Domanda di condono edilizio, giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civile, Sentenza 12 novembre 2021, n. 33851).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34577-2018 proposto da:

COMUNE DI SAN VINCENZO VALLE ROVETO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) GIUSEPPE, (OMISSIS) PAOLINA MARIA, elettivamente domiciliati in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ELISABETTA (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1953/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 26/10/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/10/2021 dal Consigliere, Dott.ssa CHIARA GRAZIOSI.

RITENUTO CHE

Con atto di citazione notificato il 26 ottobre 2007 Giuseppe (OMISSIS) e Maria Paolina (OMISSIS) convenivano davanti al Tribunale di Avezzano il Comune di San Vincenzo Valle Roveto, chiedendo il risarcimento nella misura di C 300.000 o diversa somma di giustizia dei danni che sarebbero loro derivati dall’illegittimo comportamento omissivo del Comune.

Esponevano di avere presentato il 26 ottobre 1994 al suddetto Comune domanda di condono per sei autorimesse ed una cantina che avrebbero nel suo territorio edificate nell’anno 1988, e di avere allo scopo versato al Comune la prevista oblazione di Lire 8.072.000.

Avendo il Comune richiesto, tra l’altro, una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà indicante l’anno di costruzione, Giuseppe (OMISSIS) rendeva la dichiarazione dinanzi all’Ufficiale dell’Anagrafe del Comune stesso, indicando come anno dell’abuso il 1988.

Il Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune con provvedimento del 29 marzo 1999 rigettava la domanda di sanatoria, ravvisando contrasto con gli articoli 40, primo comma, I. 47/1985 e 39, quarto comma, I. 724/1994, reputando emergente dalla domanda dolosamente e falsamente la costruzione avvenuta nel 1983, mentre da tutti gli atti a disposizione del Comune risultava avvenuta nel 1988; rilevava altresì che nella dichiarazione sostitutiva di notorietà l’anno 1988 era stato sostituito con il 1983, per cui il provvedimento veniva trasmesso alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Avezzano, che poi rinviava a giudizio Giuseppe (OMISSIS) per il reato di falso.

Il Tribunale, però, con sentenza n. 865/2002, divenuta irrevocabile, lo assolveva per insussistenza del fatto.

A questo punto Giuseppe (OMISSIS) e Paolina Maria (OMISSIS) chiedevano al Comune mediante due raccomandate, rispettivamente del 15 ottobre 2002 e del 2 ottobre 2003, il riesame della domanda di condono, inviando pure una formale diffida in tal senso notificatagli il 10 dicembre 2004; e sempre il 10 dicembre 2004 proponevano comunque ulteriore istanza di condono, in riferimento al d.l. 269/2003 – poi convertito con modifiche in l. 326/2003 -, versando ulteriore oblazione di Euro 9623,64.

Lamentavano quindi che il Comune non aveva dato alcun riscontro in ordine a entrambe le istanze, sostenendo che tale condotta antigiuridica aveva loro causato danni di natura patrimoniale e di natura esistenziale.

Il Comune si costituiva, eccependo la giurisdizione amministrativa e comunque negando la fondatezza della domanda.

Il Tribunale, con sentenza non definitiva n. 86/2010, decidendo sull’eccezione suddetta, dichiarava la propria “competenza”, disponendo la prosecuzione del giudizio con separata ordinanza.

Il Comune proponeva immediato appello avverso tale sentenza; gli appellati resistevano.

La Corte d’appello di L’Aquila, con sentenza del 26 ottobre 2017, rigettava l’appello, confermando la giurisdizione ordinaria.

Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il Comune sulla base di un unico motivo.

Si sono difesi con controricorso Giuseppe (OMISSIS) e Paolina Maria (OMISSIS).

Il Comune ricorrente ha depositato anche memoria, nonché nota spese per il grado d’appello e la presente fase di legittimità.

Con ordinanza interlocutoria del 7 maggio 2021 la Terza Sezione Civile di questa Suprema Corte ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per le valutazioni di sua spettanza.

Rilevato che il ricorso per cassazione non è soggetto al divieto di impugnazione immediata ex articolo 360, terzo comma c.p.c., l’ordinanza ha dato atto comunque che il motivo di ricorso concerne una questione di giurisdizione la quale, ai sensi dell’articolo 374, primo comma, c.p.c., deve essere decisa dalle Sezioni Unite, “salvo diversa determinazione del Primo Presidente”.

La causa è stata rimessa a queste Sezioni Unite.

CONSIDERATO CHE

1. L’unico motivo del ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 34, commi primo e secondo, e dell’articolo 35, commi primo e secondo, d.lgs. 80/1998 come novellati dall’articolo 7, lettere b) e c), I. 205/2005, in relazione all’articolo 360, primo comma, n.1 c.p.c.

Per ben comprenderlo, è opportuno anzitutto riassumere la motivazione della sentenza impugnata.

