REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da:
Dott. PAOLA BORRELLI – Presidente –
Dott. LUCIANO CAVALLONE – Consigliere –
Dott. PIERANGELO CIRILLO – Consigliere –
Dott. DANIELA BIFULCO – Consigliere –
Dott. ROSARIA GIORDANO – Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) nata a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 02/05/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa ROSARIA GIORDANO;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, Dott. GASPARE STURZO, il quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Napoli ha confermato la condanna della ricorrente per il delitto di cui all’art. 624-bis cod. pen., perché, introducendosi nello studio professionale della persona offesa, si impossava di tre agende, in una delle quali erano custoditi due assegni protestati dell’importo di euro 6.000,00 nonché un computer portatile e la base di un altro computer.
2. Avverso la richiamata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, affidandosi, con il difensore di fiducia, avv. (OMISSIS) (OMISSIS), a quattro motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi entro i limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 131-bis e 133 cod. pen. nonché vizio di motivazione in quanto la decisione impugnata, nel denegare l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., non avrebbe vagliato una serie di aspetti che avrebbero dovuto far ritenere la condotta e l’offesa arrecata di scarsa gravità.
In particolare, lamenta che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che non aveva commesso effrazione per entrare nello studio della persona offesa, aveva preso assegni protestati, che aveva poi resituito spontaneamente insieme all’agenda, e che il valore del computer portatile ipotizzato dalla decisione non era stato riferito nella querela. Né peraltro elemento ostativo all’applicazione della causa di non punibilità contemplata dall’art. 131-bis cod. pen. avrebbe potuto essere costituito dai suoi precedenti penali, perché molto risalenti nel tempo.
2.2. Mediante il secondo motivo l’imputata censura la pronuncia impugnata laddove non ha riqualificato – traendone le relative conseguenze, po, sulla procedibilità del delitto, stante la remissione della querela da parte della persona offesa – la fattispecie da quella di furto in abitazione a furto semplice inquanto non solo era la fidanzata di un assistito della persona offesa ma faceva le pulizie dello studio professionale, del quale aveva le chiavi e, pertanto, aveva la possibilità di accedervi in ogni momento.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta che, considerato che i suoi precedenti erano datati ed era stata restituita la refurtiva, le circostanze attenuanti generiche avrebbero dovuto esserle concesse in regime di prevalenza rispetto alle contestate aggravanti.
2.4. L'(OMISSIS), mediante il quarto motivo, chiede che il trattamento sanzionatorio venga rideterminato nel minimo della pena edittale, vendo riguardo alle modalità “rudimentali” della condotta, al modico valore dei beni non restituiti e alla piena collaborazione con gli operanti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è inammissibile.
Le Sezioni Unite, con la fondamentale sentenza “Tushaj”, hanno cliarito che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità, pievista dall’art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Nel rispetto di tali superiori principi, la sentenza impugnata ha congruamente argomentato sulle ragioni che non consentivano nella fattispecie in esame di ritenere il fatto di particolare tenuità, ponendo in rilievo, a riguardo, che il valore complessivo dei beni sottratti non poteva considerarsi irrisorio, tenendo peraltro conto che il computer in uso ad uno studio legale ha anche un ulteriore valore patrimoniale costituito dal complesso delle informazioni e dati professionali in esso custoditi. Inoltre, è stata valorizzata la presenza di precedenti specifici e la volontaria sottrazione della (OMISSIS) al trattanento previsto nell’ambito della messa alla prova cui pure era stata ammessa.
2. Il secondo motivo non è fondato.
La questione giuridica che sottende tale censura può essere sintetizzala nei seguenti termini: se possa ritenersi configurabile il delitto di furto in abitaziene in luogo del furto semplice quando il fatto sia commesso da un soggetto che abbia le chiavi dell’immobile o, comunque, la possibilità di accedervi per ragioni di lavoro.
2.1. Su un piano generale, occorre rammentare che il reato di furto in abitazione di cui all’art. 624-bis cod. pen. è stato introdotto nell’ordinari ento dall’art. 2 della legge 26 marzo 2001, n. 128, che ha contestualmente abrogato le circostanze aggravanti, di analogo contenuto, precedentemente previste dall’art. 625 comma 1 n. 1) e n. 4) cod. pen. (quest’ultima relativa al furto c.d. con strappo). Come hanno chiarito le Sezioni Unite della Corte di cassazione, è stata così creata una nuova fattispecie autonoma di reato, costruita mediante inclisione delle condotte prima previste come semplici aggravanti del furto (Se:. U, n. 46625 del 29/10/2015, Zucconi, Rv. 265025, in motivazione).
2.2. A riguardo, è opportuno ricordare come questa Corte abbia ripetutamente chiarito che, ai fini della configurabilità del reato di furto in abitazione, è necessario che sussista un nesso finalistico – e non un mero collegamento occasionale – fra l’ingresso nell’abitazione e l’impossessamento della cosa mobile, in quanto il testo dell’art. 624-bis cod. pen., come novellato dall’art. 2, secondo comma, della legge 26 marzo 2001, n. 128, ha ampliato l’area della punibilità in riferimento ai luoghi di commissione del reato, ma non ha innovato il profilo della strumentalità dell’introduzione nell’edificio, quale mezzo al fine di commettere il reato, già richiesto dal previgente art. 625, comma primo, n. 1, cod. pen. (Sez. 5, n. 19982 del 01/04/2019, Filipps!I i, Rv. 275637; Sez. 5, n. 21293 del 01/04/2014, Licordari, Rv. 260225; Sez. 5, n. 14868 del 15/12/2009, Franquillo, Rv. 246886).
