Gli effetti della non consumazione del matrimonio (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 7 febbraio 2023, n. 3645).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio Luigi Cesare – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Rel. Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 31893/019 R.G. proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), giusta procura in atti;

-ricorrente principale-

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta procura in atti;

-controricorrente e ricorrente incidentale-

avverso la sentenza n. 2166/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, pubblicata il 23/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/01/2023 dal consigliere, Dott.ssa IOFRIDA GIULIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alberto Cardino che ha concluso per l’accoglimento dei primi tre motivi del ricorso principale, assorbito il quarto, e il rigetto del ricorso incidentale, coma da conclusioni scritte in memoria depositata;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto ricorso incidentale;

udito, per controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso incidentale ed il rigetto di quello principale.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 2166/2019, depositata in data 23/7/2019, ha parzialmente riformato la decisione di primo grado del 2018, che aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato, il (OMISSIS), tra (OMISSIS) e (OMISSIS), per mancata consumazione, ai sensi dell’articolo 3 lett. f) l. 898 del 1970, con fissazione dell’obbligo per il (OMISSIS) di versare all’ex coniuge, a titolo di assegno divorzile, l’importo mensile di Euro 750,00.

In particolare, i giudici d’appello, confermando la cessazione degli effetti civili del matrimonio per inconsumazione, sulla base delle complessive risultanze istruttorie emergenti dalle testimonianze acquisite nel corso del procedimento di primo grado, sia pure de relato ex parte actoris, dalle relazioni mediche di due psichiatre, nonché dalle ammissioni dello stesso (OMISSIS) (in ordine alla totale assenza di rapporti sessuali durante il fidanzamento, dal 1994, e nei primi due anni di matrimonio), con conseguente superamento della presunzione di consumazione del matrimonio correlata alla sua durata (dieci anni), hanno respinto la domanda della (OMISSIS) in punto di diritto ad assegno divorzile, dando rilievo allo stabile legame, con carattere di continuità, che la (OMISSIS) aveva intrapreso, quanto meno dall’inizio del 2014, con altro uomo, indice di un progetto comune di vita, pur in assenza di convivenza di fatto tra i medesimi (essendo la (OMISSIS) residente in (OMISSIS) ed il compagno residente in (OMISSIS), fatto questo “recessivo” rispetto al passato con riferimento all’instaurazione e mantenimento di rapporti affettivi, relazione stabile che emergeva, in particolare, da un’indagine investigativa commissionata dal (OMISSIS), tra il 2017 ed il 2018.

Avverso la suddetta pronuncia, (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, notificato il 18-24/10/2019, affidato a quattro motivi, nei confronti di (OMISSIS) (che resiste con controricorso e ricorso incidentale in unico motivo, notificato il 29/11/2019).

La causa é stata ritenuta suscettibile di trattazione ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c..

Le parti hanno depositato memorie.

Il P.G. ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso incidentale e l’accoglimento dei primi tre motivi del ricorso principale, assorbito il quarto.

La ricorrente principale ha deposito memoria.

Il controricorrente-ricorrente incidentale ha depositato memoria di costituzione di nuovo difensore.

RAGIONI DELLA DECSIONE

1. La ricorrente principale lamenta:

1) con il primo motivo, sia la nullità della sentenza per motivazione apparente sia l’omesso esame, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, in relazione agli articoli 115 e 116 c.p.c., 2727 e 2729 c.c., con riguardo alla “copiosa documentazione attestante spese sostenute e attività effettuate nel circondario del suo indirizzo di residenza, a (OMISSIS)”, dalla ricorrente, al fine di dimostrare che ella non intrattiene alcuna relazione more uxorio con altro uomo;

2) con il secondo motivo, sia la nullita’ della sentenza per motivazione apparente sia l’omesso esame, ex articolo 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, in relazione alla l. 898/1970, articolo 5, comma 10, in combinato disposto con l’articolo 1 comma 36, l. 76/2016;

