di autoresponsabilità.

5.2.1. – Per la prima, la raggiunta età matura del figlio assume rilievo in sé, in ragione dello stretto collegamento tra doveri educativi e di istruzione, da una parte, e obbligo di mantenimento, dall’altra parte, i primi non potendo che cessare a un dato punto dell’evoluzione umana: all’età maggiore, pertanto, quando è matura – perché sia stata ormai raggiunta quella in cui si cessa di essere ragazzi e di accettare le istruzioni e le indicazioni parentali per le proprie scelte di vita, anche minuta e quotidiana – consegue l’insussistenza del diritto al mantenimento.

L’art. 30 Cost. sancisce il dovere e il diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, secondo una correlazione ineliminabile fra funzione educativo-formativa ed obbligo di mantenimento.

Dunque, il sistema positivo pone una stretta e necessaria correlazione tra diritto-dovere all’istruzione e all’educazione, da un lato, e diritto al mantenimento, dall’altro lato, in quanto il diritto del figlio esiste all’interno di un progetto educativo e formativo, reso palese dal collegamento normativo tra gli obblighi di istruzione, educazione e mantenimento.

La funzione educativa del mantenimento, pertanto, è nozione idonea a circoscrivere la portata dell’obbligo relativo, sia in termini di contenuto, sia di durata, avendo riguardo al tempo occorrente e mediamente necessario per il suo inserimento nella società.

5.2.2. – Per il secondo, si è già nei precedenti di questa Corte osservato che, contro la teorica estrema del “diritto ad ogni possibile diritto”, l’art. 337-septies c. indica il trascorrere da una visuale di puro assistenzialismo e discarico delle responsabilità sugli altri – siano essi individui o soggetti collettivi, pubblici o privati – ad un’assunzione di responsabilità in capo al figlio ormai maggiorenne (il principio viene, dall’ordinamento positivo e dal “diritto vivente”, in molti ed eterogenei ambiti applicato: si rinvia a Cass. 14 agosto 2020, n. 17183).

In questa visuale, lo stesso il percorso di formazione prescelto dal figlio, se deve essere auspicabilmente rispettoso delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, deve tuttavia pure essere compatibile con le condizioni economiche dei genitori: donde l’affermazione secondo cui, a un dato momento, è esigibile l’utile attivazione del figlio nella ricerca comunque di un lavoro, al fine di assicurarsi il sostentamento autonomo, nelle more dell’attesa per il reperimento di un impiego più aderente alle proprie soggettive aspirazioni, attesa che non si giustifica più resti inerte ed improduttiva; non potendo egli, di converso, pretendere che a qualsiasi lavoro si adatti soltanto, in vece sua, il genitore, anche per offrirgli il mantenimento sine die.

Dunque, non sussiste per sempre, nella dovuta ricerca dell’aspirato lavoro, un rigido vincolo alla preparazione teorica in atto, dal momento che integra, invece, un dovere del figlio la ricerca, ad una data età, dell’autosufficienza economica, secondo il principio di autoresponsabilità nel saper contemperare le aspirazioni in direzione di un determinato lavoro con il concreto mercato che il lavoro offre.

Occorre, di conseguenza, che sia provato dal richiedente il suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro e la concreta assenza di personale responsabilità nel ritardo a conseguirla  (cfr. Cass. 7 ottobre 2022, n. 29264; Cass. 3 dicembre 2021, n. 37366; Cass. 20 agosto 2020, n. 17380; Cass. 14 agosto 2020, n. 17183).

Si tratta di un orientamento di corretta esegesi normativa ed equilibrio degli interessi di tutte le persone interessate, come regolate dall’ordinamento positivo: dovendosi ribadire, come di recente precisato dalle Sezioni unite di questa Corte, che «[l]a valutazione in sede interpretativa non può spingersi sino alla elaborazione di una norma nuova con l’assunzione di un ruolo sostitutivo del legislatore. La giurisprudenza non è fonte del diritto», nel contempo rilevando che «[l]a giurisprudenza, nell’interpretazione e nell’applicazione della legge, vita al testo normativo e contenuto alle clausole generali, elaborando la regola del caso concreto e poi reiterando la regola del caso nelle successive decisioni» e sottolineandosi l’importanza di una «coerenza degli orientamenti giurisprudenziali, giacché le nuove frontiere dell’interpretazione che aspirino a offrire stabilità e certezza non conseguono a bruschi cambiamenti di rotta, ma sono il frutto di un progredire nel dialogo con i precedenti, con le altre Corti e con la cultura giuridica» (Cass., sez. un., 30 dicembre 2022, n. 38162).

