REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOGINI Stefano – Presidente –
Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere –
Dott. DI GIURO Gaetano – Rel. Consigliere –
Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere –
Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS) EMANUELE nato a MESSINA il 07/01/19xx;
(OMISSIS) GIOVANNI CARLO nato a CATANIA il 30/11/19xx;
(OMISSIS) SALVATORE nato a CALTAGIRONE il 01/12/19xx;
(OMISSIS) GIUSEPPINA nato a FIUMEDINISI il 26/05/19xx;
avverso la sentenza del 22/12/2020 del TRIBUNALE di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GAETANO DI GIURO;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa ASSUNTA COCOMELLO che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi e le conclusioni scritte, avv. Carmelo (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi e, in subordine, la dichiarazione di estinzione dei reati.
RILEVATO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Messina in composizione monocratica, per quanto di interesse in questa sede, ha condannato Emanuele (OMISSIS), Giovanni Carlo (OMISSIS), Salvatore (OMISSIS) e Giuseppina (OMISSIS) alla pena di euro 400,00 di ammenda in ordine al reato di cui all’art. 677, comma 3, cod. pen..
Il Tribunale ritiene indubbia la responsabilità dei suddetti per avere omesso di provvedere ai lavori necessari al ripristino dei balconi negli appartamenti di loro rispettiva proprietà (siti in (OMISSIS) di Sicilia) al fine di rimuovere il pericolo alle persone.
A tale riguardo rileva che:
– gli imputati si sono difesi addebitando la responsabilità degli omessi interventi alla mancata formazione di una sufficiente volontà assembleare nel corso degli anni (addirittura dal 2008);
– nessuno di essi, però, risulta tuttavia né avere diffidato l’amministratore del condominio a porre in essere tutte quelle misure precauzionali tese ad evitare i pericoli di crolli o il progressivo degrado delle strutture con la posa delle reti di protezione, né avere operato autonomamente in tal senso;
– il reato de quo è reato colposo omissivo proprio;
– i proprietari di immobili rivestono una posizione di garanzia non delegabile in toto ad altre figure, quali l’amministratore di un condominio, con cui necessariamente condividono l’obbligo di agire anche su cose non di loro esclusiva proprietà, pur in via sussidiaria e in caso di inerzia di quest’ultimo;
– l’attribuzione dell’obbligo di garanzia delegato all’amministratore per la conservazione delle cose comuni non esclude, anzi implica, che in caso di sua inerzia tale obbligo si riverberi sui proprietari dei beni coscienti del pericolo che da essi possa derivare, ponendo in loro capo la responsabilità (anche solo per culpa in vigilando);
– nella specie, trattandosi oltre tutto di lavori da tempo immemorabile necessari di cui gli imputati erano consapevoli, l’inerzia dei medesimi, altrettanto avvisati della sussistente minaccia di rovina di cui soffrivano parti dei propri balconi, colora quindi la loro condotta omissiva di un grado di negligenza tale da integrare l’elemento della colpa;
– l’omessa esecuzione dei lavori necessari, riguardando parti (sia di proprietà esclusiva sia eventualmente riconducibili a cosa comune) degli appartamenti agli imputati riconducibili ha implicato una condotta colposa da parte degli stessi, recando i rispettivi balconi punti di degrado che minacciavano rovina.
2. Avverso tale sentenza Giovanni Carlo (OMISSIS), Emanuele (OMISSIS), Salvatore (OMISSIS) e Giuseppina (OMISSIS) propongono appello, correttamente qualificato come ricorso per cassazione, deducendo vizio di motivazione e violazione dell’art. 677, comma 3, cod. pen.
2.1. Col primo motivo di impugnazione la difesa rileva che gli imputati si erano sempre preoccupati di segnalare la situazione della facciata condominiale all’amministratore e avevano sempre partecipato alle assemblee nelle quali però non si raggiungeva il numero legale; e che pertanto agli stessi non poteva essere attribuita alcuna colpa specifica, dovendo ricadere la responsabilità su tutti i condomini o comunque su quelli della scala degli imputati, essendosi l’intonaco distaccato da una parte condominiale della facciata.
