Con due interventi sanitari il risarcimento va chiesto solo per l’operazione andata male (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 13 settembre 2024, n. 24656).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

GIACOMO TRAVAGLINO           Presidente

ENRICO SCODITTI                      Consigliere

LINA RUBINO                             Consigliere

CHIARA GRAZIOSI                      Consigliere

GIUSEPPE CRICENTI                  Consigliere – Rel.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25164/2021 R.G. proposto da:

(omissis) (omissis) elettivamente domiciliata in ROMA (omissis) presso lo studio dell’avvocato (omissis)  (omissis) che lo rappresenta e difende

-ricorrente-

contro

AZIENDA USL TOSCANA SUD EST, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis)

-controricorrente-

nonché contro

AZIENDA U.S.L. TOSCANA SUD-EST

-intimato-

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 482/2021 depositata il 25/02/2021.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/06/2024 dal Consigliere dott. GIUSEPPE CRICENTI.

Fatti di causa

1. (omissis) (omissis) é stata ricoverata presso l’ospedale di (omissis) dall’11 novembre 2010 al 23 novembre 2010 e sottoposta ad intervento chirurgico di protesi totale all’anca destra.

Successivamente, il 13/12/2010 la (omissis) si é presentata al pronto soccorso del medesimo ospedale di (omissis) lamentando di aver contratto una infezione, manifestata da lieve febbre, a causa del precedente intervento chirurgico.

In questa seconda occasione sono stati effettuati esami volti ad individuare le cause della infezione, ed é stata medicata la ferita: la paziente é rimasta ricoverata fino al 29 dicembre 2010, con prescrizione di terapia antibiotica.

Successivamente, poiché l’infezione non passava, la (omissis) (omissis) é stata ricoverata presso il reparto di ortopedia dell’ospedale di (omissis) dove sono state praticate ulteriori cure al fine di ridurre l’infezione.

1.2.- A causa di tali vicende, (omissis) (omissis) ha citato in giudizio la azienda Usl Toscana sud-est, entro cui gravita l’ospedale di (omissis) assumendo responsabilità dei sanitari di quella struttura durante il primo ricovero, quello di novembre 2010, cioè il ricovero durante il quale é stato effettuato l’intervento chirurgico ed é stata, a dire della ricorrente, contratta l’infezione.

II tribunale di Grosseto ha disposto consulenza tecnica, secondo i cui esiti non vi sarebbe stata alcuna responsabilità dei sanitari quanto al primo ricovero, quello di novembre 2010, durante il quale é stato effettuato l’intervento, quanto piuttosto ve ne sarebbe stata durante il secondo ricovero, quello del dicembre 2010, in cui si é tentato di trattare la ferita e di ridurre l’infezione.

Preso atto di tale valutazione tecnica, il tribunale ha dunque condannato l’azienda sanitaria a risarcire i danni alla paziente.

1.3.- La Corte di appello di Firenze, adita dalla azienda sanitaria, ha invece riformato la decisione, in quanto ha ritenuto che la responsabilità della struttura sanitaria é stata affermata in relazione a fatti diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo: la responsabilità della struttura era stata cioè prospettata dalla ricorrente in relazione al primo ricovero, quello di novembre 2010, rispetto al quale il c.t.u. aveva escluso colpa dei sanitari, mentre é stata affermata dal giudice di primo grado in relazione al secondo ricovero, quello del dicembre 2010, in relazione al quale però non vi era domanda.

Ragioni della decisione

2.- Con il primo motivo la ricorrente prospetta una violazione dell’articolo 1362 del codice civile.

La tesi e la seguente.

I giudici d’appello hanno ritenuto errata la decisione di primo grado in quanto emessa extra petita: l’attrice, infatti, aveva ravvisato responsabilità dei sanitari in relazione al primo ricovero, mentre tale responsabilità é stata affermata in relazione al secondo ricovero.

A parere dei giudici d’appello, dunque, il tribunale, ritenendo la struttura responsabile per un fatto diverso da quello prospettato dalla danneggiata, avrebbe deciso oltre la domanda di quest’ultima.