3) con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex articolo 360 n 3 c.p.c., dell’articoli 5, comma 10, l. 898/1970, in combinato disposto con l. 76/2016, articolo 1, commi 36 e 37, dovendo ritenersi che, ai fini dell’integrazione del presupposto di cui all’articolo 5 comma 10, l 898/1970, occorra non una semplice relazione affettiva, ancorché’ duratura ma un nuovo vincolo matrimoniale o una relazione di convivenza more uxorio idonea a rilevare l’esistenza di un nuovo nucleo famigliare, con reciproci doveri di assistenza morale e materiale tra i partners;

4) con il quarto motivo, la violazione e/o falsa applicazione, e articolo 36 n. 3 c.p.c., dell’articolo 92 c.p.c., in punto di operata compensazione tra le parti delle spese del giudizio, stante la soccombenza reciproca delle parti

2. Il ricorrente incidentale propone un unico motivo di ricorso incidentale, ex articolo 360 3 c.p.c., per violazione dell’articolo 2729, comma 1, c.c., per avere a Corte d’appello ritenuta raggiunta la prova dell’inconsumazione del matrimonio, sulla base esclusivamente di testimonianze de relato ex parte actoris, a fronte, oltretutto, di evidenze probatorie documentali contrarie.

3. L’unico motivo del ricorso incidentale, da trattare con priorità in quanto concernente la fondatezza della stessa pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio (cui conseguono gli eventuali provvedimenti di natura economica a favore di uno degli ex coniuge), e’ inammissibile.

La fattispecie di cui alla L. n. 898/70, articolo 3, n. 2, lettera f), riguarda quelle ipotesi in cui lo scioglimento del matrimonio può essere pronunziato anche quando lo stesso non sia stato consumato, dopo che il giudice abbia altresì accertato che la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita.

Invero, la non consumazione del matrimonio non incide, di per sé, sull’esistenza e sulla validita’ giuridica del matrimonio, come atto e come rapporto, ma é causa di scioglimento del matrimonio civile o di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, cosicché’ “essa non tocca – di per sé – la validità e idoneità del matrimonio a produrre effetti sino al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, né incide sull’applicabilità della normativa relativa all’assegno di divorzio esso invero ” (Cass. 9442-1998).

Pur trattandosi di istituto mutuato dal diritto canonico, ove la mancata unione sessuale pone una presunzione assoluta di assenza del sacramento del matrimonio, nell’ambito dell’ordinamento dello Stato esso può solo concorrere a formare la presunzione alla mancanza di comunione spirituale e materiale tra i coniugi, che resta il fondamento individuante l’istituto matrimoniale.

Ora, in ordine alla sussistenza dei presupposti per lo scioglimento del vincolo coniugale per inconsumazione durante il matrimonio, é stato svolto un compiuto accertamento da parte dei giudici di merito, con esame analitico delle diverse risultanze testimoniali e documentali ed accertamento complesso e sufficientemente rigoroso, il tutto giustificato dalla peculiarità della fattispecie, in cui l’unione coniugale, prima della proposizione della domanda da parte della (OMISSIS), ex articolo 3 n. 2 lett. f) L. 898 del 1970, era durata dieci anni.

La Corte d’appello ha, peraltro, confermato l’accertamento già operato in primo grado, rilevando che, nel caso di specie, la mancanza di una piena “congiunzione sessuale dei due coniugi” ha determinato “la concreta impossibilità di mantenere il consorzio coniugale e ha portato alla definitiva rottura del legame di coppia”.

Questa Corte ha, da tempo, ribadito che le cause di scioglimento, o di cessazione degli effetti civili, del matrimonio, previste dalla L. 1 dicembre 1970, n 898, articolo 3, operano in presenza del presupposto che, per effetto di esse, la comunione spirituale e materiale fra i coniugi non possa essere mantenuta o ricostituita e che l’accertamento che in tal senso compie il giudice costituisce un apprezzamento di merito insindacabile in Cassazione, se correttamente e adeguatamente motivato (Cass. 4178 del 1975).

