Casamonica: applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di Roma per anni due e la confisca dei beni nella sua diretta disponibilità (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 22 ottobre 2019, n. 43290).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRONCI Andrea – Presidente

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. ROSATI Martino – Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

Dott. MOGINI Stefano – rel. Consigliere

la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CASAMONICA GUIDO nato a (OMISSIS il (OMISSIS);

avverso il decreto del 18/12/2018 della CORTE APPELLO di ROMA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. STEFANO MOGINI;

lette le conclusioni del Procuratore Generale che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Casamonica Guido ricorre con distinti atti a firma rispettivamente degli Avvocati Alessandro Diddi e Massimo Biffa avverso il decreto col quale la Corte di appello di Roma ha confermato quello di primo grado che gli ha applicato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di Roma per anni due e la confisca dei beni nella sua diretta disponibilità analiticamente indicati nel provvedimento impugnato.

2. Il ricorrente deduce i seguenti motivi.

2.1. Violazione del suo diritto di patIecipazione ;- al giudizio, avendo egli chiesto di poter partecipare all’udienza di trattazione in primo grado originariamente fissata per il 19/12/2016 e poi rinviata per indisponibilità del presidente del collegio.

Il Tribunale, rilevato che il ricorrente era detenuto presso la Casa circondariale di Perugia, non riteneva di disporre il collegamento audiovisivo ai sensi dell’art. 146 bis Disp. att. cod. proc. pen. .

Rileva il ricorrente che di fatto la possibilità per il detenuto di partecipare o meno all’udienza è stata fatta dipendere da un provvedimento amministrativo insindacabile adottato dal Ministero della Giustizia, cui spetta la dislocazione dei detenuti nei diversi istituti penitenziari.

Di più, il provvedimento impugnato – che sottolinea come il ricorrente non abbia chiesto di essere sentito, ma solo di partecipare all’udienza di trattazione, situazione questa non tutelata prima dell’entrata in vigore della legge n. 171/2017 – avrebbe comportato nullità a regime intermedio per violazione dell’art. 178, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., atteso che il proposto avrebbe nell’occasione potuto interloquire con i suoi difensori e dare un proprio contributo dichiarativo. Errata sarebbe poi la motivazione (trattarsi di norma non più in vigore) con la quale la Corte territoriale ha disatteso la subordinata richiesta di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

2.2. Violazione del diritto di difesa per avere il Tribunale omesso di dare avviso alle parti di un documento – la relazione redatta dell’Ing. Tommaso Morici relativa alla valutazione di idoneità tecnica e sismica di un fabbricato abusivamente realizzato dal ricorrente – acquisito nell’ambito del procedimento di amministrazione delle cose sequestrate e utilizzato ai fini della decisione sulla confisca.

2.3. Violazione di legge per motivazione apparente in relazione alla ritenuta attualità della pericolosità sociale del ricorrente e omesso esame della questione di legittimità costituzionale sollecitata alla Corte territoriale, con memoria del 18/12/2018, in riferimento alla sentenza della Corte Edu nel caso Italia c. De Tommaso.

2.4. Violazione di legge per motivazione apparente in ordine ai presupposti applicativi della disposta confisca.

3. Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

4. Con memoria depositata in Cancelleria il 7/6/2019 i difensori del ricorrente, Avvocati Ivano Chiesa e Alessandro Diddi, hanno segnalato che con sentenza n. 24/2019 la Corte costituzionale ha limitato i reati la cui commissione è idonea a giustificare la prognosi di pericolosità sociale ai sensi dell’art. 1, lett. b), d. Igs. n. 159/2011 a quelli giudizialmente accertati con sentenza e per loro natura capaci di generare profitto/reddito in favore del proposto, allorché l’unico reato contro il patrimonio commesso dal ricorrente risale al 2010, essendo le ulteriori condanne relative a reati insuscettibili di produrre guadagno.

5. Con nota deposita in Cancelleria in data 14/6/2019 l’Avvocato Massimo Biffa ha segnalato di non aver ricevuto la notifica dell’avviso di fissazione dell’odierna udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi proposti nell’interesse di Casamonica Guido, tra loro largamente sovrapponibili, sono inammissibili.

Il Collegio rileva preliminarmente che il ricorso a firma dell’Avvocato Massimo Biffa in data 31 gennaio 2019 è stato redatto allorché il proposto aveva, in data 29/1/2019, revocato il mandato a detto difensore, il quale per tale ragione, correttamente, non è stato destinatario dell’avviso di fissazione dell’odierna udienza.

