Concorso di reati tra delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e di bancarotta fraudolenta per distrazione (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 2 gennaio 2025, n. 47).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE PENALE

Composta da:

Dott. Sergio Beltrani – Presidente –

Dott. Luigi Agostinacchio – Consigliere –

Dott. Marco Maria Alma – Relatore –

Dott. Mariapaola Borio – Consigliere –

Dott. Lucia Aielli – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso ex art. 325 cod. proc. pen. proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS) (OMISSIS) il giorno xx/x/19xx in qualità di legale rappresentante pro-tempore della società “(OMISSIS) (OMISSIS) S.r.l.” società rappresentata ed assistita dall’avv. (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) – di fiducia

avverso l’ordinanza n. 96/2024 in data 3/5/2024 del Tribunale di Reggio Calabria in funzione di giudice del riesame,

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

preso atto che è stata richiesta la trattazione orale del procedimento; udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Marco Maria Alma;

letta la memoria difensiva con motivi nuovi datata 10/9/2024 a firma dell’avv. (OMISSIS) con la quale si è prodotta una consulenza tecnica con allegati;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Simonetta Ciccarelli, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore, avv. (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso al contenuto del quale si è riportato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 3 maggio 2024, a seguito di giudizio di riesame ex art. 324 cod. proc. pen., il Tribunale di Reggio Calabria ha confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari presso il medesimo Tribunale in data 11 marzo 2024 con la quale era stato disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta per somme di denaro pari ad euro 999.686,03 nei confronti della società “(omissis) (omissis) S.r.l.” e nei confronti di (omissis) (omissis) e della di lui sorella (omissis) (omissis), nonché il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente da eseguire su beni (mobili – registrati e non – e immobili) nella titolarità della stessa società e dei due indagati fino alla concorrenza di euro 999.330,54.

Infine, con la medesima ordinanza il G.i.p. aveva disposto anche il sequestro preventivo, impeditivo e funzionale alla confisca, della società (omissis) (omissis) S.r.l.

Nei confronti dell’odierno ricorrente e della di lui sorella è stata ritenuta la sussistenza del fumus in ordine ai reati di:

– sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte ex artt. 110 cod. pen. e 11, comma 1, secondo periodo, del d.P.R. n. 74/2000 (capo 1 della rubrica delle imputazioni);

– autoriciclaggio ex artt. 110 e 648-ter.1, cod. pen. (capi 2 e 4);

– bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale ex artt. 110 cod. pen., 223 e 216, comma 1, n. 1, R.D. n. 267/1942 (capi 3 e 5): Quanto alla ricorrente società è stato ritenuto l’illecito di cui all’art. 25- octies del D.Ivo n. 231/2001 (capo 6).

Si deve, in via preliminare, dare atto che il presente procedimento era stato in origine chiamato all’udienza del 24 settembre 2024 ma in quella data, avendo ritenuto il Collegio necessario procedere all’acquisizione di copia del citato decreto di sequestro emesso dal Giudice per le indagini preliminari in data 11 marzo 2024, è stato disposto un rinvio all’odierna udienza.

2. Ricorre per cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore dell’ente, deducendo:

2.1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 81 cod. pen. in materia di concorso formale di reati in relazione al rapporto tra il reato contestato al capo 1 (per asserita violazione dell’art. 11, comma 1, secondo periodo, d.P.R. 74/2000) ed il reato contestato al capo 3 per asserita violazione degli artt. 223 e 216, comma 1, n. 1, R.D. n. 267/1942 – violazione ed erronea applicazione dell’art. 15 cod. pen. in relazione al concorso apparente tra i delitti.

Osserva al riguardo la difesa del ricorrente che le condotte inerenti alla violazione del citato art. 11, comma 1, e, comunque la strumentale attività contestata al Gaetano ed alla coindagata, si innestano e vengono assorbite dalla complessità strutturale della previsione normativa disciplinata dagli artt. 216, comma 1, e 223 R.D. n. 267/1942 esistendo un rapporto di specialità unilaterale a favore di queste ultime disposizioni di legge.

2.2. Erronea applicazione dell’art. 81 cod. pen. in relazione ai due distinti reati di cui ai capi 2 e 4 della rubrica nei quali viene contestata agli agenti il reato di cui all’art. 648-ter.1.

Secondo parte ricorrente ai capi 2 e 4 ci si troverebbe in presenza di una illegittima duplicazione di contestazioni in quanto trattasi medesimo delitto di autoriciclaggio seppure sussunto rispettivamente alle condotte di cui ai capi 1 e 3.

