Sanzionabile il possesso non giustificato di un coltello in macchina (Corte di Cassazione, Sezione VII Penale, Sentenza 2 gennaio 2025, n. 88).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SETTIMA SEZIONE PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASA Filippo – Presidente

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. VALIANTE Paolo – Relatore

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

(omissis) (omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 29/01/2024 del TRIBUNALE di UDINE

dato avviso alle parti;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PAOLO VALIANTE;

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con sentenza resa in data 29.1.2024, il Tribunale di Udine ha condannato (omissis) (omissis) (omissis) alla pena di 3.000 euro di ammenda per il reato di cui all’art. 4 L. n. 110 del 1975, previo riconoscimento della circostanza attenuante di cui al comma 3 della medesima disposizione di legge.

2. Avverso la predetta sentenza, il difensore dell’imputato ha proposto ricorso, articolandolo in tre motivi.

Con il primo motivo, lamenta che il tribunale abbia condannato il ricorrente perché non ha giustificato il porto del coltello fuori dalla propria abitazione, mentre invece nell’interrogatorio, acquisito ex art. 513 cod. proc. pen., (omissis) (omissis) aveva detto d’utilizzarlo per la pesca e di averlo lasciato per errore in auto.

Con il secondo motivo, censura che il Tribunale, pur avendo riconosciuto l’attenuante di cui al comma 3 dell’art. 4 L. n. 110 del 1975 in ragione della scarsa offensività dello strumento, abbia negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche per l’assenza di elementi favorevoli, senza considerare, sotto questo profilo, che il coltello non fosse a scatto e che l’imputato ha tenuto un comportamento collaborativo facendo acquisire l’interrogatorio.

Con il terzo motivo, il ricorrente si duole della mancata concessione della sospensione condizionale della pena, che la sentenza ha motivato in ragione:

a) delle specifiche modalità del fatto, sulla base delle quali però ha al tempo stesso riconosciuto l’attenuante di cui al comma 3 dell’art. 4 L. n. 110 del 1975;

b) del precedente penale a carico dell’imputato, laddove invece nel casellario giudiziale non risulta alcuna precedente condanna.

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

3.1 Il primo motivo, da un lato, non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, in cui il Tribunale ha espressamente dato atto della giustificazione dell’imputato e l’ha considerata vaga, e, dall’altro, chiede una rivalutazione nel merito dei fatti. Rivendica il “diritto al silenzio” dell’imputato, ma non tiene conto che il porto di coltello è sempre proibito, a norma dell’art. 4 legge 18 aprile 1975 n. 110, a meno che non venga dimostrato un giustificato motivo, che, costituendo una eccezione alla configurabilità del reato, deve sottostare all’onere della prova incombente sull’imputato (Sez. 6, n. 17777 del 29/9/1989, Rv. 182923 – 01).

Sotto questo profilo, il “giustificato motivo” del porto degli oggetti di cui all’art. 4, comma secondo, legge 18 aprile 1975, n. 110, ricorre solo quando particolari esigenze dell’agente siano perfettamente corrispondenti a regole comportamentali lecite relazionate alla natura dell’oggetto, alle modalità di verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi dell’accadimento e alla normale funzione dell’oggetto (Sez. 1, n. 578 del 30/9/2019, dep. 2020, Rv. 278083 – 01).

3.2 II secondo motivo è generico.

Non esiste contraddizione tra il diniego delle attenuanti generiche e la concessione della circostanza attenuante speciale, in quanto si tratta di attenuanti autonome che si basano su differenti elementi caratterizzanti. Mentre la circostanza speciale fa riferimento alla lieve entità del fatto correlata evidentemente alla qualità e quantità delle armi, le generiche sono affidate al potere discrezionale del giudice di merito, al fine di adeguare la pena alla concreta entità del fatto ed alla personalità del reo (cfr. per esempio, Sez. 1, n. 1161 del 9/12/2003, dep. 2004, Rv. 227106 – 01).

Nel caso di specie, la motivazione sul punto è adeguata e gli elementi indicati nel ricorso sono o inconferenti (il fatto che il coltello non fosse a scatto ha già determinato la riqualificazione in melius del fatto) o irrilevanti (il consenso all’acquisizione dell’interrogatorio in dibattimento – cosa che peraltro non risulta in sentenza – non è né confessione, né collaborazione prestata all’indagine, e non ha sollevato in nulla il tribunale che, in caso di assenza o di rifiuto dell’imputato di sottoporsi a esame chiesto pure dal p.m., l’avrebbe potuto acquisire egualmente).

3.3. Il terzo motivo è egualmente generico.

Non sussiste incompatibilità fra il diniego della sospensione condizionale della pena e la concessione dell’attenuante del fatto di lieve entità per i delitti concernenti le armi, giacché la applicazione di tale attenuante non è condizionata alla presunzione che l’imputato si asterrà dal commettere altri reati, ma esclusivamente alla qualità e quantità delle armi (Sez. 1, n. 9835 dell’1.6.1983, Rv. 161306).

Quando il tribunale parla delle “specifiche modalità del fatto”, si riferisce evidentemente alle complessive circostanze del controllo dell’imputato quali desumibili dalla motivazione della sentenza. In ogni caso, il giudice, al fine di escludere le circostanze attenuanti generiche, può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed idoneo a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può risultare all’uopo sufficiente (Sez. 2, n. 23903 del 15/7/2020, Rv, 279549 – 02).

In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini dell’esclusione del beneficio (Sez. 5, n. 43952 del 13/4/2017, Rv. 271269 – 01; Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737 – 01). Se è così, anche il residuo elemento della lamentata assenza di precedenti penali a carico dell’imputato sarebbe irrilevante, stante l’espresso disposto del comma 3 dell’art. 62-bis cod. pen.

4. Per quanto fin qui osservato, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 26.9.2024

Depositato in Cancelleria il 2 gennaio 2025.

SENTENZA – copia non ufficiale -.