2. È inammissibile, perché aspecifico, precluso e manifestamente infondato, il motivo col quale è stata dedotta violazione del diritto del proposto di partecipare al giudizio di prevenzione.

Va al riguardo preliminarmente rilevato che dal ricorso, e agli atti del procedimento, non risulta in alcun modo che l’omessa partecipazione del proposto all’udienza di trattazione dinanzi al Tribunale o, comunque, la sua omessa audizione da parte del Magistrato di sorveglianza, siano state, anche a seguito del provvedimento col quale era già stato formalizzato l’esplicito diniego del Tribunale, oggetto di deduzione dinanzi al Collegio di primo grado da parte del difensore che a quell’udienza ha partecipato in rappresentanza dell’odierno ricorrente.

Sicché l’asserito vizio – ricondotto in tesi dal ricorrente ad una lesione del diritto di intervento di cui all’art. 178, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. e da lui stesso espressamente configurato quale nullità a regime intermedio – risulterebbe sanato, ai sensi dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., perché non dedotto prima del compimento dell’atto da parte di chi vi assista (vedi, Sez. 6, n. 48773 del 06/12/2012, C., Rv. 254159, relativa a procedimento di riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva, in fattispecie in cui è stato dichiarato inammissibile il ricorso con cui il difensore aveva eccepito per la prima volta in cassazione la nullità del provvedimento, non prospettata in sede di riesame neppure nel corso della discussione).

Ciò che rende tra l’altro non rilevante nel caso di specie la questione di legittimità costituzionale genericamente sollecitata dalla difesa.Né risulta in fatto contestato dal ricorrente che la sua istanza, come esattamente rilevato dalla Corte di appello, ha avuto ad oggetto la partecipazione all’udienza del 19/12/2016 mediante video-conferenza e non già la richiesta di essere sentito personalmente dal Magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione ovvero, ove lo strumento tecnico idoneo fosse stato disponibile, mediante collegamento audio-visivo.

Del tutto corretta deve pertanto ritenersi la notazione della Corte territoriale secondo cui, al tempo dei fatti, nel procedimento di prevenzione non era riconosciuto all’interessato il diritto ad intervenire all’udienza, ma soltanto il diritto ad essere sentito qualora ne avesse fatto richiesta.

Conseguendone che, in mancanza di una siffatta, specifica richiesta, ritualmente è stato celebrato il giudizio di prevenzione in assenza del proposto (vedi, Sez. 6, n. 803 del 02/03/1999, Morabito, Rv. 214778; Sez. 1, n. 46808 del 06/11/2012, Meocci, Rv. 253884).

3. È inammissibile, perché aspecifico, il motivo col quale è stata dedotta violazione del diritto di difesa per avere il Tribunale omesso di dare avviso alle parti di un documento – la relazione redatta dell’Ing. Tommaso Morici relativa alla valutazione di idoneità tecnica e sismica di un fabbricato abusivamente realizzato dal ricorrente – acquisito nell’ambito del procedimento di amministrazione delle cose sequestrate.

A tal proposito il ricorso non si confronta, se non in maniera del tutto generica e apodittica – con riferimento alla valutazione di redditi rivenienti dall’immobile abusivamente realizzato che in realtà emergono anche da consulenze tecniche depositate nell’interesse del ricorrente – con la puntuale motivazione del decreto impugnato, la quale ha escluso che di quell’elaborato il Tribunale abbia fatto uso, avendo il decreto di primo grado fatto riferimento al contenuto dell’informativa n. 1/16 dell’Amministratore giudiziario solo per quanto attiene alla Determinazione Dirigenziale n. 41470/2013 della Polizia di Roma Capitale, allegata in copia all’informativa, relativa alla demolizione d’ufficio dell’immobile abusivamente realizzato dal proposto in via Benestare n. 70, costituito da 14 appartamenti e acquisito gratuitamente al patrimonio del Comune insieme all’area di sedime, con conseguente immissione, debitamente trascritta nei registri immobiliari, di Roma Capitale nel possesso delle aree e sovrastanti manufatti.