Il ricorrente incidentale ha poi invocato la violazione dell’articolo 2729 c.c.

Al riguardo, in tema di prova presuntiva e di applicazione dell’articolo 2729 c.c., secondo orientamento di questo giudice di legittimità (Cass. 2944 del 1978), il giudice di merito, nella valutazione degli elementi indiziari e presuntivi posti a base del suo convincimento, esercita un potere discrezionale consistente nella scelta degli elementi ritenuti più attendibili e nella valutazione della loro gravita e concludenza, cosicché’ nella formazione di tale suo convincimento egli non incontra altro limite che l’esigenza di applicare i principi operativi nella materia delle presunzioni, deducendo univocamente il fatto ignoto dai fatti noti attraverso un procedimento logico fondato sul criterio dell’id quod plerumque accidit, e tale apprezzamento dei fatti, se correttamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità.

Resta dunque fermo il principio per cui e’ incensurabile in sede di legittimita’ l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravita’ e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, sempre che la motivazione adottata appaia congrua dal punto di vista logico, immune da errori di diritto e rispettosa dei principi che regolano la prova per presunzioni (Cass. 1216 del 2006; Cass. 15219 del 2007; Cass. 656 del 2014; Cass. 1792 del 2017, che ha affermato come il risultato dell’accertamento in merito alla valida prova presuntiva, se adeguatamente e coerentemente motivato, “si sottrae al sindacato di legittimità, che e’ invece ammissibile quando nella motivazione siano stati pretermessi, senza darne ragione, uno o più fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, una oggettiva portata indiziante”; Cass. 19987 del 2018; Cass. 1234 del 2019, ove si é ribadito che il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

La sentenza deve essere pertanto confermata sulla questione posta con il ricorso incidentale.

4. Le tre censure del ricorso principale, implicante sia vizio motivazionale sia vizio di motivazione apparente, sia vizio di violazione di legge, possono essere unitariamente trattate e sono fondate.

La Corte d’appello ha ritenuto che l’effettiva convivenza di fatto tra la (OMISSIS) ed altro uomo, con il quale essa intrattiene un legame duraturo, non avesse valenza decisiva ai fini del decidere sulla spettanza o meno dell’assegno divorzile, a fronte della ritenuta sussistenza di uno stabile legame, con carattere di continuità, indice di un progetto comune di vita.

Questa Corte (Cass. 6855 del 2015; conf. Cass.2466 del 2016) ha affermato che “l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché’ di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché’ il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata ai sensi della Cost. articolo 2 come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – é espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post-matrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo” (cfr. anche Cass. 11975 del 2003 e Cass. 17195 del 2011, ove pero si era affermato che la nuova convivenza non interrompe in modo definitivo il legame con la precedente esperienza di vita matrimoniale, ma ne determina la collocazione in uno stato di “quiescenza”, cosicché’ il diritto all’assegno potrebbe “riproporsi, in caso di rottura della convivenza tra i familiari di fatto”).

In tale pronuncia, quindi questa Corte ha ritenuto che, in presenza di una “convivenza” che assuma “i connotati di stabilità e continuità”, in cui i conviventi “elaborino un progetto ed un modello di vita in comune (analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio)”, la mera convivenza si trasforma in una vera e propria “famiglia di fatto” e quindi si rescinde ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile, fondato sulla conservazione del tenore di vita goduto nella precedente vita matrimoniale, pur ribadendosi che non vi é né identità, né analogia tra il nuovo matrimonio del coniuge divorziato, che fa automaticamente cessare il suo diritto all’assegno, ex art. 5 comma 10, l. 898 del 1970, e la fattispecie descritta, che necessita comunque di un accertamento e di una pronuncia giurisdizionale.

