REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da
Monica Boni – Presidente –
Gaetano Di Giuro – Consigliere –
Raffaello Magi – Consigliere –
Paolo Valiante – Relatore –
Maria Eugenia Oggero – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma del 2/5/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Valiante;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dr.ssa Assunta Cocomello, che ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 2/5/2024, la Corte d’Appello di Roma, in riforma della sentenza di condanna di (OMISSIS) (OMISSIS) emessa dal g.u.p. del Tribunale di Frosinone il 15/3/2023, ha riqualificato il fatto come integrante il reato di cui all’art. 660 cod. pen. anziché quello di cui all’art. 612-bis cod. pen. e, tenuto conto delle già concesse attenuanti generiche, ha condannato l’imputato alla pena di mesi due di arresto, rideterminando la somma liquidata a titolo di risarcimento in favore della parte civile costituita in 1.500 euro.
Limitando la esposizione della sentenza impugnata in relazione ai motivi del successivo ricorso per cassazione, risulta che l’imputato avesse proposto appello, lamentando l’inattendibilità delle prove digitali, in quanto acquisite in violazione della normativa di riferimento in tema di reperti digitali.
A questo proposito, la Cote d’Appello ha affermato che le doglianze non avessero rilievo decisivo, in quanto il giudice di primo grado aveva dato già atto della irrilevanza dei messaggi di testo e aveva invece valorizzato il racconto della persona offesa nonché i soli messaggi audio attribuiti dalla perizia fonica all’imputato, che peraltro aveva rifiutato di sottoporsi a saggio fonico.
L’atto di appello proponeva anche una censura di inattendibilità della persona offesa, per non essere stato valutato il fatto che non avesse indicato nella querela di aver avuto un rapporto sentimentale con (OMISSIS) (OMISSIS) che non avesse riferito di averne contattato la moglie, nonché il fatto che avesse inviato all’imputato foto, video e materiale intimo.
Infine, era stato anche lamentato ii mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, nonostante la favorevole valutazione della personalità di (OMISSIS) (OMISSIS). La Corte territoriale, tuttavia, ha escluso l’applicabilità dell’art. 131-bis cod. pen., in ragione della ostinata ripetizione dei comportamenti, non suscettibili di essere valutati come occasionali.
2. Avverso la predetta sentenza, ha proposto ricorso il difensore di (OMISSIS) (OMISSIS) articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, e), cod. proc. pen., un vizio della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di molestie.
Censura che la Corte di Appello non abbia risposto alle specifiche doglianze della difesa dell’imputato in ordine alla attendibilità della persona offesa, all’accertamento della provenienza dei messaggi audio e alla irrilevanza del diniego dell’imputato di sottoporsi a saggio fonico.
Quanto all’attendibilità della denunciante, i giudici di secondo grado non hanno sottoposto la valutazione delle sue dichiarazioni ad un vaglio pregnante, che sarebbe stato necessario in quanto costituita parte civile e, dunque, portatrice di un interesse. In particolare, non hanno preso in considerazione la censura riguardante il fatto che non avesse indicato nella querela di aver avuto un rapporto sentimentale con I’imputato, né che avesse inviato all’imputato foto, video, materiale intimo e nemmeno che si fosse spinta addirittura a contattare la moglie del ricorrente per metterla a conoscenza dell’esistenza del rapporto sentimentale.
Quanto alle modalità della perizia fonica, la Corte di Appello non ha risposto ai dubbi sollevati con riferimento al fatto che non sia stata effettuato un controllo della genuinità del supporto, che non sia stato verificato se i suoni fossero continui o spezzettati, che non sia stato calcolato l’hash prima di procedere a estrarre e analizzare i video, che il perito abbia parlato solo di probabilità e non di certezza.
Di conseguenza, non si può ritenere che la perizia fornisca la prova certa dell’attribuzione all’imputato delle voci e delle immagini contenute nel supporto, tanto é vero che il perito si é limitato a parlare solo di “esiti dell’accertamento rafforzati nella ipotesi di colpevolezza”.
Quanto, poi, alla scelta dell’ imputato di non dare il consenso a sottoporsi a saggio fonico, si tratta di circostanza che non può essere valorizzata come indice di colpevolezza, in quanto é una scelta difensiva lecita.
2.2. Con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., un vizio di motivazione in ordine alla mancata declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
La Corte d’Appello ha disatteso la richiesta formulata nel giudizio di secondo grado, ritenendo che non potesse applicarsi I’art. 131-bis cod. pen. in ragione deIla ostinata ripetizione da parte dell’imputato dei comportamenti antigiuridici che non consentivano una valutazione della sua condotta in termini di non occasionalità.