La condotta distrattiva sarebbe, infatti, la medesima, tanto è vero che il G.i.p. ha disposto il sequestro delle attività fino alla concorrenza degli importi specificati che fanno riferimento ad un’unica utilità per come accertata. Al riguardo, osserva parte ricorrente, ai fini della dimostrazione dell’unicità del fatto e della condotta che le somme accertate nello stato passivo, richiamato al capo 4, altro non sono che i debiti tributari coincidendo perfettamente con questi.

2.3. Insussistenza del reato di autoriciclaggio ex art. 648-ter.1 cod. pen. sia quale conseguenza del delitto di cui al capo 1 che del delitto di cui al capo 3 della rubrica – violazione di legge.

Osserva parte ricorrente che l’indicata fattispecie delittuosa sarebbe stata erroneamente contestata in quanto non appare possibile configurare il delitto di autoriciclaggio in ragione della supposta antecedenza temporale delle condotte di distrazione rispetto alla pronuncia della sentenza di fallimento.

La consumazione delle condotte di autoriciclaggio sarebbe possibile anche in relazione alle attività distrattive antecedenti alla declaratoria di fallimento solo nei casi in cui tali condotte siano precedute ab origine da azioni qualificabili come appropriazione indebita, il che peraltro non sarebbe ipotizzabile nel caso in esame in quanto difetterebbe la possibilità di configurare il reato di cui all’art. 646 cod. pen. e, per il capo 2, anche il fatto-reato presupposto (verifica fiscale della Guardia di Finanza del 2014) in quanto la Commissione Tributaria con sentenza del 2017 ha annullato il predetto accertamento.

2.4. Errore in iudicando per manifesta contraddittorietà della motivazione anche in relazione all’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui ai capi 1 e 3 della rubrica – illegittimità dell’ordinanza impugnata, travisamento dei fatti, omessa ed erronea valutazione di prove documentali.

Secondo parte ricorrente i Giudici del riesame non hanno tenuto in considerazione le circostanze documentali che denoterebbero in capo all’agente l’assenza di dolo nelle diverse forme richieste dalle norme oggetto di contestazione. Secondo la difesa, l’indagato nella qualità di amministratore della società avrebbe perseguito finalità diametralmente opposte al compendio accusatorio che risiedevano nel tentativo di salvare la società (omissis) S.r.l. consentendole di svolgere l’attività commerciale sia attraverso il ripiano dei debiti che attraverso una “stampella” commerciale costituita dalla (omissis) (omissis) S.r.l.

La precedente gestione de (omissis) S.r.l. aveva prodotto soltanto debiti e quando il (omissis) nel 2012 ha assunto la carica di amministratore della società ha cercato di dare una svolta all’attività commerciale immettendo nella società liquidità personali, ha ripianato i debiti bancari ed ha procurato ulteriori finanziamenti grazie ad un prestito assunto dalla madre sig.ra (omissis).

Tuttavia, essendo tali sforzi rimasti infruttuosi, il (omissis) nel 2014, al fine di salvare l’azienda di famiglia, aveva deciso di creare altra società denominata (omissis) (omissis) S.r.l., società che fino al 2017/2018 ha avuto come unico cliente la società (omissis) S.r.l. operando dei ricarichi minimi, talvolta pari a zero, sulla merce commercializzata così consentendo a quest’ultima società di essere competitiva con gli altri operatori commerciali.

Tali affermazioni, secondo la difesa, troverebbero riscontro nelle fatture prodotte e sarebbero in contrasto con l’ipotesi accusatoria che troverebbe sintesi nella volontà del (omissis) e dell’altro coindagato di svuotare la società (omissis) al fine di agire in frode ai creditori.

A tal riguardo il tribunale del riesame avrebbe risposto con argomentazioni illogiche affermando, a seguito di un esame frammentario della documentazione, che le fatture prodotte non sarebbero idonee ad escludere le finalità simulatorie in quanto non sufficienti a dimostrare l’effettività delle operazioni in questione.

A ciò si aggiunge che la prova del fatto che le transazioni venivano effettuate con pagamenti in denaro contante sarebbe dimostrato dal fatto che, come risulta da un verbale in atti, l’indagato ha consegnato all’amministratore giudiziario avv. (omissis) oltre 57 mila euro in banconote.

Tutto ciò, secondo parte ricorrente, dimostrerebbe che la società (omissis) tra il 2014 ed il 2018 ha continuato ad operare e che la stessa non aveva altri fornitori oltre alla (omissis) (omissis) S.r.l., provvedendo a saldare il prezzo delle forniture sia attraverso bonifici che attraverso pagamenti in contanti.

