REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Rel. Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23213-2019 proposto da:
(OMISSIS) GIANFELICE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA (OMISSIS) 52, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati DANIELE (OMISSIS) e CRISTIANO (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
ANAS S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 17/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 09/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.
FATTI DI CAUSA
1. Gianfelice (OMISSIS) convenne in giudizio l’ANAS s.p.a., davanti al Tribunale di Pescara, chiedendo che fosse condannata al risarcimento dei danni da lui patiti a seguito di una caduta dalla bicicletta verificatasi, a suo dire, a causa della presenza di alcuni avvallamenti esistenti sul manto stradale della Via Tiburtina.
Si costituì in giudizio la parte convenuta, chiedendo il rigetto della domanda.
Espletata prova per testi e fatta svolgere una c.t.u. medico-legale, il Tribunale rigettò la domanda e compensò le spese di giudizio.
2. La pronuncia è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del 9 gennaio 2019, ha rigettato l’appello ed ha condannato l’appellante al pagamento delle spese del grado.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila ricorre Gianfelice (OMISSIS) con atto affidato a due motivi.
4. Resiste l’ANAS s.p.a. con controricorso.
5. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., e non sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 cod. civ., nonché carenza e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che il comportamento del ciclista costituisse causa esclusiva del danno subito.
Richiamati i principi giurisprudenziali sull’art. 2051 cit., il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia posto l’intera responsabilità dell’accaduto a carico della vittima, in base all’apodittica affermazione secondo cui il ricorrente, pur avendo tenuto un’andatura moderata anche in considerazione del traffico esistente, non aveva osservato il necessario sforzo di diligenza.
Quest’ultima affermazione, in particolare, non sarebbe neppure chiara, perché la sentenza non spiega in quale comportamento tale sforzo si sarebbe dovuto tradurre.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., sul rilievo che la sentenza non avrebbe fatto corretta applicazione delle regole sull’onere della prova in ordine all’esistenza del caso fortuito.
3. I motivi, da trattare congiuntamente in considerazione dell’evidente connessione tra loro esistenti, sono, quando non inammissibili, comunque privi di fondamento.
3.1. Giova premettere che questa Corte, sottoponendo a revisione i principi sull’obbligo di obbligo di custodia, ha stabilito, con le ordinanze 1° febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483, che in tema di responsabilità civile per danni da cose in custodia, la condotta del danneggiato, che entri in interazione con la cosa, si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione, anche ufficiosa, dell’art. 1227, primo comma, cod. civ., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 della Costituzione.
Ne consegue che, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale, connotandosi, invece, per l’esclusiva efficienza causale nella produzione del sinistro.
Questi principi, ai quali la giurisprudenza successiva si è più volte uniformata (v., tra le altre, le ordinanze 29 gennaio 2019, n. 2345, e 3 aprile 2019, n. 9315), sono da ribadire ulteriormente nel giudizio odierno.
3.2. Tanto premesso, il Collegio rileva che la Corte d’appello, con un accertamento in fatto non rivisitabile in questa sede, è pervenuta alla conclusione per cui il danneggiato conosceva a sufficienza lo stato dei luoghi e, in considerazione delle aggravate condizioni di traffico esistenti — conseguenti alla temporanea chiusura del tratto autostradale dell’A25, con riversamento dei mezzi sulla Via Tiburtina — avrebbe dovuto osservare un grado maggiore di diligenza.
Ciò era da ritenere non impossibile, sia perché il ciclista già stava tenendo una velocità moderata sia perché l’avvallamento stradale era ben illuminato in quel giorno e a quell’ora (8,30 del 28 settembre 2013).
Per cui il sinistro era da ricondurre ad esclusiva responsabilità del danneggiato, idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno.
A fronte di tale ricostruzione, il ricorrente oppone la propria (diversa) valutazione dei fatti di causa, sostenendo che la sentenza non avrebbe indicato in cosa si sarebbe dovuto tradurre il comportamento corretto del ciclista.
È evidente, però, che la censura del primo motivo finisce col tradursi nella riproposizione del vizio di motivazione secondo il precedente testo dell’art. 360, primo comma, n. 5), cit., e che le due censure, assunte nella loro globalità, finiscono con il sollecitare in questa sede un nuovo e non consentito esame del merito.
Non sussistono, perciò, né le violazioni di legge né le lacune di motivazione lamentate dal ricorrente.
4. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55.
5. Sussistono, inoltre, le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 3.500, di cui euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile —3, il 15 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria, addì 17 novembre 2021.