Autista del P.S. – Troppi turni di reperibilità? Il datore rischia di dover risarcire il dipendente (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 21 luglio 2023, n. 21934).

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta da

Dott. ANTONIO MANNA – Presidente –

Dott. CATERINA MAROTTA – Consigliere –

Dott. ROBERTO BELLE’ – Consigliere Rel. –

Dott. SALVATORE CASCIARO – Consigliere –

Dott. MARIA LAVINIA BUCONI – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14017/2017 R.G. proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’Avv. (OMISSIS) (OMISSIS) e domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

-ricorrente-

contro

(OMISSIS) (OMISSIS) – GESTIONE LIQUIDATORIA DELLA (OMISSIS), in persona del legale rappresentate pro tempore, rappresentate e difese dall’Avv. (OMISSIS) (OMISSIS) ed elettivamente domiciliate in Roma, Via. (OMISSIS), presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS) (OMISSIS):

-controricorrenti-

avverso la sentenza n. 255/2016 della Corte d’Appello di Campobasso, depositata il 30.11.2016, N.R.G. 199/2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3.5.2023 dal Consigliere dott. Roberto Bellé;

RILEVATO CHE

1. (OMISSIS) (OMISSIS), insieme ad altro litisconsorte che non è parte del giudizio di cassazione, ha agito nei confronti dell’Azienda  in causa cui ha partecipato anche la Gestione Liquidatoria della, esponendo di lavorare come operatore tecnico specializzato (autista di ambulanza) presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di (OMISSIS) e chiedendo accertarsi l’abusiva richiesta, nei suoi confronti, di svolgimento, nel corso degli anni, di un numero di turni di pronta disponibilità notevolmente superiore a quello (pari a sei ore mensili) di regola previsto dalla contrattazione collettiva, con accertamento del suo diritto a non prestare turni in eccedenza, se non in ipotesi di effettiva necessità e fissazione di una “speciale” indennità nel caso di superamento di quei limiti, oltre alla condanna di (OMISSIS) al risarcimento del danno cagionato per usura alla sua integrità psico-fisica in ragione delle richieste datoriali intervenute nel tempo;

2. la Corte d’Appello di Campobasso, rigettando il gravame proposto avverso la sentenza del Tribunale di Isernia, ha ritenuto infondate le domande;

rispetto alla richiesta di un ordine di ottemperanza alla normativa in materia ed all’accertamento del diritto dei ricorrenti a non prestare turni eccedenti il dovuto, la Corte d’Appello riteneva non sussistere il diritto ad una declaratoria di tal fatta, in quanto essa si sarebbe posta – secondo la Corte stessa – in contrasto con la norma collettiva, in ciò risolvendosi la pretesa che il datore di lavoro non richiedesse – mentre il CCNL sempre secondo la Corte di merito lo consentirebbe – prestazioni oltre il limite numerico, né poteva essere il giudice a fissare indennità per turni eccedenti il numero stabilito “di regola” da tale contrattazione, risultando ciò di competenza esclusiva di quest’ultima;

quanto alla domanda risarcitoria, secondo la Corte d’Appello, il numero medio di non oltre 120 turni annui eccedenti rispetto ai dieci mensili ordinari denotava un dato di non eccessiva entità e soprattutto di estrema variabilità, cui si accompagnava il fatto che mai dagli interessati erano stati opposti rilievi o proposte alternative o specifiche richieste;

quanto poi al danno da usura psicofisica si trattava, sempre secondo la Corte del merito, di questione che non poteva prescindere da una specifica allegazione in ordine ai caratteri naturalistici della sua concreta manifestazione, così come non poteva ravvisarsi alcuna presunzione assoluta di danno da inadempimento contrattuale;

3. (OMISSIS) (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, resistiti da controricorso di (OMISSIS) e della Gestione Liquidatoria della ex- (OMISSIS), che ha depositato memoria difensiva;