Il ricorso censura che, ragionando in questi termini, si dovrebbe escludere I’applicabilita delI’art. 131-bis cod. pen. per il reato di cui alI’art 660 c.p., trattandosi di reato di per sé caratterizzato dalla ripetizione delle condotte. Invece, i giudici di secondo grado avrebbero dovuto considerare la condotta occasionale, in ragione del comportamento della persona offesa, dei pregressi rapporti tra le parti, della natura sentimentale della loro relazione.
Tuttavia, la Corte d’Appello ha operato una valutazione in termini meramente quantitativi e non ha tenuto conto, peraltro, del comportamento della persona offesa che, dopo aver bloccato il contatto con l’imputato, lo ha poi sbloccato, così invitandolo implicitamente a riallacciare i contatti con lei.
3. Con requisitoria scritta trasmessa il 10.10.2024, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto dichiararsi il ricorso inammissibile, perché consistente nella pedissequa ripetizione dei motivi d’appello su cui i giudici di secondo grado hanno risposto con motivazione congrua e logica, con la quale il ricorrente non si confronta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
II ricorso e complessivamente infondato per le ragioni che di seguito saranno esposte.
1. Il primo motivo di ricorso contiene plurime doglianze relative alla motivazione resa nel giudizio di merito circa la sussistenza del reato di cui all’art. 660 cod. pen.
Nel motivo si censura, in primo luogo, che la sentenza di secondo grado non contenga una specifica risposta in ordine alla doglianza, che era stata articolata nell’atto di appello, di inattendibilità della persona offesa.
Su questo punto, invero, la sentenza di secondo grado può essere opportunamente integrata con la motivazione del giudice di primo grado: si deve ritenere, infatti, che ricorra comunque il caso della c.d. “doppia conforme”, giacche la riqualificazione in melius operata dai giudici di appello non é dipesa da una diversa valutazione dell’attendibilità della persona offesa.
Sotto questo profilo, dunque, la sentenza di secondo grado, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado e può essere letta congiuntamente ad essa, costituendo un unico complessivo corpo decisionale.
In questa prospettiva, il giudice di primo grado non ha affatto nascosto i profili di debolezza delle dichiarazioni della persona offesa, individuandoli precisamente (le iniziali reticenze del racconto circa il rapporto con l’imputato, la mancata informazione circa la telefonata da lei effettuata alla moglie dell’imputato, qualche illogicità della narrazione), e ha pertanto ritenuto, in ossequio ai principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla valutazione delle dichiarazioni della persona offesa costituitasi parte civile, di verificare la presenza di eventuali elementi di conferma della sua credibilità.
Per tale motivo, nel giudizio abbreviato é stata disposta, ai sensi dell’art. 441, comma 5, cod. proc. pen., una perizia fonica su un supporto informatico contenente alcuni messaggi audio.
Pur senza entrare nel merito dell’attività probatoria integrativa, mette conto evidenziare in questa sede che il giudice ha tratto dall’esito della stessa (oltre che dalle contraddizioni della versione dell’imputato) “un fortissimo elemento che riscontra le dichiarazioni accusatorie della parte civile e consente di ritenere la stessa credibile in tutte le sue affermazioni”.
Le censura di inattendibilità della persona offesa, dunque, ha formato oggetto di valutazione nelle sentenze di merito e ha ricevuto una esplicita risposta, con cui é stato dato adeguatamente conto del percorso attraverso cui i giudici sono pervenuti a superare le pur sussistenti riserve inizialmente coltivate con riferimento alla querela e a ritenere “pienamente attendibile, in quanto riscontrata dal materiale in atti e dall’esito della perizia d’ufficio” la versione della vittima del reato.
1.2. In secondo luogo, il ricorso lamenta la mancanza della motivazione in ordine alle censure che erano state mosse con l’atto di appello circa la inosservanza delle regole basilari di acquisizione del materiale informatico, che avrebbe inficiato le risultanze della perizia fonica.
Sotto questo profilo, é da ritenersi innanzitutto che il ricorso, pur rivelando qualche tratto di ambiguità nella delimitazione dell’oggetto della specifica doglianza, abbia preso atto della motivazione delle sentenze di merito, nella parte in cui dapprima il giudice dell’udienza preliminare e poi la Corte d’Appello hanno affermato la irrilevanza dei messaggi di testo ai fini della prova della sussistenza del reato.
Di conseguenza, i rilievi paventati nel ricorso sono da riferire, tra quelli che hanno costituito oggetto della perizia, ai soli messaggi audio.
Ebbene, deve ritenersi che si tratti di rilievi generici (come la censura “di massima” della mancata verifica della genuinità del cd) o comunque privi della specifica indicazione del loro rilievo rispetto alla decisione impugnata (come la censura circa il difetto di calcolo del c.d. “hash”) che non consentono di comprendere in cosa consista la critica e in che modo infici la plausibilità dell’esito dell’accertamento.