1.1 In particolare, per quanto qui interessa, la corte territoriale rileva che l’appellante sosteneva che la domanda attorea fosse fondata su una pretesa lesione di interessi legittimi e, in particolare, che il comportamento omissivo denunciato dagli appellati fosse fondato e collegato “nell’esercizio di un pubblico potere (rilascio o diniego di concessione sanatoria)”, desumendone l’appellante violazione degli articoli 34, primo e secondo comma, e 35, primo e secondo comma, d.lgs. 80/1998, come sostituiti rispettivamente dall’articolo 7, lettera b) e lettera c), I. 205/2000.

Il giudice d’appello al riguardo prende le mosse dalla nota sentenza n. 204/2004 della Consulta – che aveva dichiarato illegittimi gli articoli 33, primo e secondo comma, e 34 d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80, nel testo novellato dall’articolo 7 I. 21 luglio 2000 n. 205 – sostanzialmente estraendo dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo i meri comportamenti non qualificabili come espressione di pubblico potere, non essendo affatto collegati, neppure in via mediata, con il suo esercizio (si richiama pure la successiva sentenza 191/2006 del giudice delle leggi) -, collegandovi giurisprudenza di questa Suprema Corte (in particolare, S.U. 29 dicembre 2016 n. 27455) per identificare la fattispecie del comportamento – omissivo – non manifestate pubblico potere, e concludendo, subito dopo aver percorso un ampio stralcio di tale arresto, con questa sintetica affermazione: “Pertanto il comportamento omissivo tenuto dal Comune appellante rientra in quella sfera di atteggiamenti della P.A. che concretano un comportamento materiale astrattamente sussumibile nell’illecito aquiliano che è di esclusivo giudizio del giudice ordinario”.

1.2 L’unico motivo, allora, subito dopo avere riportata la motivazione pertinente offerta dal giudice d’appello (pagine 7-8 della sentenza), qualifica detta motivazione “palesemente errata”, la fattispecie di S.U. 27455/2016 essendo “del tutto diversa” dall’oggetto di questo giudizio, in quanto relativa ad una domanda risarcitoria per i danni derivati da una omissione della pubblica amministrazione non collegata ad alcun atto amministrativo e anzi in contrasto con le sue determinazioni.

Al contrario, nel caso in esame, il comportamento omissivo dovrebbe ritenersi “collegato all’esercizio di un pubblico potere”.

1.3 In particolare, si rileva – in primo luogo – che, quanto alla istanza di riesame in autotutela del diniego della prima domanda di condono, la giurisprudenza amministrativa insegna che i provvedimenti di autotutela costituiscono esercizio di un potere del tutto discrezionale, per cui il privato può solo sollecitare tale esercizio senza che la pubblica amministrazione abbia obbligo neppure di rispondere.

D’altronde, diversamente dovrebbe ritenersi “conculcata la condizione di inoppugnabilità del provvedimento amministrativo che non sia stato contestato nei modi ed entro i termini di legge”.

Nel caso in esame in effetti non vi sarebbe stata “alcuna ragione che avrebbe potuto imporre al Comune di rimuovere il provvedimento di diniego”, la stessa sentenza penale assolutoria del Tribunale di Avezzano avendo del resto rilevato nella motivazione: “Le risultanze dell’istruttoria dibattimentale … nulla hanno chiarito circa la provenienza del documento, ictu oculi alterato, prodotto dal PM”.

Non sarebbe neppure ipoteticamente ravvisabile, sempre nel caso in esame, un illecito ex articolo 2043 c.c. da parte del Comune per avere penalmente denunciato Giuseppe (OMISSIS): tale illecito potrebbe verificarsi esclusivamente “nei casi di calunnia o di simulazione di reato, palesemente non ravvisabili nella fattispecie”, subentrando e sovrapponendosi all’iniziativa altrui, infatti, “l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale”.

1.4 In secondo luogo, in relazione alla seconda domanda dei Colone – quella relativa al condono del 2003 – osserva il ricorrente che l’articolo 32, comma 37, d.l. 269/2003 convertito in I. 326/2003, “prevede sostanzialmente che il Comune, nell’esercizio del suo pubblico relativo potere, possa legittimamente provvedere, alternativamente rispetto ad una decisione espressa, tramite il silenzio-assenso”, decorso il termine di ventiquattro mesi senza diniego.

1.5 In terzo luogo, rimarca il ricorrente che, “anche se si volesse ritenere che il Comune aveva comunque l’obbligo di emanare un provvedimento espresso di accoglimento o di diniego”, nel caso in esame il risarcimento dei danni deriverebbe dall’ “omesso esercizio di un pubblico potere autoritativo” della pubblica amministrazione in materia urbanistica ed edilizia, non costituente quindi un “mero comportamento”: pertanto sussisterebbe qui la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – al riguardo si richiamano ancora le sentenze nn. 204/2004 e 191/2006 della Corte Costituzionale nonché pronunce di queste Sezioni Unite successivamente emesse in tema -.

