REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill,mi Sigg.ri Magistrati
MARIO BERTUZZI Presidente
RICCARDO GUIDA Consigliere
VALERIA PIRANI Consigliere
CRISTINA AMATO Consigliere – Rel.
REMO CAPONI Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30599/2021 R.G. proposto da:
MINISTERO ECONOMIA FINANZE, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI, N. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
-ricorrente–
contro
BANCA INTESA SAN PAOLO S.P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (omissis) 47, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (omissis) (omissis);
-controricorrente–
nonchè contro
(omissis) (omissis), elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE (omissis), N.140, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (omissis) (omissis);
-controricorrente–
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 3408/2021 depositata il 06/05/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2024dal Consigliere dott.ssa CRISTINA AMATO.
RILEVATO CHE:
1. Banca Intesa Sanpaolo s.p.a. e (omissis) (omissis) (in quanto responsabile di filiale nel periodo in cui le violazioni oggetto di causa si erano verificate: 02.10.2006/11.10.2006), con disgiunti ricorsi successivamente riuniti, proponevano opposizione ex art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 innanzi al Tribunale di Roma nei confronti dell’ordinanza-ingiunzione n. 400497, emessa il 22.09.2016, con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze (‘MEF’) irrogava nei confronti dei due opponenti la sanzione amministrativa pecuniaria di €. 41.350,00 (da corrispondersi in solido limitatamente ad €.37.350,00), per non aver segnalato, in violazione dell’art. 3 della legge n.197/1991 e successive integrazioni e modificazioni, le operazioni finanziarie sospette eseguite dalla società (omissis) Immobiliare s.r.l. ((omissis)) , per un importo complessivo di €. 413.500,00.
1.1. Con sentenza n.1697/2018 il Tribunale di Roma accoglieva le opposizioni ritenendo giustificata l’operazione economica lecita ai fini della quale le operazioni sospette erano state poste in essere.
Più precisamente, spiegava il Tribunale che tali operazioni sospette erano rappresentate dai versamenti in danaro contante effettuati dai soci di (omissis) a titolo infruttifero sul conto corrente della società, necessari per finanziare un’operazione di leasing immobiliare.
Effettuati i versamenti, le somme venivano trasferite con bonifici bancari dalla società al promittente venditore di un immobile, a titolo di anticipo sul prezzo di acquisto, e venivano infine restituite ai soci a seguito dell’erogazione del prezzo totale di vendita (pari ad €. 2.500.000,00) da parte della società di Intesa Leasing s.p.a. (Gruppo Intesa), che acquistava l’immobile al fine di concederlo in leasing alla (omissis).
2. Il MEF impugnava la pronuncia suddetta innanzi alla Corte d’Appello di Roma che, con sentenza n. 3408/2021 rigettava integralmente il gravame osservando che:
– l’appello è inammissibile ex art. 342 cod. proc. civ., in quanto è caratterizzato da una sostanziale reiterazione degli originali assunti e, in particolare, non censura adeguatamente la decisiva ratio decidendi contenuta nella pronuncia impugnata, che ha posto in risalto la natura del tutto lecita sia dell’operazione cui le singole movimentazioni erano finalizzate, sia delle modalità di esecuzione secondo una valutazione complessiva dell’intero quadro fattuale, limitandosi a richiamare il mancato rispetto del c.d. « Decalogo della Banca d’Italia » in modo avulso dalla fattispecie concreta;
– in ogni caso, la Corte territoriale condivide e fa propria la motivazione della sentenza impugnata: laddove le operazioni di versamento in contante a favore della società B B siano state effettuate in modo lecito, gli indici di anomalia (che hanno pur sempre una valenza presuntiva di regolarità) vengono superati dall’accertamento in concreto anche ex post sulla legittimità e congruità delle operazioni sul piano oggettivo e sul piano soggettivo, e sulla funzione delle stesse, specie laddove il tutto sia avvenuto, come nel caso in esame, in un arco temporale brevissimo che consente alla banca di apprezzare funditus la natura non sospetta delle movimentazioni.