La (omissis) (omissis), a sua volta, acquistava la merce da molteplici fornitori rivendendole alla (omissis) con un piccolo – o addirittura senza – ricarico ciò al fine di consentire a quest’ultima di proseguire nell’attività commerciale operando in tal modo un’attività di risanamento della stessa.

Non sarebbe, pertanto, stato posto in essere alcun atto fraudolento. Aggiunge, ancora, parte ricorrente, che l’indagato non avrebbe mai posto in essere comportamenti tesi a rendere difficile o impedire la riscossione coattiva dei crediti fiscali scaturenti dalla verifica della Guardia di Finanza del 2014.

Quanto al delitto di cui al capo 1 difetterebbe, poi, l’elemento soggettivo del dolo specifico richiesto per la configurabilità dello stesso atteso che detto elemento soggettivo inerente alla volontà di sottrarre provvidenze al pagamento delle imposte si pone in contrasto con il fatto che sono state iniettate all’interno della compagine societaria importanti liquidità per l’importo di oltre 300 mila euro.

Parimenti, sempre secondo parte ricorrente, non sarebbe configurabile il dolo eventuale in relazione alla fattispecie delittuosa di cui al capo 3 della rubrica delle imputazioni atteso che nei comportamenti dell’indagato si registrano comportamenti del tutto opposti a quelli ipotizzati dall’accusa.

Infatti, non sembra cogliere nel segno l’argomentazione dei giudici del tribunale del riesame, i quali liquidano la circostanza inerente ai finanziamenti dei soci in favore della (omissis) S.r.l. come ininfluenti in relazione alle condotte, semplicemente perché intervenuti in data anteriore alla costituzione della (omissis) (omissis) e della dichiarazione di fallimento.

In realtà, prosegue parte ricorrente, nel 2012 per la società (omissis) il fallimento era lontano in quanto intervenuto solo sette anni dopo e, inoltre, se l’indagato avesse avuto intenzione di depauperare il patrimonio sociale della (omissis) non avrebbe immesso nella stessa gli ingenti capitali di cui si è detto il che porta ad escludere l’elemento soggettivo richiesto per la configurabilità del reato in contestazione.

2.5. Violazione ed erronea applicazione e contestazione degli artt. 223 e 216, comma 1, n. 2, R.D. n. 267/1942, errore in giudicando ed insussistenza della fattispecie delittuosa.

Osserva parte ricorrente che non risulta che il (omissis) abbia messo in atto condotte finalizzate a distruggere, sottrarre o falsificare i libri o le altre scritture contabili. E’ piuttosto vero che il vecchio commercialista de (omissis) ha dichiarato di non aver prodotto le scritture obbligatorie lamentando un insoluto nei confronti della cliente ma al più in una simile situazione potrebbe trovare contestazione il reato di bancarotta semplice documentale di cui all’art. 217 R.D. r() n. 267/1942.

2.6. Erronea applicazione di legge ed errore in giudicando in relazione al reato di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen.

Ribadisce parte ricorrente che non essendovi prova della fittizietà delle operazioni commerciali tra le due società citate ciò fa venir meno le fattispecie delittuose di cui ai capi 2 e 4 della rubrica delle imputazioni.

Anche in questo caso (J’y 5 1/1 si riscontrerebbe un deficit argomentativo dell’ordinanza impugnata che non avrebbe esaminato compiutamente le emergenze della documentazione riversata in atti.

2.7. Violazione di legge in relazione all’art. 25-octies del d.lgs. n. 231/2001. Errore in giudicando. Rileva parte ricorrente che nel momento in cui non risulta configurabile il delitto di cui all’art. 648-ter.1 cod. pen. non è neppure configurabile la contestazione di cui all’art. 25-octies del d.lgs. n. 231/2001.

2.8. Con memoria datata 10 settembre 2024 la difesa della ricorrente ha prodotto una consulenza tecnica di parte relativa alla ricostruzione dei fatti.

Osserva parte ricorrente che da detta consulenza si evince che:

a) è stata contestata all’indagato la violazione dell’art. 11 d.lvo. n. 74/2011 nel senso che si è ritenuto che le operazioni fossero finalizzate a rendere inefficace la riscossione coattiva del credito erariale mentre non è stata contestata la violazione del reato di cui all’art. 3 del medesimo Decreto legislativo che si realizza anche mediante l’uso di documenti falsi o altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento o ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria.

