GIORNALISTI – Accolto ricorso Inpgi su “ex fissa”, deve escludersi che la convenzione abbia a oggetto un contratto a favore di terzo (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 4 settembre 2023, n. 25651).

R E P U B B L I C A  I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

L A    C O R T E   S U P R E M A  D I    C A S S A Z I O N E

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott.  UMBERTO BERRINO         – Presidente –

Dott.  ROSSANA MANCINO         – Consigliere –

Dott. LUIGI CAVALLARO              – Consigliere –

Dott. ALESSANDRO GNANI         – Rel. Consigliere –

Dott. LUCA SOLAINI                     – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 28444-2019 proposto da:

ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI GIORNALISTI (omissis) I.N.P.G.I.-, in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in (omissis) presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) che rappresenta e difende;

-ricorrente-

contro

(omissis) in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (omissis) (omissis) (omissis) presso lo studio dell’Avvocato (omissis) (omissis) che la rappresenta e difende;

controricorrente

nonché contro

(omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in (omissis) presso lo studio dell’Avvocato (omissis) (omissis) che lo rappresenta e difende;

avverso la sentenza n. 648/19 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/04/2019 R.G.N. 1138/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/04/2023 dal Consigliere Dott. ALESSANDRO GNANI;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. STEFANO VISONA’ visto l’art. 23, comma 8 bis del  D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020 n. 176, ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

In riforma della pronuncia di primo grado, la Corte d’appello di Roma rigettava l’opposizione svolta dall’INPGI avverso un decreto ingiuntivo ottenuto dal giornalista (omissis) (omissis) avente ad oggetto il  pagamento dell’indennità “ex fissa” dovuta dal Fondo Integrativo istituito dal Contratto Nazionale di Lavoro Giornalistico (CNLG).

Premetteva la Corte che (omissis) (omissis) titolare di pensione di anzianità, aveva presentato domanda di liquidazione dell’indennità nel 2011, in forza degli accantonamenti individuali previsti secondo la disciplina del Fondo Integrativo.

La clausola della Convenzione e del Regolamento di disciplina del Fondo integrativo che autorizzava l’Inpgi a non erogare la prestazione in assenza di disponibilità finanziaria, secondo la Corte doveva interpretarsi restrittivamente, nel rispetto della regola della normale responsabilità patrimoniale di cui all’art.2740 c.c., e cioè nel senso che l’indisponibilità finanziaria andava rapportata al diritto di credito del  (omissis) non al monte delle prestazioni richieste complessivamente dagli iscritti al Fondo.

L’INPGI avrebbe dovuto dimostrare che, all’atto della domanda del giornalista, il Fondo non aveva la disponibilità finanziaria per corrispondere l’indennità chiesta.

Avverso la sentenza, INPGI ricorre per tre motivi, illustrati da memoria.

(omissis) (omissis) resiste con controricorso illustrato da memoria.

La (omissis) già intervenuta ad adiuvandum della domanda dell’INPGI, ha depositato controricorso adesivo al ricorso, illustrato da memoria.

In sede di camera di consiglio il collegio si riservava il termine di 90 giorni per il deposito della presente sentenza.

RAGIONI DELLA DECISIONE

I tre motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente poiché pongono un’unica questione.

Con essi si deduce rispettivamente:

violazione e falsa applicazione degli artt. 6 Convenzione 8.6.1994 e 9 e 11 del Regolamento per la disciplina delle prestazioni del Fondo integrativo, anche in relazione agli artt. 1321 ss. e 1362 c.c.;

violazione dell’art. 27 CNLG e relativo allegato G, anche in relazione agli artt.1362 e 1363 c.c.;

violazione e falsa applicazione dell’art.2697 c.c.

L’INPGI censura la sentenza per avere relazionato la disponibilità finanziaria del Fondo agli accantonamenti individuali del controricorrente e non a tutte le richieste di liquidazione pervenute al Fondo, secondo quando invece emergerebbe dall’art. 6, co. 5 della Convenzione 8.6.1994 e dal fatto che INPGI è organizzazione di categoria. Rispetto al Fondo, l’INPGI avrebbe il ruolo di mero gestore, non obbligato al pagamento della prestazione in caso di assenza di liquidità.

L’Istituto aveva poi dimostrato che, già dal 2011, il Fondo era nella impossibilità finanziaria di far fronte a tutte le richieste di prestazione “ex-fissa” presentate dagli iscritti.

Spettava al (omissis) dimostrare che, nell’evadere il monte delle domande in lista d’attesa, INPGI aveva preferito altri a sé.

I motivi sono fondati.

Va premesso che la prestazione per cui è causa non ha origine legale, bensì obbligatoria, trovando causa nell’accordo sindacale sottoscritto in data 8.6.1994 e richiamato dall’art. 27 CCNL per i dipendenti di imprese giornalistiche.