3. La pronuncia della Corte d’Appello veniva impugnata dal MEF per la cassazione, e il ricorso affidato a tre motivi.
Resistevano con separati ricorsi Banca Intesa Sanpaolo s.p.a. e (omissis) (omissis).
In prossimità dell’adunanza entrambi i controricorrenti depositavano memorie.
RILEVATO CHE:
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ. e, per quanto possa occorrere, dell’art. 434 cod. proc. civ., in combinato disposto tra loro, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.
Il mezzo censura la sentenza impugnata in quanto la richiesta di appello non ha avuto ad oggetto la liceità dell’operazione a valle, ma la totale omissione a monte dell’accertamento della provenienza dei fondi utilizzati dal cliente che, proprio perché non tracciati, avrebbero potuto rivestire natura illecita connotando di illiceità anche i successivi passaggi in chiaro del denaro.
1.1. Il primo motivo (da esaminarsi congiuntamente al terzo) è fondato.
Il ricorrente riporta – in omaggio al principio di specificità – passaggi dell’atto di appello dai quali si evince inequivocabilmente che il MEF aveva impugnato la pronuncia di prime cure lamentando la mancata acquisizione di informazioni da parte della (omissis) sull’origine dei fondi utilizzati nell’operazione cui le singole movimentazioni in danaro contante erano finalizzate: condotta ritenuta contrastante con quanto richiesto dalla finalità preventiva della normativa antiriciclaggio (v. ricorso, p.7, righi 17-36; p. 8, righi 1-27).
Del resto, non può considerarsi aspecifico, e deve quindi essere considerato ammissibile, il motivo di appello che esponga il punto sottoposto a riesame, in fatto ed in diritto, in modo tale che il giudice sia messo in condizione di cogliere natura, portata e senso della critica. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, stabilito che gli artt.342 e 434 cod. proc. civ. (nel testo riformulato dal decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134) vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, escludendosi che l’atto di appello debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado (Cass. Sez. U., 16.11.2017, n. 27199; più di recente: Cass. 6-3 civ., 17.12.2021, n. 40560).
1.2. Nel caso di specie, dal raffronto tra la motivazione del provvedimento appellato e la formulazione dell’atto di appello puntualmente riportata nel presente ricorso, emerge che il ricorrente aveva contrastato, argomentandole, le ragioni addotte dal giudice di prime cure, offrendo alla Corte territoriale un percorso logico alternativo rispetto a quello seguito dal giudice di prime cure (Cass. n. 18134 del 2020), ossia la necessità di un ulteriore approfondimento al fine di acquisire informazioni utili sull’origine della disponibilità del denaro poi versato in contanti.
2. Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 41 d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, e delle «Istruzioni operative per l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio» (c.d. Decalogo della Banca d’Italia), in combinato disposto tra loro, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Il ricorrente lamenta due diversi profili di violazione dell’art. 3 legge n. 197 del 1991 e dell’art. 41 d.lgs. n. 231/2007.
a) Innanzitutto, non sarebbero state adeguatamente valutate le diverse criticità presenti con riferimento alla dubbia provenienza del denaro contante utilizzato per le operazioni descritte (anche se lecite), in difformità alla finalità non afflittiva ma cautelare e general- preventiva degli obblighi antiriciclaggio prescritti nella normativa menzionata (v. anche art. 5, comma 2, d.lgs. n. 231/2007). Del resto, precisa il ricorso, la segnalazione non è di per sé finalizzata a denunciare i fatti illeciti, ma è concepita come comunicazione utile ad innescare eventuali ed ulteriori indagini, in un’ottica di gestione del rischio.
b) Inoltre, prosegue il ricorrente, deve essere confutato quanto sostenuto dalla Corte d’Appello secondo cui la presunzione di irregolarità dell’operatività derivante dalla presenza degli indici di anomalia dettati dal decalogo della Banca d’Italia sarebbe superabile con l’accertamento della legittimità e congruità delle operazioni poste a valle; secondo il ricorrente, invece, per superare la valenza presuntiva di irregolarità degli indici citati la (omissis) avrebbe dovuto verificare la compatibilità e giustificabilità dell’origine dei fondi utilizzati per compiere le movimentazioni in discussione, piuttosto che la liceità dell’operazione finale.
