Attaccarsi con insistenza al campanello della ex, minacciandosi di uccidersi, equivale una condanna per stalking (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 23 febbraio 2021, n. 6968).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ROMANO Michele – Rel. Consigliere –

Dott. MOROSINI Elisabetta Maria – Consigliere –

Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(omissis), nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 23/09/2019 della Corte di appello di Messina;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Michele Romano;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Olga Mignolo, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;

lette le richieste del difensore della parte civile (omissis), avv. (omissis), che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o rigettato e ha fatto pervenire conclusioni scritte e nota spese;

lette le richieste del difensore del ricorrente, avv. (omissis), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale di Messina del 1 giugno 2018, che ha affermato la penale responsabilità di (omissis) per il delitto di atti persecutori (capo A) e violenza privata (capo B) ai danni di (omissis) e, applicate le circostanze attenuanti generiche equivalenti all’aggravante di avere commesso il fatto ai danni di persona alla quale era stato legato da una relazione affettiva e ritenuta la continuazione tra i reati, lo ha condannato alla pena di giustizia, oltre che al risarcimento del danno, liquidato in via equitativa, in favore della persona offesa, costituitasi parte civile.

Al (omissis) si contesta di avere con condotte reiterate molestato (omissis) (omissis) e di averle cagionato un grave e perdurante stato di ansia.

In particolare, dopo la fine della loro relazione affettiva, il (omissis) si era appostato sotto casa della (omissis) e in più occasioni aveva fatto suonare con insistenza il campanello della sua abitazione minacciando di suicidarsi o urlando, l’aveva seguiva per strada e talvolta si era aggrappato al finestrino dell’automobile sulla quale lei viaggiava e le aveva inviato sms interferendo nella sua vita privata.

Inoltre, in un’occasione, aveva impedito a (omissis) che aveva ricevuto una chiamata telefonica, di parlare al telefono strappandoglielo dalle mani e gettandolo a terra.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso (omissis) a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed affidandosi a due motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la carenza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.

La condanna si fonda esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa che avrebbero dovuto essere assistite, per valere come prova dei fatti contestati, da riscontri esterni, atteso che tali dichiarazioni provengono da un soggetto che, costituitosi parte civile, è portatore di interessi economici.

Tali riscontri sono insussistenti, mentre ricorrono numerosi  elementi  di segno opposto, come la circostanza che la persona offesa avesse accusato il (omissis) solo dopo che egli le aveva riferito di volersi rivolgere ad un legale per tutelare i suoi diritti di padre della minore, la accertata falsità dell’accusa rivolta dalla persona offesa al (omissis) di essere dedito all’abuso  di sostanze alcoliche  o di essere una persona mentalmente disturbata.

Peraltro, i sentimenti di prostrazione e paura dichiarati dalla (omissis) preesistevano alla condotta dell’imputato e comunque essi erano in contrasto con l’affermazione di aver voluto incontrare quest’ultimo per comunicargli di essere in stato interessante.

L’interruzione della  gravidanza è possibile per legge solo se sussista una condizione di malattia o di sofferenza del feto o della madre e pertanto lo stato psicologico della (omissis) attestato in una relazione di consulenza tecnica redatta pochi giorni prima che la teste fosse esaminata deve  in  realtà  farsi risalire ad un periodo anteriore a quello della condotta contestata al (omissis).

Le dichiarazioni della (omissis) si pongono in contrasto con quanto riferito dai testi appartenenti alla polizia giudiziaria. Anche l’episodio indicato al capo B) è smentito dalle registrazioni delle telecamere fisse del luogo in cui sarebbe stato commesso il fatto.

La motivazione è illogica anche perché vengono ignorate le prove orali a discolpa e non si considera che le pretese dell’imputato, in assenza di un provvedimento dell’autorità giudiziaria che regolamentasse i rapporti tra padre e figlia, dovevano  ritenersi del tutto legittime.

La Corte di appello non attribuisce alcun valore alle dichiarazioni rese dal padre dell’imputato, preferendo alle stesse quelle della madre della persona offesa, e non considera che il (omissis) era incapace di far del male alla (omissis) o alla figlia e che egli è soggetto assolutamente incensurato, dichiarando le attenuanti solo equivalenti alle aggravanti.

Quanto al capo B) dell’imputazione, il fatto non è stato riferito dalla persona offesa agli agenti intervenuti sul posto e risulta smentito dalle registrazioni delle telecamere presenti sul luogo ove è avvenuto il fatto.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la illegittimità costituzionale della disciplina introdotta dall’art. 1, comma 1, lett. d) e f), della legge del 9 gennaio 2019 n. 3, entrata in vigore in data 1 gennaio 2020 con riguardo alla sospensione dei termini di prescrizione.

In particolare, sostiene che tale disciplina si pone in contrasto con gli artt. 3, 27 e 111 Cost. in quanto introduce una disparità di trattamento tra coloro che sono già stati condannati in primo o in secondo grado, ai quali si applica la sospensione, e coloro che sono stati prosciolti, ai quali non si applica, e perché si pone in contrasto con il principio, costituzionalmente garantito, secondo il quale l’imputato si presume innocente sino a quando non interviene la condanna definitiva, nonché con il principio di ragionevole durata del processo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto le censure del ricorrente attengono al merito e non sono ammissibili in questa sede.

Al Giudice di legittimità è infatti preclusa – in  sede  di  controllo  della motivazione – la rilettura degli  elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti e del relativo compendio probatorio, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché ritenuti maggiormente plausibili o  dotati  di  una migliore capacità esplicativa.

In sostanza, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che attaccano la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore  della  valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, O., Rv. 262965).

2. Il secondo motivo è inammissibile, non essendo rilevante, nel presente giudizio, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal ricorrente.

Difatti, il delitto di violenza  privata  è stato  contestato  come  commesso  in data 8 ottobre 2017, mentre il delitto di atti persecutori risulta commesso a decorrere dal febbraio 2016 e comunque la sentenza di primo grado è stata pronunciata in data 1 giugno 2018,  cosicché,  anche  in  considerazione  della natura sostanziale delle disposizioni in materia di sospensione del termine di prescrizione del reato, che pertanto non possono operare retroattivamente, la nuova disciplina introdotta in detta materia dalla legge n. 3 del 2019, risulta inapplicabile ai reati per cui si procede in questa sede.

3. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616, comma 1, proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00.

Ai sensi dell’art. 541 cod. proc. pen., il ricorrente, rimasto soccombente, deve pure essere condannato alla rifusione, in favore dello Stato, delle spese sostenute per la difesa della parte civile, la cui liquidazione deve essere rimessa al giudice che ha emesso la sentenza passata in giudicato, che vi provvederà emettendo apposito decreto di pagamento, ai sensi degli artt. 82 e 83 d. P.R. n. 115 del 2002, essendo la parte civile stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e  condanna  il  ricorrente  al  pagamento  delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle  spese  di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Messina con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. n. 196/03 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso il 28/01/2021.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2021.

SENTENZA – copia conforme -.