Di più, il provvedimento impugnato sottolinea espressamente, e correttamente, che la citata Determinazione Dirigenziale, sola ad essere stata utilizzata dal Tribunale e dalla quale emerge chiaramente l’avvenuto accertamento del carattere abusivo della costruzione, era stata ritualmente notificata al proposto ed era quindi a lui ben nota, sicché lo stesso atto di appello doveva ritenersi generico, poiché non chiariva l’effettivo nocumento che alla difesa era derivato dal fatto che la consulenza Morici non fosse stata resa estensibile al proposto nel corso del procedimento di primo grado.

4. Non consentito deve altresì ritenersi il motivo proposto in relazione alla ritenuta attualità della pericolosità sociale del ricorrente.

Lungi dall’avere applicato la misura personale, come assunto dal ricorrente, senza alcuna valutazione della pericolosità del proposto, la Corte territoriale (pp. 21-25 del decreto impugnato), con valutazione conforme a quella del giudice di primo grado, ha congruamente giustificato l’attuale pericolosità del Casamonica con precipuo riferimento ai suoi numerosi precedenti penali, analizzati quali condotte delittuose corrispondenti al tipo criminologico della norma applicata (art. 1, comma 1, lett. b, d. Igs. 159/2011; vedi anche pp. 30-33) e ha individuato il momento in cui le stesse hanno raggiunto consistenza e abitualità, ancora attuali, tali da consentire l’applicazione della misura di prevenzione personale, apprezzandone puntualmente la valenza e l’attitudine a porsi come momento iniziale di una sequenza aperta di crescente gravità e significanza (Sez. 1, n. 43826 del 19/04/2018, R., Rv. 273976).

A tale riguardo, il ricorso non si confronta con l’intero apparato argomentativo del decreto impugnato, che valorizza il valore sintomatico di delitti commessi dal ricorrente abitualmente, ossia in un arco temporale significativo che si estende almeno dal 1995 al 2010, anno al quale risalgono le gravi condotte di violenza privata e rapina in danno di Dehnavi (e quelle in danno di D’Ilario, peraltro non oggetto di accertamento giudiziale) per le quali alla data di adozione del provvedimento impugnato si trovava detenuto in espiazione pena, e che comprende altresì plurimi reati (tra i quali fatti di truffa, dichiarati prescritti con accertamento di penale responsabilità; pp. 30-32) che hanno effettivamente generato profitti in capo al proposto e costituito per lui una rilevante fonte di reddito, con conseguente accumulazione di ulteriori capitali di derivazione illecita (p. 30; Sez. 6, n. 21513 del 09/04/2019, Coluccia, Rv. 275737; Sez. 2, n. 27263 del 16/04/2019, Germanò, Rv. 275827).

Sicché inconferenti rispetto all’effettivo apparato argomentativo del decreto impugnato devono ritenersi le ulteriori argomentazioni sviluppate nella memoria difensiva depositata il 7/6/2019.

Il provvedimento impugnato ha inoltre preso espressamente in considerazione gli argomenti difensivi proposti in relazione alla valenza dell’ammissione del proposto al lavoro esterno da parte dell’autorità penitenziaria di Perugia, valutata in modo tutt’altro che illogico non idonea ad elidere una pericolosità particolarmente consolidata (p. 22), anche in considerazione della natura e della concreta portata del provvedimento, e al rinvio a giudizio del Casamonica disposto nel 2018 dal G.i.p. del Tribunale di Roma in procedimento penale nel quale risultano imputati anche alcuni affiliati al clan camorristico Pagnozzi, in un contesto caratterizzato dall’emersione di ulteriori gravi condotte predatorie e prevaricatrici e dalla inutilità dei pregressi periodi di detenzione a fini di emenda (p. 25).

Pertanto, essendo nel procedimento di prevenzione esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n.1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente, va ribadito nel caso di specie che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, sono stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultano assorbiti dalle sopra riferite argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).

Per completezza, va altresì aggiunto che la Corte territoriale ha congruamente giustificato la non pertinenza al caso di specie dei principi ricavabili dalla sentenza della Corte EDU De Tommaso c. Italia (Grande Camera, 23.2.2017), dovendosi ritenere manifestamente infondata la questione di costituzionalità sollecitata nel giudizio di appello con memoria in data 18/12/2018.