Un contrario indirizzo era stato espresso da questo giudice di legittimità in passato (per tutte, Cass. 1546 del 2006: “Il diritto all’assegno di divorzio non viene meno se chi lo chiede abbia instaurato una convivenza “more uxorio” con altra persona, rappresentando detta convivenza soltanto un elemento valutabile al fine di accertare se la parte che richiede l’assegno disponga o meno di “mezzi adeguati” rispetto al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; la convivenza “more uxorio”, infatti, avendo natura intrinsecamente precaria, non fa sorgere obblighi di mantenimento e non presenta quella stabilità giuridica, propria del matrimonio, che giustifica la definitiva cessazione dell’obbligo di corrispondere l’assegno divorzile”).

Secondo tale orientamento giurisprudenziale, quindi, la convivenza stabile porta alla sospensione dell’assegno (o alla sua riduzione), in quanto influisce sulla condizione economica del coniuge.

Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32918 del 2022, investite con ordinanza interlocutoria n. 28995 del 2020, sulla questione della necessarietà o meno della cessazione del diritto all’assegno divorzile per effetto della convivenza stabile dell’ex coniuge con un terzo, hanno affermato che:

a) “L’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza di fatto, giudizialmente accertata, incide sul diritto al riconoscimento di un assegno di divorzio o alla sua revisione, nonché sulla quantificazione del suo ammontare, in virtu’ del progetto di vita intrapreso con il terzo e dei reciproci doveri di assistenza morale e materiale che ne derivano, ma non determina, necessariamente, la perdita automatica ed integrale del diritto all’assegno, in relazione alla sua componente compensativa”;

b) “in tema di assegno divorzile in favore dell’ex coniuge, qualora sia instaurata una stabile convivenza di fatto tra un terzo e l’ex coniuge economicamente più debole questi, se privo anche nell’attualità di mezzi adeguati e impossibilitato a procurarseli per motivi oggettivi, conserva il diritto al riconoscimento dell’assegno di divorzio, in funzione esclusivamente compensativa; a tal fine il richiedente dovrà fornire la prova del contributo offerto alla comunione familiare, della eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio, dell’apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge. L’assegno, su accordo delle parti, può anche essere temporaneo”.

Successivamente, questa Corte (Cass. 14256/22) ha quindi chiarito che “in tema di assegno divorzile, l’instaurazione da parte dell’ex coniuge di una stabile convivenza “more uxorio” fa venir meno il diritto all’assegno, salvo che per la sua componente compensativa, la cui sussistenza deve, tuttavia, essere specificamente dedotta dalla parte che faccia valere il proprio diritto all’assegno” (questa Corte ha confermato la sentenza di merito pronunciata in data anteriore a S.U. n. 32198 del 2022, con la quale era stata rigettata la domanda di assegno divorzile, poiché né nel ricorso per cassazione né con le memorie illustrative ex articolo 380 bis, comma 1 c.p.c., era stata specificamente dedotta l’ipotetica consistenza di un contributo offerto dalla coniuge richiedente l’assegno alla comunione familiare, alla eventuale rinuncia concordata ad occasioni lavorative in costanza di matrimonio, all’apporto fornito alla realizzazione del patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge).

Sempre questo giudice di legittimità (Cass. 14151-2022), al fine di ulteriormente chiarire il concetto di convivenza more uxorio, ha precisato che “in tema di divorzio, ove sia richiesta la revoca dell’assegno in favore dell’ex coniuge a causa dell’instaurazione da parte di quest’ultimo di una convivenza “more uxorio”, il giudice deve procedere al relativo accertamento tenendo conto, quale elemento indiziario, dell’eventuale coabitazione con l’altra persona, in ogni caso valutando non atomisticamente ma nel loro complesso l’insieme dei fatti secondari noti, acquisiti al processo nei modi ammessi dalla legge, e gli eventuali ulteriori argomenti di prova, rilevanti per il giudizio inferenziale in ordine alla sussistenza della detta convivenza, intesa quale legame affettivo stabile e duraturo, in virtù del quale i conviventi si siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale”.