Non risulta inoltre dimostrato dalla Pubblica Accusa che nelle dichiarazioni dei redditi vi siano state indicazioni tali da alterare la base imponibile al fine di ottenere benefici per l’una o l’altra società il tutto con la conseguenza che all’epoca della costituzione della (omissis) (omissis) S.r.l. «l’indagato non poteva avere alcuna cosciente e volontaria condotta simulatoria atta ad eludere il pagamento delle imposte essendo i debiti tributari sorti successivamente al 2014 ed in parte frutto di errori di quantificazione da parte della Agenzia delle Entrate»;

b) anche relativamente alle contestazioni di violazione della legge fallimentare la consulenza evidenzia l’insussistenza dell’ipotesi accusatoria attraverso l’utilizzo del denaro contante e pone inoltre in luce il grave calo di fatturato che ha interessato la società (omissis) S.r.l. tra il 2012 ed il 2013 portando l’indagato alla costituzione della società (omissis) (omissis) S.r.l. società che doveva servire a “stampellare” la prima;

c) è emerso che il (omissis) al fine di evitare azioni esecutive creditorie ha riscattato tre polizze vita per un ammontare di oltre 171 mila euro il cui ricavo è stato versato sul conto della società (omissis) nel febbraio 2013 il che dimostra l’esistenza di un tentativo di risanamento aziendale;

d) alla luce delle ricostruzioni effettuate dal consulente tecnico non appare configurabile il dolo eventuale richiesto per la consumazione del reato di cui al capo 3 della rubrica delle imputazioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In via preliminare è, innanzitutto, doveroso individuare i limiti nei quali, in presenza di un ricorso “onnicomprensivo”, deve operare la presente decisione. Non deve, infatti, essere dimenticato che il ricorso qui in esame risulta, come da intestazione, presentato da (omissis) (omissis) non in proprio ma «nella qualità di amministratore e legale rappresentante pro-tempore della Campo Frutta S.r.l.».

Da ciò ne consegue che, essendo la ricorrente da individuarsi esclusivamente nella società (omissis) (omissis) S.r.l., tutte le vicende inerenti alla società (omissis) S.r.l. ed al (omissis) (indagato per i reati di cui ai capi da 1 a 5 della rubrica delle imputazioni), ampiamente trattate nel ricorso, assumono rilevanza solo in quanto incidenti sulla posizione della (omissis) (omissis) e costituenti il presupposto per i reati di autoriciclaggio (capi 2 e 4) che hanno dato luogo alla contestazione alla (omissis) (omissis) anche dell’illecito oggetto di contestazione al capo 6 della rubrica delle imputazioni.

In sintesi, poiché il sequestro disposto nei confronti della (omissis) (omissis) riguarda somme di denaro provenienti – secondo la costruzione accusatoria – dalle condotte delittuose di cui ai capi da 1 a 4 della rubrica delle imputazioni, l’analisi delle condotte contestate in detti capi si giustifica in questa sede solo in quanto la società ricorrente è risultata il luogo di afflusso delle somme oggetto di “svuotamento patrimoniale” della società (omissis) e del conseguente autoriciclaggio delle stesse.

2. Quanto al profilo processuale deve poi essere evidenziato che, con riferimento alla consulenza tecnica prodotta in allegato alla memoria difensiva in data 10 settembre 2024, che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che «Nel giudizio di legittimità possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano “prova nuova” e non comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito» (Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, PMT c/ Moretti Cuseri, Rv. 277609).

Trattandosi nel caso di specie di documento che non risulta essere stato sottoposto ai Giudici di merito e contenente elementi che potrebbero avere efficacia nel contesto e nella valutazione delle prove già raccolte, lo stesso non poteva essere prodotto per la prima volta in questa sede con la conseguenza che il contenuto dello stesso non può essere utilizzato ai fini della presente decisione.

3. Occorre, poi, doverosamente ricordare che ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen. «il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo“, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e, quindi, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice» (ex ceteris: Sez. 2, n. 49739 del 10/10/2023, Mannolo, Rv. 285608; Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv. 269656).

La premessa di cui sopra si è resa necessaria per evidenziare come nel caso in esame l’ordinanza impugnata risulta avere dato congrua – e come si vedrà anche corretta – risposta a tutte le questioni che sono state successivamente riproposte in questa sede di legittimità, con la conseguenza che non possono di certo rilevarsi nel caso in esame vizi dell’apparato argomentativo tali da rendere mancante o comunque incomprensibile l’itinerario logico seguito dai giudici dell’incidente cautelare.

E’ di tutta evidenza, poi, da una lato, che sono sottratte all’esame di questa Corte le valutazioni di merito che sono contenute nel provvedimento impugnato (si pensi alle operate valutazioni riguardanti gli elementi soggettivi dei reati in contestazione o a quelle relative alla ricostruzione dei fatti proposte in chiave alternativa dalla difesa della ricorrente) e, dall’altro, le questioni inerenti a fatti-reato che non hanno alcuna incidenza diretta (si pensi al reato di bancarotta documentale, oltretutto relativo alla società (omissis) e non alla odierna ricorrente, di cui al capo 5 della rubrica delle imputazioni) sul provvedimento cautelare reale in esame.