5.3. – La vicenda in esame offre l’occasione di operare alcune puntualizzazioni con riguardo al caso in cui il figlio largamente adulto alleghi di avere mancato di conseguire l’indipendenza economica per le necessità di offrire cura ad altri, nella specie l’altro genitore

Al riguardo, il predetto principio di autoresponsabilità va inteso nel senso che esso impone l’assunzione della responsabilità in capo a e per : assunzione di responsabilità, dunque, capace di ricomprendere l’obbligo di attivazione con ogni mezzo per la ricerca di una indipendenza economica, al fine di per prendersi cura non solo di sé stessi, ma grazie ad essa, se necessario, anche di altri familiari.

Tale principio opera, infatti, anzitutto imponendo al figlio di dimostrarsi tale verso sé stesso: nel senso che i doveri di solidarietà nei confronti del genitore convivente, il quale in ipotesi necessiti di particolari attenzioni o cure, lascia permanere i doveri del figlio verso sé stesso, con l’esigenza di attivarsi per conseguire la propria indipendenza economica; che, peraltro, la stessa necessità di occuparsi anche di altri soggetti costituisce un valido incentivo a proficuamente ricercare.

5.4. – Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto che la figlia, ora di anni trentaquattro – nonostante la qualifica di odontotecnico conseguita negli anni degli studi superiori e nonostante il trascorrere di molti anni nella frequenza di un primo corso universitario con un solo esame sostenuto, e di un secondo corso non ancora concluso, dopo ben dieci anni – abbia comunque diritto all’assegno di Ciò, per il fatto che la sua protratta inerzia si giustificherebbe, in via indiretta, per la condizione di instabilità psichica della madre, la quale, pur sotto controllo grazie ai farmaci, ne richiede la presenza, che essa si è trovata in passato ad assicurare per un lungo periodo.

Tale conclusione non è conforme a diritto.

La condizione di vulnerabilità del genitore convivente con la figlia maggiorenne è stata ritenuta senz’altro dalla corte territoriale una giustificazione per la perdurante pretesa del mantenimento da parte dell’altro genitore, attesa l’esigenza di “affrontare la patologia psichiatrica materna senza il sostegno del padre“.

Ma – alla stregua di quanto appena esposto e dei principi di diritto, sotto enunciati, che tali concetti riassumono – la conclusione non risponde a diritto, dovendo la situazione concreta essere dalla corte del merito rivalutata, previa cassazione della decisione.

6. – In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, in parziale accoglimento del quarto motivo di ricorso, con rinvio innanzi alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, perché decida la controversia applicando il principio dell’autoresponsabilità e, in particolare, sulla base dei seguenti principi di diritto:

1 – «In tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l’onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro: di conseguenza, se il figlio è neomaggiorenne e prosegua nell’ordinario percorso di studi superiori o universitari o di specializzazione, già questa circostanza è idonea a fondare il suo diritto al mantenimento; viceversa, per il “figlio adulto”, in ragione del principio dell’autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa».

2 – «I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando, fra di loro, le sue aspirazioni astratte con il concreto mercato del lavoro, non essendo giustificabile nel “figlio adulto” l’attesa ad ogni costo di un’occupazione necessariamente equivalente a quella desiderata».

3 – «I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando fra di loro, ove si verifichi tale evenienza, il bisogno di particolari attenzioni o cure del genitore convivente con i doveri verso sé stesso, la propria vita e la propria indipendenza economica, potendo tale necessità unicamente giustificare, dopo la maggiore età, meri ritardi nel conseguire la propria autonomia economico-lavorativa, ma mai costituire, nel “figlio adulto”, che anzi è allora tanto più tenuto ad attivarsi, ragione della completa elisione dei doveri verso sé stesso, anche in vista della propria vita futura».

Il primo dei su esposti principi di diritto viene enunciato ai sensi dell’art. 363 c.p.c., essendosi ritenuto inammissibile sul punto il quarto motivo.

Alla Corte del merito si demanda anche la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso; accoglie il quarto motivo, nei limiti di cui in motivazione, enunciando ai sensi dell’art. 363 c.p.c. il primo principio di diritto, in motivazione indicato;

cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

In caso di diffusione della sentenza, si omettano le generalità e i dati identificativi delle parti e degli altri soggetti in essa menzionati, ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11 luglio 2023.

Il Consigliere estensore                                                                                  Il Presidente

Dott.ssa Loredana Nazzicone                                                         Dott. Francesco Antonio Genovese

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.