Vi è dunque che, per la configurabilità del reato di furto in abitazicne, è necessario che sussista, tra l’introduzione nell’abitazione e l’impossessamento della cosa mobile, un nesso finalistico e non meramente occasionale o integrato dallo sfruttamento di un’occasione propizia (Sez. 4, n. 3716 del 11/0:72023, Rombaldoni, Rv. 284090; Sez. 5, n. 21293 del 01/04/2014, Licordairi, Rv. 260226), come, ad esempio, la circostanza di essere entrato nell’immobila come ospite del proprietario (Sez. 4, n. 3450 del 20/12/2018, dep. 2019, Badianii, Rv. 275115).
Più in particolare, si è sottolineato, a questo riguardo, che la mera occasionalità della presenza all’interno del luogo di privata dimora o nelle sue pertinenze, è insufficiente a configurare la fattispecie contestata, sia in relazione all’abrogato art. 625 co. 1, cod. pen., sia – mutatis mutandis – a quella successivamente introdotta dell’art. 624 bis, cod. pen., poiché la dizione «…mediante introduzione in un edificio o in un altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa», contenuta nel testo attuale, esprime in maniera chiara il rapporto di strumentalità dell’introcuzione nell’edificio rispetto all’azione predatoria posta in essere, essendo un mezzo per commettere il reato, non diversamente da quanto era precedentemente espresso nel testo abrogato con le parole «…per commettere il fatto, si introduce o si intrattiene in un edificio .. » (Sez. 4, n. 3716 del 11/01/2023, Rombaldoni, cit., in motivazione).
Al contrario, si realizza furto in abitazione quando l’introduidone nell’abitazione del soggetto passivo avvenga a seguito di conservarsi di quest’ultimo carpito con l’inganno (Sez. 5, n. 16995 del 21/11/2019, dep. Pompei, Rv. 279110 – 01; Sez. 5, n. 13582 del 02/03/2010, Torre, Rv. 246, – 02), poiché la fattispecie incriminatrice dettata dall’art. 624-bis cod. pen. richiama la sottostante condotta di violazione di domicilio, sanzionata dall’art. 614, cod. pen., norma che riguarda comportamenti di introduzione nell’altrui dimora, realizzati “con inganno” o “contro la volontà espressa o tacita di chi ha diritto di escluderlo” ovvero quando l’accesso avvenga abusando di una prececente relazione domestica che lo consentiva (Sez. 2, n. 2853 del 18/11/1983, dep. 1984, Perego, Rv. 163373).
Quanto, in particolare, al rilievo dell’eventuale consenso del titolare dell’ius excludendi alios rispetto all’ingresso dell’autore del fatto nel luogo di privata dimora, esso, per consentire di escludere che chi vi si introduca commelta il reato di cui all’art. 624-bis cod. pen., deve essere pieno ed incondizionato e non già finalizzato all’espletamento di specifiche attività. D’altro canto, riguarda la condotta dal punto di vista dell’autore del fatto, l’ingresso nel sito da parte del soggetto titolare dell’autorizzazione deve avvenire al solo scopo di rendere possibile l’espletamento dell’attività per cui l’autorizzazione è stata concessa e non abusando di quest’ultima.
Ed è quest’ultimo, cruciale aspetto, che viene in rilievo nella fattispecie in esame poiché la consegna delle chiavi dell’immobile ad un soggetto al solo scopo di consentire l’effettuazione delle pulizie, come avvenuto nel caso in esame, non postula, con evidenza, la volontà del proprietario (o di colui il quale abbia ad altro titolo la legittima disponibilità dell’abitazione di consentirvi un libero accesso, condividendo la propria sfera domestica.
In altri termini, il consi !riso all’accesso nel sito manifestato dal proprietario mediante l’affidamento chiavi per consentire la pulizia dell’immobile non è incondizionato, esscrido circoscritto a permettere l’ingresso nell’immobile al solo scopo di effeltiare l’attività per cui l’affidamento è avvenuto, venendo meno tale consenso e riespandendosi lo ius excludendi alios in capo al titolare dello spazio fisico laddove l’accesso si realizzi per altri scopi e, a fortiori, quando tali scopi siano quelli di attentare alla sfera domestica e di compiervi attività predatorie.
2.2. Tanto premesso deve dunque essere affermato il principio di diritto in forza del quale integra delitto di furto in abitazione quello commesso dal soggetto che abbia le chiavi dell’immobile per ragioni di lavoro quando sl sia recato nello stesso non già al fine di espletare l’attività per cui l’accesso era stato consentito mediante l’affidamento delle chiavi, ma al fine di commettere un furto.
2.3. Alla luce dell’enunciato principio il motivo si presenta non foncato perché nella fattispecie concreta dalla ricostruzione in fatto operata dai giudici di merito è emerso che la ricorrente si è recata presso lo studio non per lavorare bensì allo specifico fine di commettere il furto, in un orario peraltro diverso da quello di lavoro e forzando i limiti per i quali l’autorizzazione all’accesso era stata concessa.
3. Il terzo motivo è inammissibile, considerato che la decisione impugnata ha congruamente disatteso il motivo di gravame con il quale l’imputata aveva chiesto che le circostanze attenuanti generiche le fossero concesse in regime di prevalenza, ponendo in evidenza l’inclinazione a delinquere della stessa, per come ritraibile dai precedenti specifici a carico.
4. Il quarto motivo sul trattamento sanzionatorio è parimenti inammisibile poiché la Corte territoriale ha adeguatamente argomentato che la pena non poteva essere contenuta nei limiti edittali, stante la proclività a delinquere della ricorrente, desumibile anche dalla maggiore gravità dei fatti di reato precedentemente commessi.
5. Pertanto il ricorso deve essere complessivamente rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2025.
Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2025.