Sono quindi da ritenersi inammissibili tout court le questioni contenute nel ricorso nelle quali si propone una lettura alternativa della vicenda sostenendo che l’indagato (omissis) (omissis) avrebbe tenuto, anche attraverso il ricorso ad attività di finanziamento, un comportamento diametralmente opposto a quello riguardante la volontà di spogliare di ogni bene la società (omissis) S.r.l. a favore della società (omissis) (omissis) S.r.l. (è il caso del quarto motivo di ricorso) o quelle nelle quali si sostiene che non ci si troverebbe in presenza di operazioni commerciali fittizie tra le due società (è questo, invece, il caso del sesto motivo di ricorso).

Il Tribunale del riesame ha – come detto – esaminato nel dettaglio tutti i punti decisivi per l’accertamento dei fatti, ha risposto a tutte le questioni al riguardo sollevate dall’odierna parte ricorrente e, attraverso adeguate valutazioni di merito (insindacabili in questa sede di legittimità), ha fornito congrua motivazione circa l’infondatezza, l’indifferenza o la superfluità degli argomenti opposti con il ricorso, con la conseguenza che sono inammissibili tutte le doglianze che, in questa sede di legittimità, “attaccano” la persuasività o l’inadeguatezza di tali valutazioni così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire a diversi elementi probatori o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria dei singoli elementi valutati.

A ciò si aggiunge il fatto che per l’attivazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca è sufficiente il fumus commissi delicti e che nel caso in esame il Tribunale del riesame non si è limitato alla semplice verifica astratta della corretta qualificazione giuridica dei fatti prospettati dall’accusa, ma ha tenuto conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali, delle contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, ed ha indicato le ragioni che rendono sostenibile l’impostazione accusatoria e plausibile un giudizio prognostico negativo per l’indagato.

4. Ulteriore presupposto del quale è doveroso dar conto nel caso in esame è quello riguardante l’interesse a ricorrere ex art. 568, comma 4, cod. proc. pen., ciò in quanto sono, innanzitutto, inammissibili tutte quelle questioni sollevate nel ricorso in esame che pur essendo di stretto diritto e denunciando violazioni legge non risultano avere una incidenza diretta sul provvedimento cautelare adottato con particolare riguardo alla società (omissis) (omissis). Le valutazioni che devono essere operate in tema di misure cautelari reali sono, infatti, quelle della configurabilità del fumus del reato presupposto, della ricorrenza delle ulteriori condizioni di legge per procedere al sequestro e della verifica del fatto che quanto oggetto di sequestro non ecceda i limiti del prezzo, del prodotto o del profitto del reato.

Ne consegue che le questioni di diritto che potenzialmente possono assumere rilievo nel caso in esame ed in particolare quelle nelle quali si sostiene una duplicazione delle contestazioni oggetto di imputazioni non debbono essere valutate in astratto nell’ambito di un esercizio scolastico di applicazione del diritto ma solo nel momento in cui tali duplicazioni abbiano eventualmente prodotto una distorsione nella tipologia, nella quantità o nel valore dei beni sottoposti a sequestro.

Anche detta premessa si è resa necessaria in quanto parte ricorrente da un lato propone questioni di duplicazione di imputazioni ma dall’altro non contesta per effetto di tali imputazioni un “eccesso” di quanto oggetto di sequestro.

Del resto, è sufficiente leggere i provvedimenti cautelari per rendersi conto che nella determinazione del quantum sottoponibile a sequestro si è debitamente tenuto della parziale sovrapponibilità degli importi oggetto delle contestate operazioni di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, di distrazione fallimentare e di autoriciclaggio.

5. Tutto ciò doverosamente premesso, e passando, quindi, ad esaminare le questioni di diritto, deve essere osservato che il primo motivo di ricorso afferisce ad una condotta che inerisce alla società (omissis) (v. sup. par. 2.1) – non certo alla società ricorrente – nel quale sostanzialmente si afferma che le condotte inerenti alla violazione del citato art. 11, comma 1, e, comunque, la strumentale attività contestata al (omissis) ed all’altra indagata, si innestano e vengono assorbite dalla complessità strutturale sia del fatto che della previsione normativa disciplinata dagli artt. 216, comma 1, e 223 R.D. n. 267/1942 esistendo un rapporto di specialità unilaterale a favore di queste ultime disposizioni di legge.