In motivazione, si é posto l’accento sul comma 36 dell’articolo 1 della l. n. 76/2016, volto non ad introdurre una innovativa nozione di convivenza, bensì “a fotografare l’atteggiarsi della nozione giuridica nel costume sociale”, che “definisce conviventi di fatto “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”, ponendo così l’accento sull’esistenza di un legame affettivo stabile, volto alla reciproca assistenza morale e materiale, che pare essere l’unico requisito essenziale perché si possa configurare una convivenza di fatto”.

Alla luce delle Sezioni Unite n. 18287 del 2018 e n. 32198 del 2021, la ricostruzione dell’assegno divorzile sulla base di un criterio non più soltanto assistenziale, ma anche compensativo-perequativo comporta quindi un temperamento del principio della perdita “automatica ed integrale” del diritto all’intero assegno di divorzio all’instaurarsi di una nuova convivenza.

Ora, l’indirizzo di cui alla sentenza n. 6855-2015, che, nei limiti sopra esposti, é stato confermato dalle Sezioni Unite, non può, in ogni caso, essere interpretato in senso estensivo perché si pone come un indirizzo sistematico che va oltre il disposto letterale dell’articolo 5, comma 10, l. div..

La ricorrenza quindi di un’effettiva relazione sentimentale stabile, indice di un progetto di vita idoneo ad interrompere in modo definitivo il legame con la precedente esperienza di vita matrimoniale, deve essere accertata in modo rigoroso.

Indubbiamente, si può ragionevolmente affermare che, in presenza di una coabitazione stabile di una coppia, possa presumersi l’esistenza di una effettiva convivenza senza bisogno di ulteriori prove (Cass. 6009 del 2017).

E’ più complessa la questione inversa, vale a dire se vi sia una convivenza more uxorio quando manchi una stabile convivenza, ovvero la stabile comunanza di una dimora quotidiana.

Essa non sempre é necessaria, in quanto, come evidenziato anche dal PG, l’evoluzione dei costumi e delle abitudini di vita comporta la necessità, sempre più di frequente, che le persone, pur legate da stabili legami affettivi, abbiano i loro centri di interesse esistenziali e lavorativi in luoghi tra loro non vicini, anche considerata la maggiore emancipazione economica e lavorativa raggiunta dalla donna.

Vero che sulla non indispensabilità della coabitazione ai fini della individuazione di una famiglia di fatto si e’ espressa la Corte EDU (sentenza 21 luglio 2015, Oliari contro Italia, nell’ambito di un ragionamento volto ad estendere alle coppie omosessuali la nozione di vita familiare, ove si legge “la Corte ha già accettato che l’esistenza di un’unione stabile é indipendente dalla convivenza. Infatti, nel mondo globalizzato di oggi diverse coppie, sposate, o che hanno contratto un’unione registrata, attraversano periodi in cui vivono la loro relazione a distanza, dovendo mantenere la residenza in paesi diversi, per motivi professionali o di altro tipo”; cfr. anche Corte Edu, grande chambre, 7 novembre 2013, Vallianatos e altri c. Grecia, § 73).

Lo stesso ragionamento é stato espresso nella pronuncia di questa Corte n. 9178-2018 (con la quale si e’ affermato, in tema di risarcimento del danno da perdita della vita del convivente, che “ai fini dell’accertamento dell’esistenza della convivenza “more uxorio” – intesa quale legame affettivo stabile e duraturo in virtu’ del quale siano spontaneamente e volontariamente assunti reciproci impegni di assistenza morale e materiale – i requisiti della gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi devono essere ricavati dal complesso degli indizi da valutarsi non atomisticamente ma nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno, quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, potrebbe rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento”, essendosi censurata la sentenza con la quale la corte territoriale, in ragione della ritenuta assenza di coabitazione, si era limitata a negare valore indiziario, all’esito di una loro mera valutazione atomistica, ad altri elementi acquisiti in giudizio, tra i quali l’esistenza di un comune conto corrente e la disponibilità in capo ad uno dei conviventi dell’agenda lavorativa dell’altro).