RILEVATO CHE

1. con il primo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 ss. e.e., nonché degli artt. 1175 e 1375 e.e., oltre ad erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 7 CCNL di comparto (art. 360 n. 3 c.c.);

il motivo argomenta sostenendo che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenuto che la norma contrattuale, nello stabilire che “di regola” i turni di pronta disponibilità dovessero essere sei (e non dieci come afferma la Corte di merito) rendesse giustificato il ricorso ad un numero di turni indefinito ed assai elevato, anche perché in tal modo la previsione collettiva sarebbe stata sostanzialmente neutralizzata;

in ogni caso le modalità di impostazione dei turni nei riguardi del ricorrente erano da ritenere avvenute con modalità abusive ed inadempienti rispetto al disposto contrattuale, oltre che in contrasto con i principi di buona fede;

il ricorrente negava poi di avere domandato che fosse imposto ad (OMISSIS) un generale divieto di superare il limite dei turni mensili, avendo chiesto solo che fosse imposto al datore di lavoro di rispettare il senso della regola collettiva, evitando di fare un uso irragionevole della norma;

il secondo motivo adduce invece la violazione degli art. 1218, 1223, 2697, 2727 e 2729 c.c. (art. 360 n., 3 c.p.c.), evidenziando come non si potesse sostenere che mancassero elementi probatori del danno determinatosi, tenuto conto della misura esorbitante dei turni fatti osservare e dell’inevitabile effetto di usura e di limitazione al riposo, oltre che delle normali attività socio-ricreative che da ciò derivava;

2. i motivi sono fondati, nei termini in cui si va a dire;

3. l’oggetto del contendere non riguarda il pagamento a titolo retributivo delle prestazioni di pronta disponibilità assicurate nel tempo, ma l’asserita illegittimità della richiesta di esse perché avvenuta in misura abnorme rispetto alla regola fissata dalla contrattazione collettiva ed il danno che da ciò sarebbe derivato;

in proposito, questa S.C., interpretando analoga norma dell’Area medica, ha fissato il principio, da prendere a base del ragionamento da svolgere in questa sede, in forza del quale la previsione secondo cui «di regola non potranno essere previsti per ciascun dirigente più di dieci turni di pronta disponibilità nel mes(nel caso di specie, non trattandosi di dirigente, declinata dal CCNL di comparto nel senso che “di regola non potranno essere previsti per ciascun dipendente più di sei turni di pronta disponibilità al mese”) va intesa come precetto di natura programmatica e non come limite temporale invalicabile, avuto riguardo al tenore letterale della norma, alla qualità dei destinatari ed alla natura del servizio reso, fermo restando il diritto alla retribuzione per i turni eccedentari e salvo il risarcimento del danno nel caso di pregiudizio per il recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore; pertanto, per i turni di pronta disponibilità resi oltre il numero di dieci (qui, sei) mensili deve essere corrisposta la specifica indennità retributiva prevista dall’art. 17, comma 5, del medesimo CCNL (qui, art. 7, co. 6, CCNL comparto  sanità  20 settembre 2001, integrativo del CCNL 7.4.1999): Cass. 15 dicembre 2022, n. 36839; in senso analogo, quanto al pagamento delle prestazioni, Cass. 8 novembre 2019, n. 28938;

3.1.1. si possono poi richiamare altri precedenti, dai quali emerge la distinzione tra varie situazioni, differenziate anche dalla natura dei riposi spettanti e rispetto al cui diritto si postula la violazione, nel senso complessivo che possono esservi:

– riposi il cui mancato riconoscimento, con richiesta della prestazione, non è in sé illecito, perché la contrattazione collettiva non nega la possibilità che ciò accada, pur imponendo il riconoscimento di un corrispettivo retributivo, talora maggiorato ed eventualmente anche recuperi compensativi (casi di cui è menzione in Cass. 1 dicembre 2016, n. 24563; Cass. 8 novembre 2019, n. 28938);