Il Collegio osserva a tale riguardo che in tema di misure di prevenzione, la sentenza della Corte costituzionale n. 24 del 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della fattispecie di pericolosità generica prevista dall’art. 1, co. 1, lett. a), d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, assume, in rapporto alla fattispecie di cui all’art. 1, lett. b), del citato d.lgs., pertinente al presente procedimento e che ha superato indenne il vaglio della Corte, la valenza di sentenza interpretativa di rigetto (Sez. 1, n. 27696 del 01/04/2019, Immobiliare Peonia S.r.l., Rv. 275888), l’iscrizione del proposto in una categoria criminologica tipizzata potendo aver luogo sulla base, non già di meri sospetti, bensì esclusivamente di un giudizio di fatto che ricostruisca le condotte materiali del medesimo, onde successivamente valutarle ai fini della verifica della sua pericolosità sociale, con la conseguenza che la legge interna non incorre in alcun difetto di chiarezza, determinatezza, precisione e prevedibilità degli esiti applicativi, integrante un vizio di qualità avente rilievo convenzionale (Sez. 1, n. 349 del 15/06/2017, Bosco, Rv. 271996; Sez. 2, n. 9517 del 07/02/2018, Baricevic, Rv. 272521).

Deve altresì ritenersi manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, lett. a) e b), 4, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, per contrasto con l’art. 117 Cost. in relazione all’art. 2, Prot. 4 CEDU, come interpretato dalla Grande Camera della Corte Edu con la sentenza del 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, poiché, sulla base degli attuali canoni interpretativi della disciplina vigente, il giudizio di pericolosità generica non si fonda su meri sospetti, ma sulla verifica, obiettivamente riscontrabile, e nel caso di specie effettivamente riscontrata, della consumazione abituale, o, comunque, non episodica, di condotte criminose qualificabili come delitti, fonte di illeciti arricchimenti, nonché, per la sola ipotesi di cui alla lett. b) dell’art. 1, della successiva destinazione di tali proventi al mantenimento del proposto (Sez. 6, n. 2385 del 11/10/2017, Pomilio e altri, Rv. 272230; Sez. 6, n. 28825 del 21/09/2017, Scuto e altri, Rv. 273665).

È del resto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, lett. c), e 16, comma 1, d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, per violazione dell’art. 117 Cost., in relazione all’art. 2 Prot. 4 CEDU, e dell’art. 42 Cost., in quanto, anche ai fini dell’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale, il giudizio di pericolosità sociale deve essere ancorato, come effettivamente avvenuto nel caso di specie, a dati e fatti oggettivi, desumibili dal concreto agire del soggetto destinatario della misura di prevenzione (Sez. 5, n. 54567 del 17/10/2018, Pellegrino, Rv. 274397).

5. È inammissibile, perché generica e non rientrante tra i motivi consentiti, la deduzione che assume il vizio di violazione di legge per motivazione mancante o apparente in ordine ai presupposti applicativi della disposta confisca.

Il Collegio osserva che pur essendo il principio del “ne bis in idem” applicabile anche nel procedimento di prevenzione, la preclusione del giudicato opera “rebus sic stantibus” e, pertanto, non impedisce la rivalutazione della pericolosità ai fini dell’applicazione di una misura precedentemente rigettata, a condizione che si acquisiscano nuovi elementi di fatto, che possono consistere sia in dati di conoscenza nuovi e sopravvenuti che in risultanze preesistenti al giudicato, ma mai apprezzate nei provvedimenti già emessi (Sez. U, n. 600 del 29/10/2009, Galdieri, Rv. 245176; Sez. 1, n. 47233 del 15/07/2016, Di Gioia, Rv. 268175), ovvero anche in modifiche normative (Sez. 6, n. 53941 del 03/10/2018, Sabatelli, Rv. 274585, in fattispecie in cui è stato ritenuto che il fatto nuovo fosse costituito dalle modifiche normative che consentono l’applicazione autonoma e disgiunta della confisca).

Orbene, il provvedimento impugnato valorizza ai fini del riconoscimento della pericolosità del ricorrente provvedimenti giudiziali – quali la sentenza del Tribunale di Roma in data 29/5/2006 e quella dello stesso Tribunale in composizione monocratica del 15/12/2004, che hanno dichiarato l’intervenuta prescrizione di reati di truffa ascritti al ricorrente con contestuale accertamento della sussistenza dei fatti – certamente non considerati dal tribunale di prevenzione del 2003 perché successivi all’istruttoria del relativo procedimento e alla sua conclusione.