Di contro, la sentenza di primo grado aveva non solo già dato testualmente atto che la perizia “é completa, dettagliata, é stata illustrata in udienza ed é corredata da eloquenti tavole grafiche, per cui deve essere interamente condivisa e deve intendersi come completamente recepita nella presente pronuncia”; ma aveva anche, al contempo, escluso “ogni rilievo alle valutazioni difensive sulle buone prassi informatiche non seguite nelle indagini”.
II ricorso non ha fornito argomenti per superare questa valutazione, sicche non v’e margine per derogare al principio secondo cui, nel giudizio di legittimità, l’accertamento peritale può essere oggetto di esame critico da parte del giudice solo nei limiti del c.d. travisamento della prova, che sussiste nel caso di assunzione di una prova inesistente o quando il risultato probatorio sia diverso da quello reale in termini di “evidente incontestabilità” ( così Sez. 1, n. 47252 del 17/11/2011, Rv. 251404 – 01, relativa proprio a un caso in cui si contestava il risultato di una perizia fonica; cfr. anche Sez. 1, n. 51171, dell’11/6/2018, Rv. 274478 – 01).
1.3. Le conclusioni del precedente paragrafo sono suscettibili di essere vieppiù corroborate dall’esame dell’ultima doglianza contenuta nel primo motivo di ricorso, che riguarda un profilo indubbiamente collegato alla valutazione dell’esito della perizia fonica.
II ricorso contesta che si sia annesso al mancato consenso dell’imputato a sottoporsi a saggio fonico la valenza di significativa circostanza di conferma della riferibilità della voce registrata nei messaggi alla sua persona.
In realtà, la valutazione dei giudici di merito in proposito é nient’affatto censurabile ed é anzi conforme al principio desumibile dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il rifiuto ingiustificato opposto dall’imputato all’espletamento di rilievi sulla sua persona costituisce, quando non siano state prospettate al riguardo modalità invasive o comunque lesive dell’integrità e della libertà personale, un elemento di prova valutabile dal giudice ai fini della ricostruzione del fatto (Sez. 2, n. 41770 dell’11/7/2018, Rv. 274238 – 01; Sez. 2, 36295 del 22/9/2010, Rv. 248690 – 01).
Di conseguenza, la motivazione di merito non é in alcun modo manifestamente illogica o contraddittoria quando evidenzia, in senso favorevole rispetto alla piena valenza probatoria dell’accertamento tecnico svolto, che l’imputato dapprima abbia negato che quella registrata nei messaggi Fosse la sua voce e poi si sia ritratto “dal contribuire ad accertarlo”.
1.4. Il primo motivo di ricorso, pertanto, é complessivamente infondato e deve essere disatteso: per l’effetto, anche il punto di arrivo delle singole doglianze in esso articolate, ovvero la censura di mancata indicazione nella sentenza impugnata degli elementi probatori su cui si fonda la condanna per il reato di molestie, ne resta necessariamente inficiata.
2. Quanto al secondo motivo di ricorso, la motivazione del diniego dell’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis pen. é del tutto logica e congrua, quando fa riferimento alla ripetizione dei comportamenti antigiuridici da parte dell’imputato, che esclude la possibilità di una valutazione della sua condotta in termini di occasionalità.
L’obiezione difensiva secondo cui, a ragionare come la Corte d’Appello, il reato di molestie sarebbe sempre insuscettibile di essere apprezzato come di particolare tenuità, non tiene conto che, in realtà, quello di cui all’art. 660 cod. pen. non é un reato necessariamente abituale e può essere integrato anche da una sola condotta di molestie, purché ispirata da biasimevole motivo o avente il carattere della petulanza, che consiste in un modo di agire pressante ed indiscreto, tale da interferire sgradevolmente nella sfera privata di altri (Sez. 1, n. 3758 del 7/11/2013, dep. 2014, Rv. 258260 – 01; Sez. 61 n. 43439 del 23/11/2010, Rv. 248982 – 01).
In ogni caso, é stato gia condivisibilmente affermato che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non può trovare applicazione in relazione al reato di molestia ex art. 660 cod. pen. nel caso di reiterazione della condotta tipica, senza necessità di esplicita motivazione sul punto (Sez. 1, n. 1523 del 5/11/2018, dep. 2019, Rv. 274974 – 01), ne, in generale, in relazione ai reati eventualmente abituali che siano stati posti in essere mediante reiterazione della condotta tipica (Sez. 7, n. 13379 del 12/1/2017, Rv. 269406 – 01).
Per il resto, il motivo di ricorso sollecita, su questo punto, non più che una rilettura degli elementi di fatto su cui la sentenza impugnata ha fondato la sua decisione, allo scopo di attribuire un significato alternativo al comportamento della persona offesa, tale da conferire alla condotta dell’imputato una connotazione di minore gravita.
Si tratta, pertanto, di motivo inammissibile.
3. Sulla scorta di quanto fin qui osservato, dunque, il ricorso é complessivamente infondato e deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12.11.2024
Il Consigliere estensore Il Presidente
Paolo Valiante Monica Boni
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2025.