– riposi il cui mancato riconoscimento è in sé illegittimo, perché tale da violare regole di riconoscimento necessario delle soste nella prestazione lavorativa, nel quale caso, al di là della remunerazione del lavoro comunque svolto e\o al riposo compensativo, sorge il diritto al risarcimento del danno (ancora Cass. 24563/2016 cit.; Cass. 20 agosto 2004, n. 16398), tanto più grave e significativo quanto più protrattosi nel tempo (Cass. 14 luglio 2015, n. 14710; Cass. 10 maggio 2019, n. 12538);

il caso di specie intercetta una variante ulteriore della prima ipotesi, non ignota ad altri precedenti (v. Cass. 5 agosto 2020, n. 16711, in tema di straordinario dei medici, ma anche la massima citata di Cass. 36839/2022 cit.), perché la contrattazione ammette il superamento dei limiti da essa stessa fissati, ma è il concreto atteggiarsi della mancata fruizione piena dei riposi, per le sue modalità di manifestazione, a far sorgere il diritto al risarcimento in ragione del carattere usurante e della lesione della personalità morale (art. 35 e 2 Cost., in relazione all’art. 2087 c.c.) del lavoratore che deriva dall’impedimento al ristoro ed alla conduzione di una vita compatibile con gli impegni lavorativi;

in sostanza, in casi come quello di specie, il superamento dei limiti di turni normale, ovverosia quello previsto come “di regola”, non è in sé ragione di inadempimento datoriale, ma lo può diventare se in concreto si determini un’interferenza tale, rispetto alla vita privata del lavoratore, da far individuare un pregiudizio al diritto al riposo;

3.2. tale pregiudizio, proprio per la natura elastica della norma collettiva, per essere individuato, necessita di un superamento significativo di quel limite, fino al punto di poter dire che la vita personale del lavoratore, in ragione di ciò, sia stata inevitabilmente compromessa;

a questo proposito, il ragionamento della Corte territoriale, oltre all’errore sul numero normale di turni (sei, invece che dieci), ha ritenuto non eccessivo un numero di essi che, mediamente, si è attestato attorno a dieci turni eccedentari mensili (120 annui, afferma  infatti  la  Corte  territoriale), ovverosia su un’entità  quantitativa che, al di là della determinazione esatta, che qui non può avere corso, si colloca manifestamente al di fuori da ogni proporzione;

è vero che, trattandosi di prestazione di mera disponibilità, l’impatto di essa sulle attività che il lavoratore può svolgere per non essere direttamente impegnato nel lavoro attivo è minore, ma quella dimensione esorbitante è comunque tale da interferire senza alcun dubbio sulla vita privata dell’interessato, condizionata per quasi metà del mese (i sei turni regolamentari, più i dieci aggiuntivi) nel proprio libero svolgimento;

l’affermazione della Corte territoriale secondo cui quella richiesta di turni fosse di «non eccessiva entità», è manifestamente irragionevole e coglie nel segno la censura del ricorrente sotto il profilo della violazione della norma collettiva, nel senso che quest’ultima, nel fissare un parametro di normalità (“di regola”), rende illegittimo il ricorso in forma smodata a quella turnistica e resta pacificamente violata nel momento in cui “ictu oculi” i turni fatti svolgere sono al di fuori da ogni tollerabile dimensione quantitativa;

qui non è problema di valutazioni di merito, perché le misure dell’accaduto sono tali da valicare senza altre possibilità il limite – se si vuole poi comunque imposto anche da regole di buona fede che fanno della proporzionalità rispetto alla vicenda reale il proprio fondamento ultimo – che è implicito nella previsione collettiva;

3.3. è quindi indubbio che il profilo dell’inadempimento sia stato mal apprezzato e che la norma collettiva non consenta di individuare un diritto dell’ente sanitario di richiedere prestazioni con tali abnormi modalità quantitative;

4. conclusioni non diverse valgono sotto il profilo del danno;

i precedenti di questa S.C. sono chiari nel precisare che, al di là dello sfociare del pregiudizio (danno-conseguenza) in condizioni di patologia psicofisica, di cui non vi è traccia nelle difese del ricorrente, qualora venga in gioco la violazione (in una delle forme di cui si è sopra detto al punto 3.1) del diritto al riposo e dunque della personalità del lavoratore, il danno è in re ipsa (Cass. 24563/2016; Cass. 14710/2015; Cass., 16398/2004 citt.);

nel caso di specie, attraverso “turni” di reperibilità per periodi che almeno in media sono stati pari a circa metà di ogni mese, se non di più, si è determinata una situazione che realizza un condizionamento illecito della vita personale, perché le dimensioni dell’impegno sono state tali da impedire la possibilità stessa di fare liberamente cose ad una certa distanza territoriale dal posto di lavoro;