E’ consapevole l’odierno Collegio che su tale questione esiste un contrasto nella giurisprudenza di legittimità, essendosi affermato sia che «È configurabile il concorso tra il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e quello di bancarotta fraudolenta per distrazione (Fattispecie relativa al delitto previsto dall’art. 11 D.Lgs. n. 74 del 2000 nella formulazione antecedente alle modifiche introdotte dalla legge n. 122 del 2010)» sia che «La fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte – che sanziona chiunque alieni simulatamente o compia atti fraudolenti su beni al fine di sottrarsi al versamento delle imposte (art. 11 D.Lgs. n. 274 del 2000) – integra una condotta che può ben inserirsi in una complessiva strategia distrattiva, intesa consapevolmente a danneggiare colui che sui beni sottratti ha titolo per soddisfarsi; ne deriva che ove tale condotta sia finalizzata al fallimento, ovvero posta in essere in vista di esso, o da questo seguita, la distrazione operata in danno del fisco non assume connotazione autonoma ma è riconducibile al paradigma punitivo dell’art. 216 1. fall., le cui condotte di distrazione, occultamento, distruzione, dissipazione sono comprensive delle condotte di simulazione o integranti atti fraudolenti di cui all’art. 11 D.Lgs. n. 74 del 2000, di guisa che, in tal caso, si applica il principio di specialità di cui all’art. 15 cod. pen., in virtù del quale resta integrato il solo reato di bancarotta fraudolenta – trattandosi di più grave reato – e si esclude la configurabilità del concorso tra i due delitti in relazione allo stesso fatto» (così rispettivamente, Sez. 5, n. 1843 del 10/11/2011, Mazzieri, Rv. 253479; Sez. 5, n. 42156 del 16/11/2011, Borsano, Rv. 251698).

Ritiene tuttavia il Collegio di dover prestare adesione al più recente articolato ed ermeuticamente persuasivo ragionamento sviluppato in altre pronunce di legittimità (v. Sez. 5, n. 22143 del 14/3/2022, Lo Greco, Rv. 283257; Sez. 5, n. 35591 del 20/06/2017, Fagioli, Rv. 270810; Sez. 3, n. 3539 del 20/11/2015, dep. 2016, Cepparo, Rv. 266133, Sez. 2, n. 25363 del 15/05/2015, Belleri, Rv. 265045).

Secondo tale orientamento si è innanzitutto dato per assodato che le norme incriminatrici in questione sono entrambe speciali, sì che ben può divisarsi un’ipotesi di c.d. “specialità bilaterale”.

Ciò posto, va tuttavia subito notato che non può affatto affermarsi che esse regolino la “stessa materia”, dato che risulta di contro evidente che quella fiscale è preposta a sanzionare condotte che pregiudichino l’interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva, quella fallimentare l’interesse del ceto creditorio di massa al soddisfacimento dei propri singoli diritti. E già sotto questo primo aspetto comunque risalta la maggiore “specialità” della previsione incriminatrice di cui all’art. 11, d.lgs. n. 74/2000.

Peraltro, come osservatosi nella sentenza Mazzieri, va poi notata la evidente e profonda diversità strutturale delle due fattispecie astratte, particolarmente quanto alla natura giuridica, di pericolo quella fiscale, di danno quella fallimentare ed all’elemento soggettivo, dolo specifico la prima, dolo generico la seconda, dovendosi in ogni caso a tali elementi fare riferimento per identificare la “stessa materia” (cfr. Cass. SU, n. 1235 del 28/10/2010, Giordano).

Inoltre, si deve anche rilevare, che nemmeno può farsi applicazione dell’art. 84, cod. pen., data la chiara diversità della trama lessicale del due enunciati normativi di che si tratta, dalla quale derivano le differenze sopra indicate (natura del reato; elemento soggettivo), ma anche considerata la profonda diversità della configurazione della soggettività attiva, più ristretta in quello di bancarotta fraudolenta (l’imprenditore dichiarato fallito ovvero per estensione soggettiva normativa gli organi amministrativi delle imprese societarie ed Enti assimilati), più ampia in quello fiscale, essendo astrattamente riferibile ad ogni contribuente, ancorché non imprenditore o normativamente assimilato.

In ultima analisi, ciò che maggiormente distingue i due reati è, comunque, il bene giuridico protetto, come sopra si è individuato, che rende la norma penale tributaria per così dire “specialissima” ed impedisce il suo assorbimento in quella fallimentare quale “meno speciale” sia sul piano oggettivo sia sul piano soggettivo.

Ne consegue che, per le ragioni che precedono, deve affermarsi che nel caso in esame si concretizza non un’ipotesi di concorso apparente di norme, bensì la diversa ipotesi del concorso formale di reati ovvero della continuazione tra distinti illeciti penali di cui all’art. 81, primo e secondo comma, cod. pen. il che rende manifestamente infondato il motivo di ricorso sopra indicato.