2. Va rilevato in primis che nel controricorso si argomenta per contrastare la censura di controparte anche con un asserto che non può non qualificarsi un inammissibile novum.

Si prospetta, infatti, che la domanda risarcitoria non si fonderebbe sull’esercizio di un pubblico potere del Comune, bensì su un “comportamento volutamente e scientemente omissivo dei suoi funzionari”, consistente nel non provvedere sull’istanza di riesame del provvedimento negativo nonostante l’assoluzione penale, a ciò aggiungendo che Giuseppe (OMISSIS) “ha lamentato di aver subito un danno esistenziale cagionato dall’aver dovuto subire un ingiusto processo”.

Peraltro, la domanda risarcitoria avanzata non appare attenere gli effetti di un ingiusto processo sull’imputato, bensì il danno che avrebbero subito entrambi gli attori per mancata concessione della sanatoria due volte richiesta.

3. Passando allora al diretto vaglio del ricorso, di quest’ultimo emerge una netta fondatezza.

Invero, quel che viene posto come fonte dei danni nell’atto di citazione concerne un comportamento omissivo del Comune che ha specifica correlazione con un potere pubblico, quello relativo al condono edilizio.

A prescindere infatti da quanto il ricorrente adduce in ordine al silenzio assenso che, se fossero stati adempiuti dall’istante tutti gli obblighi previsti dalla legge, avrebbe fornito un equivalente al condono nella fattispecie del 2003, quel che rileva è che, proprio come rimarca il ricorrente quale centro della sua censura, non si è dinanzi alla prospettazione, da parte degli attori, di un comportamento omissivo affatto correlato, neanche in via mediana, con un potere dell’ente pubblico, bensì, al contrario, alla prospettazione di una omissione direttamente relativa – se mai vi è stata – a detto potere.

Il petitum sostanziale perseguito dagli attori, attuali controricorrenti, costituisce dunque un interesse legittimo, del genere pretensivo, in relazione appunto all’applicazione di tale potere pubblico di cui si prospettano titolari i (OMISSIS).

In disparte allora l’ulteriore argomentazione svolta dal ricorrente in ordine alla sua discrezionalità di esercitare il potere di autotutela, il centro della questione rimane proprio la condotta omissiva denunciata dagli attori consistente nell’omesso rilascio del provvedimento sanatorio (per il primo condono omettendo revisione dell’originario espresso diniego, per il secondo mediante l’assenza di attività, a prescindere nella prospettazione attorea da quanto si è sopra già riportato a proposito della formazione del silenzio assenso), la quale condotta omissiva è strettamente correlata ad uno specifico potere, nel senso di costituire il rifiuto di esercitarlo.

Pertanto sussiste giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, alla luce della consolidata giurisprudenza di queste Sezioni Unite elaborata quale concreta applicazione dell’insegnamento della Consulta che ha preso le mosse dalla nota sentenza n. 204/2004 – escludendo quindi la giurisdizione esclusiva, a favore della giurisdizione invece ordinaria, unicamente qualora la pubblica amministrazione abbia posto in essere soltanto un comportamento di mero fatto perpetrato in carenza assoluta di potere (da ultimo tra gli arresti massimati v. S.U. ord. 8 luglio 2019 n. 18272 e S.U. ord. 7 dicembre 2016 n. 25044) o comunque non ricollegabile in alcun modo all’esercizio di un potere amministrativo (S.U. 19 febbraio 2007 n. 3723) e non quindi in caso di esercizio abusivo di poteri pubblici sussistenti (cfr., proprio in una fattispecie di urbanistica ed edilizia, S.U. ord. 14 febbraio 2011 n. 3569); inquadramento del riparto che è rimasto, si rileva per inciso, pure per le cause cui è applicabile il sopravvenuto codice del processo amministrativo (cfr. p. es ., a proposito dell’articolo 7 c.p.a., la recentissima S.U. ord. 29 luglio 2021 n. 21768).

4. Il ricorso risulta dunque fondato, per cui la sentenza deve essere cassata, dichiarandosi, ai sensi dell’articolo 382 c.p.c. la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, qui identificabile nel Tar Abruzzo.

5. I controricorrenti, in solido per il comune interesse processuale, devono essere condannati a rifondere le spese al ricorrente per il giudizio di appello e per il presente giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Accogliendo il ricorso cassa la sentenza impugnata e dichiara la giurisdizione amministrativa esclusiva;

condanna i controricorrenti in solido a rifondere al ricorrente le spese processuali, liquidate per il presente giudizio di legittimità in un totale di € 5000, oltre a € 200 per esborsi e agli accessori di legge, nonché per il giudizio di appello in un totale di € 5.000, oltre a € 400 per esborsi e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria, oggi 12 novembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.