Inoltre, pur essendo successivo all’accumulo patrimoniale avvenuto nel 2004, il fatto nuovo, anch’esso valutato dalla Corte territoriale nel giudizio di pericolosità del Casamonica, rappresentato dalla sua sopravvenuta condanna per i gravi fatti prevaricatori posti in essere in danno del Denhavi, consente e giustifica anch’esso un rinnovato apprezzamento di condotte delittuose precedenti e di analoga natura, che viene ad essere prospetticamente fondato su un novum idoneo a illuminarle.

Infine, il Collegio rileva che i provvedimenti di merito hanno proceduto al puntuale accertamento della provenienza illecita dei beni sottoposti a confisca, operato mediante una valutazione globale dei movimenti del patrimonio del proposto nel lungo periodo cui si riferisce la sua accertata pericolosità sociale.

In particolare, il decreto in esame ha preso espressamente in considerazione gli argomenti difensivi proposti in ordine alla liceità di redditi esposti nelle consulenze tecniche di parte a firma del dott. Carlascio e della dott.ssa Massone, con specifico riferimento all’attività professionale di suonatore di fisarmonica svolta dal proposto, alle ripetute vincite al gioco da lui conseguite e ai canoni di locazione da lui riscossi quale proprietario dei 14 appartamenti di cui si compone l’immobile confiscato di Via Benestare 70.

La svalutazione operata dalla Corte territoriale in ordine alle citate allegazioni difensive deve in vero ritenersi assistita da argomentazioni che si sottraggono alle formulate censure di mancanza o apparenza di motivazione.

Quanto all’attività professionale di suonatore di fisarmonica, la Corte territoriale, con motivazione tutt’altro che illogica, esclude la sussistenza di elementi che attestino la produzione di documentati, ancorché non dichiarati, guadagni, senza che il richiamo fatto in ricorso ad un CD musicale contenente i brani composti e suonati dal Casamonica abbia al riguardo alcuna contraria valenza dimostrativa.

Quanto alle vincite attestate con documentazione rilasciata dai Monopoli di Stato, la plausibile critica svolta in ricorso si rivela purtuttavia parziale, poiché non supera il rilievo della Corte territoriale secondo cui le allegate, numerosissime vincite non possono considerarsi integralmente costitutive di reddito, posto che ad esse corrisponde, secondo l’idquod plerumque accidit, anche un numero ignoto di scommesse non vincenti.

Va peraltro rilevato che l’interessato non può dimostrare la proporzione tra redditi disponibili e valore degli acquisti e/o degli investimenti attraverso la mera indicazione e produzione degli attestati di riscossione di somme vinte al gioco che, in quanto rilasciati sulla base di presentazione di ricevute non nominative, certificano la sola percezione della somma, ma non il giocatore vincente, che potrebbe averle cedute, anche dietro corresponsione di danaro, a chiunque avesse necessità di far apparire la liceità di una provvista (Sez. 2, n. 35646 del 12/07/2018, Lo Russo e altro, Rv. 273467).

Infine, immune da rilievi di illogicità deve ritenersi l’argomentazione della Corte territoriale che valorizza non solo l’accertato carattere abusivo dell’immobile di Via Benestare 70, quanto il fatto che esso costituisca, in assenza di redditi leciti destinati alla sua realizzazione, null’altro che il reimpiego di redditi illeciti. Immune da vizi logici e giuridici appare altresì l’ulteriore considerazione della Corte territoriale secondo cui la realizzazione dell’immobile in questione ha consentito (anche attraverso le reiterate violazioni dei sigilli poste in essere dal ricorrente – oggetto di ripetute condanne – per vanificare l’intervenuto sequestro del relativo cantiere) l’ulteriore reimpiego del bene a fini locativi, sì che i relativi canoni, percepiti ovviamente solo in data successiva alla realizzazione dell’immobile e a seguito della sua intervenuta restituzione al proposto (2004), non possono essi stessi considerarsi redditi leciti del Casamonica ai fini propri del giudizio di proporzione (pp. 33- 34).

Di tal che, anche per questi profili, deve escludersi che sia ravvisabile nel provvedimento impugnato una motivazione inesistente o meramente apparente, mentre va ribadita l’inammissibilità della deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, sono stati nel caso di specie congruamente presi in considerazione dal giudice (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).

6. All’inammissibilità del ricorso conseguono le pronunce di cui all’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso il giorno 14 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il giorno 22 ottobre 2019.

Corte di Cassazione – Sezione VI Penale