6. Inammissibile, per le ragioni di carenza di interesse che si sono già evidenziate al superiore punto 4, è il secondo motivo di ricorso (v. sup. par. 2.2).

Fermo restando, infatti, che non vi è una totale sovrapponibilità tra le contestazioni di autoriciclaggio di cui ai capi 2 e 4 della rubrica delle imputazioni è qui sufficiente ricordare – come del resto ha riconosciuto parte ricorrente – che il G.i.p. ha disposto il sequestro delle attività fino alla concorrenza degli importi specificati che fanno riferimento ad un’unica utilità per come accertata. Non è dato quindi comprendere né è altrimenti stato spiegato nel ricorso quale lesione abbia subito parte ricorrente nella formulazione dei due distinti capi di imputazione in relazione al sequestro di cui si discute.

La questione è quindi estranea alla presente sede e la stessa potrà assumere rilevanza solo in caso di eventuale condanna per entrambi i reati in contestazione all’esito del giudizio di merito.

7. Inammissibile ed al contempo manifestamente infondato in tutte le sue prospettazioni è poi anche il terzo motivo di ricorso (v. sup. par. 2.3).

Sostiene, come si è detto, parte ricorrente l’insussistenza del reato di autoriciclaggio ex art. 648-ter.1 cod. pen. sia quale conseguenza del delitto di cui al capo 1 che del delitto di cui al capo 3 della rubrica ciò in quanto le condotte che hanno portato alla contestazione di tali reati sarebbero antecedenti alla dichiarazione di fallimento della società (omissis), non sarebbero individuabili pregresse attività di appropriazione indebita e con riguardo al capo 2 difetterebbe anche il fatto presupposto (verifica fiscale della Guardia di Finanza del 2014) in quanto la Commissione Tributaria con sentenza del 2017 ha annullato il predetto accertamento.

Deve, innanzitutto, essere ricordato che «Sussiste concorso tra il reato di bancarotta per distrazione e quello di autoriciclaggio nel caso in cui alla condotta distrattiva di somme di denaro faccia seguito un’autonoma attività dissimulatoria di reimpiego in attività economiche e finanziarie di tali somme, in quanto si verifica in tale ipotesi la lesione della garanzia patrimoniale dei creditori, sia la lesione autonoma e successiva dell’ordine giuridico economico, mediante l’inquinamento delle attività legali» (Sez. 2, n. 13352 del 14/03/2023, PMT C/Carabetta, Rv. 284477).

Certo, si potrebbe astrattamente discutere se prima ancora della dichiarazione di fallimento della società La Palamara siano state compiute attività di distrazione o appropriazione patrimoniale idonee ad essere inquadrate in altra fattispecie delittuosa (allo stato non contestata), ma la questione non assume rilevanza in questa sede atteso che qui si sta discutendo di una misura cautelare reale la cui portata in ordine al quantum rimane identica anche se uno dei reati in contestazione fosse escluso trovandoci in presenza di un’unica complessiva operazione delittuosa ed in assenza – come detto – di una duplicazione degli importi oggetto di sequestro.

Per solo dovere di completezza, con riguardo al delitto di autoriciclaggio, deve comunque essere ricordato come esso, pur essendo a consumazione istantanea, sia un reato a forma libera e può anche atteggiarsi a reato eventualmente permanente, quando il suo autore lo progetti e lo esegua – come nel caso qui in esame – con modalità frammentarie e progressive (Sez. 2, n. 29611 del 27/04/2016 Rv. 267511; Sez. 2, n. 33725 del 19/04/2016, Rv. 267497), tanto che può atteggiarsi anche nelle forme del reato eventualmente permanente (Sez. 2 n. 34511 del 29/04/2009, Rv. 246561), come si verifica nel caso di una pluralità di condotte attuate in un medesimo contesto fattuale e con riferimento a un medesimo oggetto, in cui è pertanto configurabile un unico reato a formazione progressiva che viene a cessare con l’ultima delle operazioni poste in essere (Sez. 2 n. 52645 del 20/11/2014, Rv. 261624).

Sul punto e per rispondere all’ulteriore questione posta nel motivo di ricorso che in questa sede ci occupa deve solo ulteriormente rilevarsi la correttezza di quanto ha affermato il Tribunale del riesame alle pagg. 9 e 10 dell’ordinanza impugnata evidenziando l’irrilevanza del fatto che l’avviso di accertamento scaturito dalla verifica fiscale del 2014 è stato annullato con sentenza del 2017 il che – secondo parte ricorrente – farebbe venir meno il reato presupposto di quello di autoriciclaggio.