Tale accordo, a sua volta, ha ad oggetto una convenzione e un regolamento volti a disciplinare la prestazione previdenziale integrativa istituita in luogo della precedente indennità fissa corrisposta ai giornalisti alla cessazione del rapporto di lavoro: in essi si prevede la costituzione presso l’INPGI di una speciale gestione per la corresponsione delle prestazioni integrative (art. 1 convenzione), identificate nell'”accantonamento [.] di un capitale” pari “a sette mensilità di retribuzione, calcolata con i criteri di cui all’art. 2121 c.c. sulla retribuzione denunciata dall’azienda a fini contributivi nel mese antecedente la risoluzione del rapporto di lavoro” (artt. 3 e 4 convenzione, artt. 3 e 4 regolamento), che può essere corrisposto o nella forma di “un assegno vitalizio reversibile […] integrativo del trattamento di pensione corrisposto dall’INPGI”, oppure in forma di “capitale pari all’accantonamento effettuato […] rivalutato in base alla variazione intervenuta nell’indice del costo della vita” (art. 5 convenzione).

L’art. 6 della convenzione disciplina poi le modalità di finanziamento del Fondo e prevede, per quanto qui rileva, che esso sia alimentato da un contributo mensile a carico dei datori di lavoro (comma 1°), che “l’Ente gestore del Fondo” (ossia l’INPGI) debba “sorvegliare che la liquidità del Fondo sia adeguata alle necessità” (comma 2°), provvedendo se del caso ad “avviare immediata segnalazione agli Enti stipulanti la Convenzione” della “somma necessaria e [del]l’Ente o [de]gli Enti tenuti al reintegro” (comma 4°), nonché, da ultimo, che “qualora, esperita tale segnalazione, la reintegrazione della liquidità richiesta non avvenga nel termine di due mesi e l’Ente gestore fosse posto nell’impossibilità di provvedere al pagamento di eventuali richieste di liquidazione del capitale nel frattempo presentate dai giornalisti aventi diritto o da loro superstiti, il Fondo dovrà farsi carico del pagamento degli interessi, calcolati nella misura del 12% annuo, a decorrere dalla scadenza del termine di cui sopra” (comma 5°), rimanendo per contro “l’Istituto […] esonerato dall’obbligo di corrispondere le prestazioni in assenza della necessaria disponibilità finanziaria”, in ragione del “regime di completa autonomia del Fondo integrativo” (comma 7°).

Così ricostruita la disciplina contrattuale collettiva, risulta anzitutto evidente che il Fondo costituito presso l’INPGI per la corresponsione della prestazione previdenziale integrativa istituita in luogo della precedente indennità fissa deve considerarsi un autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici: esso infatti non si identifica con l’INPGI, che ne è solo “gestore” (“con contabilità separata” e con espressa previsione che “le spese di amministrazione sono addebitate al Fondo”: art. 9 della convenzione), ma costituisce soggetto giuridico autonomo di tipo associativo e con finalità mutualistiche, analogamente ai fondi previdenziali aziendali ex art. 2117 c.c. costituiti con apporto contributivo del datore di lavoro e dei lavoratori che non abbiano ottenuto la personalità giuridica (cfr. in tal senso Cass. nn. 2492 del 1982, 7755 del 2003, 25967 del 2017), con i quali indubbiamente condivide il carattere negoziale della fonte istitutiva, la formazione di un patrimonio autonomo in vista di uno scopo mutualistico e la predisposizione all’uopo di uno specifico ordinamento organizzativo.

In quest’ottica, se dev’essere logicamente escluso che i creditori personali dell’INPGI possano soddisfarsi sul patrimonio del Fondo, ostandovi la previsione dell’art. 2117 c.c., cit., risulta del pari evidente che la posizione specifica dell’INPGI rispetto alle obbligazioni assunte dal Fondo nei confronti degli iscritti è assimilabile a quella di un adiectus solutionis causa: l’Istituto è infatti incaricato dal Fondo di corrispondere agli iscritti le prestazioni nell’ambito (e nei limiti) della provvista costituita dai contributi versati nel patrimonio del Fondo, di talché la sua è propriamente un’obbligazione di facere che ha come destinatario il Fondo delegante, non già l’iscritto beneficiario della prestazione, nei cui confronti viceversa non assume alcuna obbligazione propria.

Lo si desume non soltanto dalla previsione dell’art. 6, ult. co., della convenzione, secondo cui “l’Istituto risulta esonerato dall’obbligo di corrispondere le prestazioni in assenza della necessaria disponibilità finanziaria”, ma soprattutto dalla previsione del comma precedente, secondo cui la mancata reintegrazione della liquidità nel termine di due mesi dalla richiesta, cui sia seguita l’impossibilità dell’INPGI di provvedere al pagamento delle prestazioni richieste dagli iscritti aventi diritto, obbliga “il Fondo” (e non l’INPGI, appunto) al pagamento degli interessi.