2.1. Anche il secondo motivo è fondato.
2.2. Si deve, innanzitutto, mettere in rilievo il fatto che il giudice distrettuale, nonostante la declaratoria di inammissibilità dell’appello, abbia poi deciso nel merito delle doglianze sollevate dal ricorrente.
In tali situazioni, questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 3840 del 20/02/2007, Rv. 595555 – 01) ha stabilito che qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente , è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata.
Tuttavia, è stato altresì precisato che ove ricorra la situazione contraria, in cui il rilievo in motivazione, da parte del giudice di appello, dell’inammissibilità dell’impugnazione sia avvenuto ad abundantiam e costituisca un mero obiter dictum che non ha influito sul dispositivo della decisione, la cui ratio decidendi sia, in realtà, rappresentata dal rigetto nel merito del gravame per infondatezza delle censure, è ammissibile l’impugnazione di entrambi i capi della sentenza di inammissibilità e di infondatezza (argomento da Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7995 del 11/03/2022).
Nel caso che ci occupa, che l’inammissibilità dell’appello sia un obiter si deduce dal fatto che la stessa Corte d’Appello ritiene il mezzo di gravame limitato al richiamo del rispetto del Decalogo della Banca d’Italia; Decalogo che, come si dirà innanzi, è appunto alla base nell’argomentazione sull’infondatezza cui la Corte territoriale ha dedicato il secondo capo della motivazione.
2.3. Tanto precisato, il motivo è fondato sotto entrambi i profili sollevati, con la precisazione che la normativa cui si farà riferimento nel caso di specie deve essere limitata alla legge 5 luglio 1991, n. 197 (e successive modifiche e integrazioni), atteso che i fatti di causa cui si riferisce il decreto sanzionatorio sono circoscritti al periodo 01.10.2006/11.10.2006 (come peraltro evidenziato da Banca Intesa San Paolo s.p.a. nel controricorso, p. 17, 1° capoverso), epoca in cui la legge 21 novembre 2007, n. 231 non era ancora stata promulgata.
a) Lo scopo cui tende la normativa in esame è quello di contrastare i fenomeni criminali, limitando l’uso del denaro contante (e dei titoli al portatore) nelle transazioni, prevenendo «l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio»; a tal fine, il legislatore (cfr. D.L. 3 maggio 1991, n. 143, recante provvedimenti urgenti per limitare l’uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l’utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio, conv. con modif. dalla legge 5 luglio 1991, n. 197; nonché il d.lgs. 26 maggio 1997, n. 153: Integrazione dell’attuazione della direttiva 91/308/CEE in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita) intende reprimere alcune condotte di pericolo, fra le quali quelle operazioni che «per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza…induca(no) a ritenere» la possibile provenienza di denaro, beni o utilità, oggetto di dette operazioni, da taluno dei reati contemplati dagli artt. 648-bis e 648-ter cod. pen. (art. 3 , comma 1, D.L.n. 143del 1991 vigente ratione temporis, come modificato dall’art. 1 d.lgs. n. 153 del 1997).
E’ opportuno, altresì, sottolineare che, tenuto a segnalare simili operazioni è «il responsabile della dipendenza» (la (omissis), nel caso di specie), il quale ne riferisce al «titolare dell’attività»; quest’ultimo «esamina le segnalazioni pervenutegli e qualora le ritenga fondate tenendo conto dell’insieme degli elementi a sua disposizione, le trasmette senza ritardo, ove possibile prima di eseguire l’operazione, anche in via informatica e telematica, all’Ufficio Italiano dei Cambi senza alcuna indicazione dei nominativi dei segnalanti” (art. 3 cit., comma 2).