Ciò in quanto lo stesso Tribunale ha evidenziato che «nei periodi oggetto di contestazione sono stati emessi anche altri avvisi di accertamento in relazione all’omesso pagamento delle imposte sui redditi e nonostante ciò la condotta distrattiva è proseguita a dimostrazione dell’intento fraudolento» e ricordando che questa Corte di legittimità ha già avuto modo di chiarire che «Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 11 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, che punisce colui che, per sottrarsi alle imposte, aliena simulatamente o compie atti fraudolenti sui propri o altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, non è necessaria la fondatezza della pretesa erariale» (Fattispecie relativa ad un’operazione di scissione societaria volta a deprivare il patrimonio della società contribuente, in cui la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo delle quote e dei beni societari, nonostante lo sgravio parziale delle somme dovute all’erario a seguito di annullamento dell’avviso di accertamento) (Sez. 3, n. 19989 del 10/01/2020, Costagliola, Rv. 279290).

Deve infine ricordarsi che nel momento in cui è da ritenersi configurabile il delitto di autoriciclaggio ex art. 648-ter.1 cod. pen. risulta giuridicamente corretta anche la contestazione di cui all’art. 25-octies del d.lgs. n. 231/2001 (capo 6 della rubrica delle imputazioni).

8. Inammissibile è, poi, anche il settimo motivo di ricorso nel quale si lamenta violazione di legge in relazione all’art. 25-octies del d.lgs. n. 231/2001 non essendo il ricorrente legittimato a proporlo dato che il (omissis) è indagato nel medesimo procedimento e per i medesimi fatti e che questa Corte ha già avuto modo di chiarire che «È inammissibile la richiesta di riesame del sequestro preventivo del compendio aziendale presentata dal legale rappresentante di un ente che sia indagato per il reato presupposto, versando quest’ultimo in una situazione di incompatibilità» (Sez. 2, n. 44372 del 13/10/2022, Marino, Rv. 284123 in conformità a Sez. U, n. 33041 del 28/05/2015, Gabrielloni, Rv. 264311).

9. Manifestamente infondato è, poi, anche il quarto motivo di ricorso nel quale parte ricorrente afferma l’insussistenza degli elementi soggettivi necessari per la configurabilità dei reati di cui ai capi 1 e 3 della rubrica delle imputazioni.

Parte ricorrente, come visto, indica al riguardo un serie di elementi che investono la ricostruzione di fatto della vicenda e le condotte del (omissis) il quale – secondo la tesi difensiva – avrebbe perseguito finalità diametralmente opposte al compendio accusatorio agendo nel tentativo di salvare la società (omissis) S.r.l. al fine di consentirle di svolgere l’attività commerciale sia attraverso il ripiano dei debiti che attraverso una “stampella” commerciale costituita dalla (omissis) (omissis) S.r.l.

Come si è già evidenziato al superiore par. 1, trattasi di vicende frutto di accertamenti di merito i cui risultati sono stati debitamente analizzati dai Giudici di merito i quali, in relazione ad una valutazione non sindacabile in questa sede, hanno concluso per la ricorrenza di una attività fraudolenta posta in essere dall’indagato e, quindi, integrante gli elementi soggettivi de quibus.

A ciò si aggiunga che come ha già avuto modo di precisare già in tempi remoti questa Corte Suprema, «ai fini dell’accertamento dell’elemento psicologico del soggetto agente, essendo la volontà ed i moti dell’anima interni al soggetto, essi non sono dall’interprete desumibili che attraverso le loro manifestazioni, ossia attraverso gli elementi esteriorizzati e sintomatici della condotta … .

Ne deriva che i singoli elementi e quindi anche quelli soggettivi attraverso cui si estrinseca l’azione, inerenti al fatto storico oggetto del giudizio, impongono una loro analisi la quale, essendo pertinente ad elementi di fatto, costituiscono appannaggio del giudizio di merito, non di quello della legittimità che può solo verificare la inesistenza di vizi logici, la correttezza e la compiutezza della motivazione, l’assenza di errori sul piano del diritto, così escludendosi in tale sede un terzo riapprezzamento del merito» (Sez. 1, n. 12726 del 28/09/1988, dep. 1989, Alberto, Rv. 182105).

10. Si è già detto, infine, dell’inammissibilità per carenza di interesse in questa sede del quinto motivo di ricorso non avendo le condotte contestate al capo 5 (bancarotta documentale) alcuna rilevanza diretta né con la società (omissis) (omissis) né, più in generale, con il provvedimento di sequestro in esame.

11. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nelle determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma ritenuta equa di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della soma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 27 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 2 gennaio 2025.

SENTENZA – copia non ufficiale -.