Sotto questo profilo, deve escludersi che la convenzione abbia ad oggetto un contratto a favore di terzo nell’ambito del quale l’INPGI figurerebbe come promittente: promittente (e obbligato) è semmai il Fondo, mentre l’INPGI è semplicemente delegato al pagamento della prestazione cui ha diritto l’iscritto, secondo le previsioni del Fondo stesso.

E ciò, dal canto suo, esclude che la previsione dell’art. 6, ult. co., della convenzione cit., possa sospettarsi d’illiceità per contrasto con l’art. 1229 c.c.: non rispondendo l’INPGI in proprio dei debiti del Fondo, è evidente che la clausola in questione non può in alcun modo costituire una ipotesi di limitazione preventiva della responsabilità del debitore per dolo o colpa grave.

In secondo luogo, la disciplina collettiva dianzi ricordata avvalora la conclusione secondo cui il funzionamento del Fondo avviene col sistema a ripartizione: oggetto della promessa del Fondo non è infatti l’incremento patrimoniale del valore dei contributi versati per ciascun lavoratore iscritto, come accade nei sistemi a capitalizzazione individuale, bensì una prestazione definita, costituita da un valore capitale pari “a sette mensilità di retribuzione, calcolata con i criteri di cui all’art. 2121 c.c. sulla retribuzione denunciata dall’azienda a fini contributivi nel mese antecedente la risoluzione del rapporto di lavoro” (artt. 3 e 4 convenzione, artt. 3 e 4 regolamento), che può essere corrisposta o nella forma di assegno vitalizio reversibile oppure in forma di capitale rivalutato in base alla variazione intervenuta nell’indice del costo della vita; ed è evidente che, essendo la prestazione del tutto sganciata dal valore e dal rendimento dei contributi versati, la funzione di questi ultimi non può che risiedere nella costituzione della provvista con cui provvedere al pagamento delle prestazioni correnti, come peraltro si desume chiaramente dalle previsioni, dianzi richiamate, dei commi 2°, 4° e 5° dell’art. 6 della convenzione, che fanno carico all’INPGI di vigilare sull’adeguatezza della provvista rispetto agli impegni in scadenza e di avvertire, in caso contrario, i soggetti tenuti al suo reintegro.

Non vale, in contrario, parlare di diritto di ogni iscritto ad un “accantonamento”, come invece opinato dalla sentenza impugnata: premesso, in termini generali, che, in materia di contrattazione collettiva, al fine di ricostruire la comune intenzione delle parti contrattuali, non può essere attribuita rilevanza esclusiva al senso letterale delle parole, dovendo piuttosto assegnarsi preminente rilievo al canone interpretativo dettato dall’art. 1363 c.c., secondo cui le clausole s’interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto (così, da ult., Cass. n. 2996 del 2023, sulla scorta di numerosissime precedenti conformi), milita in senso radicalmente contrario rispetto all’ipotesi del fondo a capitalizzazione di accantonamenti individuali la previsione contrattuale secondo cui il Fondo è obbligato a corrispondere a ciascun iscritto soltanto una prestazione definita, calcolata secondo modalità che prescindono totalmente sia dall’ammontare dei contributi versati che dal rendimento di questi ultimi.

Né potrebbe configurarsi in alcun modo un diritto degli iscritti a ricevere, in alternativa o in subordine, l’ammontare dei contributi versati in loro favore, prevedendo l’art. 2123 c.c. che tale liquidazione possa aver luogo soltanto quando i fondi di previdenza siano formati “con il contributo dei prestatori di lavoro”, ciò che nella specie è escluso dall’art. 6, comma 1°, della convenzione più volte cit.-

Tanto premesso, dovendosi escludere un diritto di redito di (omissis) nei confronti dell’INPGI e quindi anche l’applicabilità dell’art. 2740 nei confronti dell’ente, incaricato dal Fondo di corrispondere agli iscritti le prestazioni nell’ambito (e nei limiti) della provvista costituita dai contributi versati nel patrimonio del Fondo, ha errato la Corte nel ritenere irrilevante, omettendo il relativo accertamento, l’eventuale incapienza e l’illiquidità del Fondo avendo riguardo all’insufficienza complessiva della provvista a soddisfare già le numerosissime domande anteriori a quella presentata dall’odierna parte ricorrente.

Conclusivamente la sentenza va cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione per gli accertamenti resi necessari dalla presente pronuncia, nonché per le spese di lite del giudizio di cassazione.

P. Q. M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di cassazione.

Roma, deciso alla camera di consiglio del 27.4.23

Il Presidente                                                            Il relatore

Umberto Berrino                                            Alessandro Gnani

Depositato in Cancelleria il 4 settembre 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.