Condannato il marito indebitato che falsifica la firma della moglie su alcune cambiali (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 9 gennaio 2023, n. 233).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PEZZULLO Rosa – Presidente

Dott. CATENA Rossella – Consigliere

Dott. CIRILLO Pierangelo – Rel. Consigliere

Dott. PILLA Egle – Consigliere

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) ADOLFO nato a (OMISSIS) il 13/10/19xx;

avverso la sentenza del 22/02/2022 della CORTE DI APPELLO di FIRENZE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PIERANGELO CIRILLO;

letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa KATE TASSONE, che ha chiesto di accogliere il ricorso e annullare con rinvio la sentenza.

RITENUTO IN FATTO

1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 22 febbraio 2022 dalla Corte di appello di Firenze, che ha confermato la pronuncia con la quale il Tribunale di Firenze aveva condannato (OMISSIS) Adolfo per il delitto di cui all’art. 491 cod. pen., per avere contraffatto la firma della moglie ((OMISSIS) Milva, dalla quale stava separandosi), apponendola su 35 effetti cambiari dall’importo di euro 100,00 ciascuno.

2. Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, senza articolarlo in separati motivi e senza indicare lo specifico vizio dedotto.

2.1. Il ricorrente sostiene che le cambiali in questione sarebbero state emesse nell’ambito di un finanziamento che sarebbe stato chiesto da entrambi i coniugi concordemente per saldare debiti familiari pregressi e che solo successivamente la persona offesa avrebbe negato tale circostanza perché nel frattempo era maturata un’irreversibile crisi coniugale.

Invoca, poi, la scriminante di cui all’art. 54 cod. pen., sostenendo che avrebbe emesso le cambiali in favore della società che aveva concesso il finanziamento perché si era venuto a trovare in una situazione economica che non gli consentiva di definire la propria posizione debitoria.

Il ricorrente, «in via subordinata», lamenta la mancata applicazione dell’articolo 131-bis cod. pen. e «dell’istituto del furto lieve per stato di bisogno»; sostiene che, comunque, andava applicata una pena meno afflittiva e condizionalmente sospesa.

3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di accogliere il ricorso e annullare con rinvio la sentenza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Esso, invero, è affetto da intrinseca genericità, essendo basato su deduzioni indeterminate e prive di una puntuale enunciazione delle ragioni di diritto su cui si basano e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato.

Le argomentazioni, in talune parti, sono esposte in maniera confusa e con riferimento ad altra tipologia di reato (a un furto commesso all’interno di un supermercato).

Tutte le censure, inoltre, sono meramente reiterative di identiche doglianze proposte con i motivi di appello, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagine 4, 5 e 6 della sentenza impugnata), con le quali la parte non si è effettivamente confrontata, rendendo così il ricorso anche privo di specificità estrinseca.

La Corte di appello ha evidenziato che la tesi secondo la quale le firme sarebbero state apposte con il consenso della coniuge costituisce una mera congettura della difesa, che non è stata dedotta neppure dall’imputato, rimasto assente; tesi, in ogni caso, priva di qualsiasi appiglio nelle risultanze istruttorie.

Quanto all’invocata scriminante, la Corte d’appello ha evidenziato l’insussistenza degli elementi dello stato di necessità, ponendo in rilievo anche come la difesa, in realtà, avesse fatto riferimento a un’ipotesi ben diversa da quella in esame, in cui l’imputato aveva agito al solo fine di sfamarsi.

Deve essere evidenziato che, contrariamente a quanto sostenuto dal Procuratore generale, la Corte di appello ha motivato adeguatamente anche con riferimento alla particolare tenuità del fatto, escludendola in considerazione della reiterazione della condotta criminosa, che ne rendeva manifesta la non occasionalità, e ponendo in rilievo come le argomentazioni addotte dalla difesa fossero relative a un reato completamente diverso da quello oggetto di giudizio (un furto all’interno di un supermercato).

Con riferimento al trattamento sanzionatorio, il ricorso prospetta questioni non consentite nel giudizio di legittimità e, comunque, manifestamente infondate, posto che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che l’esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., con la conseguenza che è inammissibile la doglianza che in cassazione miri ad una nuova valutazione della sua congruità, ove la relativa determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Rv. 238851), come nel caso di specie (cfr. pagina 6 della sentenza impugnata).

Manifestamente infondata è anche la questione relativa alla sospensione condizionale della pena, atteso che la Corte di appello ha rilevato che i precedenti penali dell’imputato erano ostativi al riconoscimento del beneficio.

2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,0 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 27/09/2022.

Depositato in Cancelleria il 9 gennaio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.