La legge prevede, dunque, un duplice obbligo di segnalazione (cfr. Cass. n. 25134/2008), ugualmente sanzionato dal D.L. n. 143 del 1991, art. 5, comma 5: da parte del responsabile della dipendenza al titolare dell’attività, ossia all’organo direttivo della banca (art. 3, comma 1), e da parte di quest’ultimo all’UIC (art. 3, comma 2). E’ del tutto evidente che il potere di valutare le segnalazioni e di trasmetterle solo se le ritenga fondate, in base all’insieme degli elementi a disposizione, spetta solo al titolare dell’attività; mentre il responsabile della dipendenza ha un margine di discrezionalità più ridotto (come si avrà modo di chiarire più avanti), dovendo segnalare al suo superiore «ogni» operazione che lo « induca a ritenere » che l’oggetto di essa «possa provenire« » da reati attinenti al riciclaggio (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 20647 del 08/08/2018, Rv. 650003 -01).
b) Il motivo è, altresì, fondato nella parte in cui segnala un’inversione logica operata dalla Corte d’Appello, laddove essa deduce ex post dalla liceità della complessa operazione di leasing immobiliare la liceità delle singole operazioni che la realizzano (v. sentenza p. 3, 5° capoverso).
Oltre a quanto argomentato in tema di funzione general- preventiva delle disposizioni in esame, come precisato da questa Corte (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23017 del 30/10/2009, Rv. 610701 – 01 ), ai fini dell’applicazione dell’art. 3 D.L. n. 143 del 1991 più volte citato, il responsabile della dipendenza deve controllare che sussistano elementi tali da far ritenere sospetta l’operazione intesa nella sua globalità, a partire dalle operazioni prodromiche costituite, nel caso che ci occupa, dai versamenti in danaro contante.
Si tratta di elementi essenzialmente oggettivi stabiliti dalla stessa legge -caratteristiche, entità, natura o «qualsivoglia altra circostanza» oggettivamente significativa – o ulteriormente specificati dalla Banca d’Italia.
In relazione agli elementi riferibili al cliente, si è quindi evidenziato che affinché una pluralità di operazioni debba essere segnalata è necessario che le medesime non siano giustificate dall’attività svolta da parte della stessa persona, che nel caso di specie sono i soci finanziatori, non già la società (omissis).
Inoltre, ad esonerare dalla segnalazione non può essere ritenuta sufficiente la mera conoscenza dei soggetti coinvolti, occorrendo invece riscontrare –oltre all’effettiva cognizione della capacità economica del soggetto coinvolto – anche e soprattutto la provenienza del denaro utilizzato.
2.3.1. In sintesi, il responsabile della dipendenza bancaria è tenuto a compiere un’ampia ed approfondita valutazione che gli impone, in presenza di elementi che denotano l’anomalia dell’operazione, un approfondimento la cui omissione non può essere giustificata dal richiamo alla conoscenza personale del soggetto che l’ha posta in essere, ma deve estendersi alla provenienza del danaro, oltre che all’effettiva qualità e capacità economica dell’autore della/delle operazioni.
Al fine di ridurre i margini di incertezza connessi con valutazioni soggettive o con comportamenti discrezionali ed evitare forme di «arbitraggio normativo dirette a eludere gli obblighi di legge», e per assicurare la «omogeneità di comportamento del personale degli intermediari», la Banca d’Italia ha emanato «Istruzioni operative per l’individuazione delle operazioni sospette di riciclaggio» (c.d. Decalogo, 12.01.2001).