ma poi, riposo nel suo significato più pieno e completo, significa allontanamento anche mentale dalla necessità di mantenersi a disposizione del datore di lavoro e l’entità dell’impegno di cui si è detto impedisce inevitabilmente il realizzarsi di tale fine;

non vi era dunque necessità che il ricorrente allegasse alcunché di specifico, perché quella misura dell’impegno di disponibilità è la negazione in sé di un tratto della vita personale e dunque un danno alla personalità morale del lavoratore, per essersi perduto il riposo ed essersi in tal modo realizzata un’interferenza illecita nella sfera giuridica inviolabile altrui (art. 2 Cost.) munita in questo di specifico riconoscimento costituzionale (artt. 35, co. 1, e nei principi sottesi all’art. 36, co. 2 e 3 Cost.), oltre che di riconoscimento in fonti eurounitarie (direttiva 2003/88/CE) ed internazionali (Convenzioni OIL sull’orario di lavoro, a partire dalla n. 1 del 2019, resa esecutiva dal R.D.L. 1429/1923);

tale lesione, come è per altri beni personalissimi, è in quanto tale perdita risarcibile, potendo anzi risultare fuorviante pretendere necessariamente l’esistenza di perdite-conseguenza diverse;

il danno matura, dunque, senza che rilevino più di tanto allegazioni di dettaglio atte e differenziare a tutti i costi una situazione pregiudizievole che tendenzialmente ha una base uguale per tutti, per il fatto della lesione alla vita personale che scaturisce dalla violazione del diritto al riposo nei termini di abnormità di cui si è detto;

l’esistenza di ulteriori danni-conseguenza (come quello alla salute) certamente comporterebbe specifici risarcimenti ad essi riconnessi (v. ancora Cass. 24563/2016 cit.), ma il ristoro prescinde da essi e deriva già dal pregiudizio alla vita personale considerato come tale;

4.1. questione diversa, rispetto alla quale valgono evidentemente cauti apprezzamenti di natura equitativa, è quella delle modalità di stima di tale danno, ma non si può dire che il pregiudizio non sia stato dimostrato, perché si è determinata in sé l’alterazione di una dinamica personale – quella del distanziamento dal lavoro in direzione del riposo – la cui tutela è indefettibile sulla base dei parametri di principio sopra richiamati;

5. neppure ha rilievo, sotto il profilo dell’inadempimento datoriale, il fatto che il lavoratore non abbia mai mosso rilievi rispetto alle richieste di assicurazione di quella pronta disponibilità;

la lesione di diritti personalissimi ed inviolabili, di cui si è detto, tutelati a livello delle massime fonti dell’ordinamento, non permette di riconoscere nel consenso del danneggiato un fattore esimente, spettando al datore di lavoro organizzarsi in modo da non richiedere e comunque da impedire, anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 2087 c.c., mirato a proteggere non solo la salute ma anche la personalità morale del lavoratore, che vi sia ricorso all’impegno di lavoro del dipendente in violazione di quei principi (v. Cass. 12538/2019 cit.);

6. il ricorso va dunque accolto, né hanno pregio le eccezioni di inammissibilità sollevate con il controricorso ma quanto le considerazioni di cui sopra, svolte sulla base di quanto emerge dalla sentenza impugnata e dal ricorso per cassazione, non lasciano trasparire carenze che possano far ragionare in termini di difetti di autosufficienza, né di limiti di chiarezza e sinteticità, mentre per quanto attiene alla manifesta infondatezza ex art. 360-bis n. 1 c.p.c., pur dedotta da (OMISSIS), è evidente che, sulla base di quanto sopra argomentato, è vero esattamente il contrario, ovverosia che i motivi di ricorso sono coerenti con le linee portanti della giurisprudenza di questa S.C.

7. all’accoglimento del ricorso segue la cassazione ed il rinvio ad altra Corte d’Appello, indicata in dispositivo, che deciderà sulle domande dispiegate facendo applicazione dei principi sopra espressi, previo ogni miglior accertamento di dettaglio che si rendesse necessario;

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di L’Aquila.

Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 3.5.2023.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.