Secondo la ricorrente questo assunto é errato in quanto la domanda andava interpretata complessivamente, e, se interpretata complessivamente, era da intendersi nel senso che essa comprendeva tutta l’attività compiuta dall’ospedale di (omissis) era cioè riferibile ad entrambi i ricoveri effettuati presso quest’ultima struttura: ciò si poteva ricavare dalle conclusioni assunte, le quali, genericamente, prospettavano responsabilità della azienda senza distinguere tra il primo ed il secondo ricovero.

3.- Con il secondo motivo si prospetta una violazione dell’articolo 194 cpc.

La censura é uno svolgimento della precedente.

Infatti, la carte d’appello, nel ritenere che ii giudice e andato extra petita, ha evidenziato che la stessa consulenza tecnica ha esorbitato dai poteri del consulente in quanta si e spinta a valutare la correttezza dell’operato del secondo ricovero, anche se quest’ultimo non era messo in discussione dalla stessa attrice.

Sostiene la ricorrente che, trattandosi di consulenza tecnica percipiente, é nel potere del consulente non solo di valutare ma anche di accertare i fatti.

Inoltre, secondo la ricorrente non può costituire domanda nuova quella che in realtà é una semplice modifica della domanda, consistendo nella semplice specificazione dei fatti piuttosto che nell’aggiunta dei fatti nuovi o nel mutamento di essi.

Questi due motivi pongono una questione comune e possono dunque essere oggetto di esame unitario.

Essi sono infondati.

Come chiaramente emerge dall’atto di citazione, riportato peraltro, per quanto riguarda gli aspetti qui significativi, dalla controricorrente, l’attrice si era limitata a far valere la responsabilità della struttura sanitaria in relazione soltanto al primo ricovero, avvenuto a novembre del 2010.

Risulta pure dall’atto di citazione che non é mai stata fatta valere responsabilità della struttura sanitaria in relazione al secondo intervento, avvenuto a dicembre del 2010.

Questa circostanza non é in realtà neanche contestata dalla ricorrente, la quale del resto, sin dall’appello, si é difesa sostenendo che la domanda di responsabilità per il secondo ricovero doveva ritenersi implicita nella domanda originaria: dunque non era esplicita, ma poteva ricavarsi per via interpretativa.

Ciò per dire che non rileva dunque la regola giurisprudenziale sui limiti entro i quali e ammesso ii mutamento della domanda: regola che presuppone per l’appunto che la domanda iniziale venga, nei termini consentiti, modificata successivamente.

Dunque, la questione posta con questi due motivi e quella di una corretta interpretazione della domanda introduttiva, al fine di far ricomprendere in essa anche la responsabilità per ii secondo ricovero: questione qui prospetta bile, poiché si tende a far valere un errore del giudice di merito quanto alla individuazione del petitum e dunque quanto alla corrispondenza tra chiesto e pronunciato (Cass. 30770/2023; Cass. 11103/ 2020)

Ma questa prospettazione non é fondata.

E tale assunto deriva dalla nozione di fatto che va tenuta in conto ai fini della identificazione della domanda: se é vero che il fatto non cambia quando é semplicemente specificato, ciò accade perché la specificazione é pur sempre riferita a quella che viene detta “l’essenzialità materiale” del fatto storico (Cass. 10910/ 2024, caso nel quale l’attore aveva prima assunto responsabilità per l’intervento e poi ha modificato la domanda intendendo invece far valere responsabilità per ii trattamento post-operatorio).

Allo stesso modo, si può ritenere, e di conseguenza, che un fatto storico sia implicito in un altro ove ne costituisca specificazione o svolgimento, all’interno della medesima dimensione spaziale e temporale.

Ma qui v’e di più.

Qui la struttura sanitaria ha compiuto due distinti interventi: il primo a novembre 2010, quando é stato effettuato l’intervento chirurgico; il secondo a dicembre quando invece il ricovero era finalizzato a rimediare alla infezione.

Evidentemente il secondo intervento non può ritenersi implicito nel primo: la domanda relativa a quest’ultimo fatto non può ritenersi implicitamente compresa in quella relativa al primo.

Ciò per diverse ragioni.

