Cortile condominiale, il condomino che ne rivendica la proprietà esclusiva deve fornire la prova (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 16 febbraio 2023, n. 4865).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. MARCHEIS Chiara Besso – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6993-2022 proposto da:

(OMISSIS) CONCETTA, rappresentata e difesa dall’avv. ALFREDO (OMISSIS) e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione

-ricorrente-

contro

(OMISSIS) GABRIELLA MARIA ASSUNTA, rappresentata e difesa dall’avv. RAFFAELE (OMISSIS) e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione

-controricorrente-

avverso la sentenza n. 62/2022 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 13/01/2022;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/01/2023 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 30.12.2015 il Condominio di via (OMISSIS) n. 27 in (OMISSIS) evocava in giudizio (OMISSIS) Gabriella Maria Assunta innanzi il Tribunale di Foggia, per sentirla condannare al rilascio di un cortiletto dalla medesima occupato, sul presupposto che esso appartenesse al condominio attore.

Con sentenza n. 1315/2019 il Tribunale rigettava la domanda, ritenendo che la convenuta avesse dimostrato la proprietà esclusiva dell’area contesa.

Con la sentenza impugnata, n. 62/2022, la Corte di Appello di Bari rigettava l’impugnazione proposta dal Condominio avverso la decisione di prime cure.

Ricorre per la cassazione della predetta decisione (OMISSIS) Concetta, in qualità di condomina del Condominio di via (OMISSIS) n. 27, affidandosi a quattro motivi.

Resiste con controricorso (OMISSIS) Gabriella Maria Assunta.

In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1117 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso la presunzione di condominialità della corte oggetto di causa.

Alla luce della funzione di quest’ultima, costituente cavedio(1) destinato a dare aria e luce alle unità immobiliari che su di esso si affacciano, lo stesso avrebbe dovuto essere considerato ricompreso nell’ambito delle parti comuni del fabbricato, in difetto di titolo idoneo a dimostrarne la proprietà esclusiva.

Nella specie, la (OMISSIS) non aveva prodotto un atto anteriore alla costituzione del condominio, al fine di provare la proprietà esclusiva del bene di cui si discute, e dunque non aveva assolto all’onere di prova su di lei gravante.

La censura è fondata.

La Corte di Appello afferma che ambo le parti avevano “fatto pacificamente riferimento per fondarvi i rispettivi diritti” ad un atto del 1966, del quale ambedue avevano prodotto la nota di trascrizione (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata), e ritiene in tal modo assolta, attraverso l’interpretazione del predetto strumento, la prova della proprietà esclusiva del cavedio.

In tal modo, la Corte distrettuale non tiene conto del principio secondo cui la regola di attribuzione della proprietà prevista dall’art. 1117 c.c. per i beni ivi elencati, tra cui rientrano anche i cortili, può esser vinta soltanto mediante la prova certa:

(1) che il bene non sia mai stato di proprietà comune, da fornire a cura del soggetto interessato mediante la produzione di un titolo anteriore all’insorgenza del condominio;

(2) ovvero che lo stesso sia stato acquistato per usucapione.

Sul punto, va inoltre considerato che i rapporti tra proprietà individuale e proprietà condominiale sono regolati dal principio secondo cui: “In tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 c.c. non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne affermi la proprietà esclusiva darne la prova” (Cass. Sez. 2 , Ordinanza n. 20593 del 07/08/2018 , Rv. 650001; conf. Cass. Sez. 2 , Sentenza n. 11195 del 07/05/2010 , Rv. 613094).

Nell’ambito del predetto rapporto, alcun rilievo assume la circostanza che un determinato spazio, comunque condominiale in funzione della sua natura e destinazione di fatto, non sia stato indicato nel regolamento dell’ente di gestione.

Infatti “La presunzione legale di condominialità stabilita per i beni elencati nell’art. 1117 c.c., la cui elencazione non è tassativa, deriva sia dall’attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune, con la conseguenza che, per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la proprietà esclusiva ha l’onere di fornire la prova di tale diritto; a tal fine, è necessario un titolo d’acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre non sono determinanti le risultanze del regolamento di condominio, né l’inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino” (Cass. Sez. 2 , Sentenza n. 5633 del18/04/2002 , Rv. 553833; cfr. anche Cass. Sez. 2 , Sentenza n. 8152 del 15/06/2001 , Rv. 547520, che esclude la natura decisiva dei dati catastali, dotati di mera valenza indiziaria).

Né vi è dubbio sul fatto che il cavedio rientri nel novero dei beni comuni di cui all’art. 1117 c.c., posto l’ulteriore principio, che pure merita di essere ribadito, secondo cui “Il cavedio –talora denominato chiostrina, vanella o pozzo luce– è un cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai muri perimetrali e dalle fondamenta dell’edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali secondari (quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi), e perciò sottoposto al medesimo regime giuridico del cortile, espressamente contemplato dall’art. 1117, n. 1 c.c. tra i beni comuni, salvo specifico titolo contrario” (Cass. Sez. 2 , Sentenza n. 4350del 07/04/2000 , Rv. 535405; conf. Cass. Sez. 2 , Sentenza n. 17556 del 01/08/2014 , Rv. 631830).

Non rileva, a contrario, il fatto che al cortile, o cavedio, si possa accedere solo tramite una proprietà individuale (Cass. Sez. 2 , Ordinanza n. 23316 del 23/10/2020, Rv.659381), poiché ai fini dell’esclusione della regola attributiva della proprietà di cui all’art. 1117 c.c. occorre la prova che la res, per le sue caratteristiche strutturali, risulti destinata al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24189 del 08/09/2021 , Rv. 662169).

Nel caso di specie, peraltro, dalla produzione allegata al ricorso risulta che il Condominio si è costituito con delibera del 30.10.1965, anteriore, quindi, allo strumento del 1966 indicato nella sentenza impugnata.

L’accoglimento della prima censura determina l’assorbimento delle altre, con le quali la ricorrente lamenta, rispettivamente:

a) la violazione degli artt. 342, 345 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte barese non avrebbe considerato le istanze istruttorie formulate dal Condominio in prime cure, che erano state riproposte anche in appello, e non avrebbe dunque consentito di fornire la prova della natura condominiale dell’area di cui è causa (secondo motivo);

b) la violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di merito avrebbe travisato il senso delle prove allegate agli atti, con particolare riferimento al contenuto della nota di trascrizione del 1966, indicata in sentenza, riferita ad un atto al quale era allegata planimetria descrittiva dell’immobile, la quale escludeva che la proprietà del cavedio fosse stata acquistata dalla (OMISSIS) (terzo motivo);

c) la ricorrente lamenta l’omesso esame dei documenti indicati in appello, ritenuti rilevanti ai fini della decisione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (quarto motivo).

In definitiva, va accolto il primo motivo del ricorso, mentre vanno dichiarati assorbiti gli altri.

La sentenza impugnata va di conseguenza cassata, nei limiti della censura accolta, e la causa rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Bari, in differente composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri.

Cassa la sentenza impugnata nei limiti della censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Bari, in differente composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Suprema Corte di cassazione, in data 25 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

(1)