Con tali Istruzioni l’Istituto di vigilanza ha introdotto, tra l’altro, una casistica esemplificativa delle anomalie attinenti alla forma oggettiva delle operazioni bancarie, in esse ricomprendendo anche l’insieme di movimentazioni tra loro funzionalmente ed economicamente collegate, in presenza delle quali operazioni pur di per sé neutre, potendo dissimulare una attività di riciclaggio, vanno rapportate alla capacità economica od all’attività del cliente, ed impongono all’operatore dell’intermediario l’effettuazione di specifiche indagini per valutare, in base alle altre notizie di cui dispone in virtù delle propria attività, la loro effettiva natura sostanziale.
Detta valutazione, anche se costituisce il risultato di un apprezzamento soggettivo, deve avere natura impersonale, come evidenziato dalla necessità e sufficienza che essa «induca a ritenere.., che il denaro, i beni o le utilità.., possano provenire» da delitto e, conseguentemente, la nozione di sospetto, nel quale essa si deve concretizzare per imporre l’adempimento all’obbligo di segnalazione dell’operazione, va individuata tenendo conto che la segnalazione ha la funzione di mero filtro, attraverso il quale l’Ufficio Italiano dei Cambi esercita sul fatto un’ulteriore attività di approfondimento, che può concludersi anche con un’archiviazione in via amministrativa.
Pertanto, e con specifico riferimento ai soggetti di cui al primo comma dell’art. 3 della legge n. 197/1991, si è affermato (cfr. Cass. n. 23017del 2009, cit.) che, poiché il potere di valutare le segnalazioni e (se le ritenga fondate) di trasmetterle spetta solo al «titolare dell’attività» (ossia all’organo direttivo della banca), il «responsabile della dipendenza» deve segnalare al suo superiore ogni operazione che lo induca a ritenere che l’oggetto di essa possa provenire da reati attinenti al riciclaggio, sulla base di elementi oggettivi riferibili all’operazione stessa o alla capacità economica e all’attività del cliente.
La segnalazione delle operazioni non è, quindi , subordinata alla evidenziazione dalle indagini preliminari dell’operatore e degli intermediari di un quadro indiziario di riciclaggio, e neppure alle esclusioni in base a un loro personale convincimento della estraneità delle operazioni a una attività delittuosa, ma si fonda su di un giudizio obiettivo sulla idoneità di esse, valutati gli elementi oggettivi e soggettivi che la caratterizzano, a essere strumento di elusione delle disposizioni dirette a prevenire e punire l’attività di riciclaggio (Cass. n. 20647 del 2018, cit.; conf. Cass. n. 9089/2007; Cass. n. 8699/2007).
2.4. Il giudice territoriale –citando la ratio della sentenza di prime cure -pone in risalto la natura del tutto lecita sia dell’operazione cui le singole movimentazioni erano finalizzate (ossia la complessa operazione di leasing immobiliare), sia delle modalità di esecuzione secondo una valutazione complessiva dell’intero quadro fattuale.
Quindi, è erroneamente pervenuta al suo convincimento in base ad una valutazione ex post della liceità dell’operazione a valle, limitando l’indagine sulla liceità delle operazioni a monte (versamenti in contante) alla sola funzione di tali operazioni (anticipare l’acconto in attesa del finanziamento di Banca Intesa) e al fatto che si siano svolte in un breve arco temporale, senza invece approfondire – come sopra argomentato –tutte le condizioni soggettive ed oggettive che possano spiegare la disponibilità del danaro contante versato.
2.4.1. La sentenza, pertanto, merita di essere cassata. Spetterà al giudice del rinvio effettuare compiutamente tali indagini oggettive sulle operazioni sospette, nei termini sopra indicati.
3. Con il terzo motivo si deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.
La censura ripropone i medesimi profili di cui al primo mezzo di gravame, ritenendo la sentenza di primo grado nulla alla stregua del diverso profilo della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. Valgono, pertanto, le argomentazioni di cui supra, punto 1.1.
4. Il Collegio cassa la sentenza impugnata e rinvia alla medesima Corte d’Appello in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della Corte di cassazione in data 17/04:2024.
Depositato in Cancelleria l’11 settembre 2024.