La prima é che il fatto rilevante per il diritto lo si identifica in base a criteri giuridici e non meramente storici: la prestazione, se si vuole la condotta, é identificata dal titolo.

Qui c’è un primo contratto con la struttura, in base aI quale quest’ultima si impegna ad effettuare la prestazione chirurgica: ovviamente, tutto ciò che é relativo strumentale, accessorio a quella prestazione, rientra nel medesimo “fatto”, ossia fonda il contenuto della obbligazione assunta, e di conseguenza l’inadempimento di prestazioni accessorie non costituisce “fatto” diverso dall’inadempimento delle prestazioni principali: se il paziente si duole della cattiva esecuzione dell’intervento, tale domanda può essere intesa come riferita ad ogni prestazione inerente l’intervento (quello che la citata giurisprudenza chiama “essenzialità materiale” del fatto).

In tal senso, se l’attore lamenta responsabilità per inadempimento della obbligazione assunta di effettuare un intervento chirurgico, questa domanda é implicitamente estesa a tutto ciò che in quell’intervento, ossia nella prestazione assunta, e ricompreso: il trattamento post-operatorio, quello preparatorio, gli esami strumentali ecc. ossia: il  “fatto” é identificato in base al titolo. La struttura si impegna contrattualmente ad effettuare un intervento chirurgico che implica la necessità di condotte strumentaIi, le quali ovviamente rientrano nella prestazione  assunta.

Se di conseguenza il paziente stipula con la struttura un contratto diverso, ed ulteriore, cambia altresì il fatto, ossia cambia l’insieme delie prestazioni cui la struttura si obbliga.

Agire in base al primo contratto non e la stessa cosa che agire in base al secondo; far valere l’inadempimento del primo contratto, non é far valere l’inadempimento del secondo: quest’ultimo non é implicito nel primo.

Nella  fattispecie, v’é stato un primo contratto, con il quale la struttura si é obbligata all’intervento chirurgico (ed ovviamente alle prestazioni connesse). Ed é dell’inadempimento di tale contratto che la ricorrente si é lamentata.

Vi é poi stato un secondo contratto, ad un mese di distanza, con il quale la struttura ha assunto l’obbligazione di rimediare alla infezione, o di trattare una infezione in corso: dunque un diverso contratto avente ad oggetto prestazioni diverse.

In altri termini, non può aversi identità di domande, ne può dirsi che l’una é implicita nell’altra, se esse fanno valere due inadempimenti diversi, in quanto relativi a prestazioni oggetto di diversi contratti.

Ne si postula un collegamento tra i due contratti, che forse avrebbe potuto giustificare l’estensione al secondo delle questioni relative al primo: collegamento, comunque sia, neanche ravvisabile, essendo il secondo contratto stipulato dopo l’estinzione del primo.

Inoltre, e come conseguenza di quanto si é detto, per il convenuto, difendersi dall’accusa di essere inadempiente al primo contratto non é come difendersi dall’accusa di inadempimento del secondo: il che rende ulteriormente conto della diversità delle domande.

4.- Con il terzo motivo si prospetta violazione dell’articolo 157 c.p.c.

Si assume che, anche ove la CTU fosse stata nulla per avere il consulente esteso l’indagine a fatti non dedotti nella domanda introduttiva, tale nullità avrebbe dovuto essere tempestivamente eccepita e non lo é stato.

II motivo é inammissibile.

La ratio decidendi é un’altra: e nel senso che la sentenza é nulla per essere andata extrapetita, a prescindere dalla CTU (p. 8), ossia per avere deciso su una domanda non posta dalle parti, e dunque, ove anche la CTU fosse stata utilizzabile e valida, il Tribunale avrebbe dovuto disattenderla, secondo i giudici di merito, nella parte in cui il consulente stesso ha esorbitato dalla domanda.

5.- II ricorso va rigettato, le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite nella misura di 4000,00 euro, oltre 200 euro per esborsi, oltre spese generali.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, da atto della sussistenza dei presupposti per ii versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, il 17/06/2024.

Il Presidente

GIACOMO TRAVAGUNO

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.