Tuttavia, nella specie, si discute, non in un ambito risarcitorio di riparazione dei danni da fatto illecito ma, in ordine agli effetti, sulle condizioni economiche già stabilite nella fase di crisi coniugale sfociata nel divorzio, dell’instaurazione, da parte dell’ex coniuge beneficiario dell’assegno divorzile, di una convivenza stabile, frutto di una scelta, libera e responsabile, in ordine alla formazione di un nuovo progetto di vita con il nuovo compagno o la nuova compagna, con impegno reciproco di contribuzione e di assistenza morale e materiale.

Come chiarito nel precedente n. 14151 del 2022, la coabitazione, ai fini che qui interessano, assume una valenza indiziaria, ai fini della prova dell’esistenza di un rapporto di convivenza di fatto, elemento indiziario “da valutarsi in ogni caso non atomisticamente… ma nel contesto e alle circostanze in cui si inserisce”, mentre, viceversa, “l’assenza della coabitazione non é di per se decisivo”.

Occorre comunque, in mancanza dell’elemento oggettivo della stabile coabitazione, che l’accertamento dell’effettivo legame di convivenza, allorquando esso costituisca un fattore impeditivo del diritto all’assegno divorzile, sia compiuto in modo rigoroso, in riferimento agli elementi indiziari potenzialmente rilevanti, perché gravi e precisi, così come previsto dal comma 1 dell’articolo 2729 c.c.: il giudice é quindi tenuto, perché é la stessa norma dell’articolo 2729c.c. che lo richiede, a procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, nonché di eventuali argomenti di prova acquisiti al giudizio.

Le Sezioni Unite nella sentenza n. 32198-2021 hanno fatto riferimento esemplificativo ad alcuni indici, quali l’esistenza di figli, la comunanza di rapporti bancari o altre patrimonialità significative, la contribuzione al menage familiare. Deve esserci, in sostanza, un nuovo progetto di vita con il nuovo partner, dal quale inevitabilmente discendono reciproche contribuzioni economiche. Il relativo onere probatorio incombe su chi neghi il diritto all’assegno.

Ora, la Corte d’appello ha dato rilievo, al fine di accertare l’effettiva sussistenza di un legame stabile e duraturo tra la (OMISSIS) e il (OMISSIS), in assenza di convivenza o coabitazione tra i due, alle sole risultanze di un rapporto investigativo, della durata di alcuni mesi, dai quali emergeva la frequentazione da parte della ricorrente dell’abitazione in (OMISSIS) del compagno, nonché alla documentazione attestante l’acquisto da parte della (OMISSIS) di generi alimentari, idonei a dimostrare che essa “provvede ai materiali bisogni del suo nuovo nucleo famigliare”.

Nella specie, le dichiarazioni anagrafiche e l’assenza di figli non depongono nel senso voluto dal controricorrente richiesto dell’assegno divorzile.

Gli elementi posti a base della decisione, se comprovano l’esistenza di un legame affettivo, non dimostrano un effettivo progetto di vita comune tra l’ex coniuge e il terzo, con una effettiva compartecipazione alle spese di entrambi.

La decisione impugnata va di conseguenza cassata.

6. Il quarto motivo, in punto spese, é assorbito.

7. Per tutto quanto sopra esposto, accolti i primi tre motivi del ricorso principale, assorbito il quarto, e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, va cassata la sentenza impugnata, nei limiti delle censure accolte, con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso principale, assorbito il quarto, dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata, nei limiti delle censure accolte, e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

Dispone che, ai sensi del Decreto Legislativo n. 198 del 2003, articolo 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Roma, 23/01/2023.

Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.