2.2. Col secondo motivo di ricorso la difesa sostiene che i lavori dovevano e potevano eseguirsi solo in ambito condominiale, trattandosi dei frontalini dei balconi, e che nessuna colpa è, quindi, attribuibile agli imputati che non potevano essere tacciati di alcuna inerzia.
2.3. Col terzo motivo di impugnazione rileva il difensore che dall’istruttoria dibattimentale svolta non è risultato da quale balcone si staccava il calcinaccio che determinava le lesioni colpose (per le quali è stata pronunciata sentenza di non doversi procedere nei confronti degli imputati per estinzione del reato a seguito di remissione di querela) e che, pertanto, in detta situazione gli imputati andavano assolti.
Il difensore insiste, alla luce di tali motivi, per l’annullamento della sentenza impugnata.
3. Disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell’art. 23 del d. I. 28 ottobre 2020, n. 137, il Sostituto Procuratore generale presso questa Corte, Dott.ssa Assunta Cocomello, chiede il rigetto dei ricorsi, mentre il difensore degli imputati, avv. Carmelo (OMISSIS), chiede l’accoglimento degli stessi e, in subordine, la dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono inammissibili.
In tema di omissione di lavori in costruzioni che minacciano rovina negli edifici condominiali, nel caso di mancata formazione della volontà assembleare e di omesso stanziamento di fondi necessari per porre rimedio al degrado che dà luogo al pericolo, non può ipotizzarsi la responsabilità per il reato di cui all’art. 677 cod. pen. a carico dell’amministratore del condominio per non aver attuato interventi che non erano in suo materiale potere, ricadendo in siffatta situazione su ogni singolo proprietario l’obbligo giuridico di rimuovere la situazione pericolosa, indipendentemente dall’attribuibilità al medesimo dell’origine della stessa (Sez. 1, n. 50366 del 07/10/2019, Assabese, Rv. 278081).
Nel caso in esame il Tribunale di Messina ha correttamente ritenuto di affermare la penale responsabilità degli imputati con riferimento al reato in questione, per non essersi gli stessi attivati al fine di evitare l’evento.
Ha, invero, sottolineato – come riportato in punto di fatto – come non risulti che i medesimi abbiano diffidato l’amministratore del condominio ad intervenire a titolo precauzionale, né tantomeno che abbiano posto in essere autonomamente degli interventi tesi ad evitare crolli.
A nulla vale, pertanto, la circostanza aspecificamente evidenziata dalla difesa, secondo cui gli imputati si erano sempre preoccupati di segnalare la situazione della facciata condominiale all’amministratore e avevano sempre partecipato alle assemblee condominiali.
A fronte, invero, del provvedimento impugnato che sottolinea che – avendo ammesso gli stessi ricorrenti che l’amministratore condominiale non aveva potuto procedere all’esecuzione dei lavori necessari per la mancata formazione della volontà assembleare sul punto – non può scaricarsi sul medesimo la responsabilità penale della condotta, tantomeno in via esclusiva.
Nonché della giurisprudenza consolidata di questa Corte, che ha chiarito che, ai fini dell’integrazione del reato in parola che costituisce illecito contravvenzionale, è sufficiente la colpa e non è, quindi, necessario che la condotta omissiva sia motivata da una specifica volontà di sottrarsi ai dovuti adempimenti, essendo al contrario sufficiente a tanto anche un atteggiamento negativo dovuto a colpa.
La sentenza impugnata, invero, precisa che nel caso di specie si trattava di interventi da tempo necessari la cui esecuzione era stata di fatto procrastinata a tempo indeterminato.
I motivi dei ricorsi, di contro, non si confrontano con le argomentazioni di detta sentenza, scevre da vizi logici e giuridici, se non per contestarle in modo generico e non autosufficiente, ripercorrere gli stessi rilievi ampiamente sviscerati dal Giudice di merito ed insistere, sotto le spoglie della violazione di legge e del vizio di motivazione, su una non consentita, in questa sede, rivalutazione di elementi fattuali.
2. I ricorsi devono essere, pertanto, dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, ciascuno al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 giugno 2022.
Depositato in Cancelleria il 24 agosto 2022.