Il sedicente mago convince la cliente a pagare per alcuni riti: legittima la condanna per truffa (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 2 marzo 2022, n. 7513).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VERGA Giovanna – Presidente –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere –

Dott. PARDO Ignazio – Rel. Consigliere –

Dott. CIANFROCCA Pierluigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) VITO nato a BARI il 24/10/19xx;

avverso la sentenza del 14/04/2021 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. IGNAZIO PARDO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. STEFANO TOCCI che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

lette le conclusioni della parte civile che ha chiesto disattendersi il ricorso e liquidarsi le spese;

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza in data 14 aprile 2021, la corte di appello di Milano, confermava la pronuncia del tribunale monocratico di Varese del 19 febbraio 2018 che aveva condannato (OMISSIS) Vito alle pene di legge perché ritenuto colpevole di truffa con la contestata recidiva.

1.2 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato che, con distinti motivi qui riassunti, ex art. 173 disp. att. cod.proc.pen., lamentava:

– violazione dell’art. 606 lett. b) cod.proc.pen. in relazione alla qualificazione giuridica dei fatti dovendo ritenersi sussistere l’ipotesi di abuso della credulità popolare di cui all’art. 661 cod.pen.;

– violazione dell’art. 606 lett. b) cod.proc.pen. in relazione alla mancata audizione del teste (OMISSIS) ex art. 507 cod.proc.pen. che avrebbe potuto dimostrare la presenza del ricorrente in altro luogo il presunto giorno dei fatti;

– violazione dell’art. 606 lett. b) cod.proc.pen. in relazione alla quantificazione del danno operato in favore della parte civile, stabilito nella misura di euro 10.000 pur in assenza di riscontri oggettivi circa, la somma esborsa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1 Tutti i motivi sono manifestamente infondati, oltre che reiterativi di questioni già devolute all’analisi della corte di appello ed il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

Quanto al primo motivo, secondo l’orientamento di questa Corte di cassazione, integra il delitto di cui all’art. 640, comma secondo, n. 2 cod. pen. e non la fattispecie di abuso della credulità popolare – depenalizzata dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 -, il cui elemento costitutivo e differenziale si individua nel turbamento dell’ordine pubblico e nell’azione rivolta nei confronti di un numero indeterminato di persone, il comportamento di colui che, sfruttando la fama di mago, chiromante, occultista o guaritore, ingeneri nelle persone offese la convinzione dell’esistenza di gravi pericoli gravanti su di esse o sui loro familiari e, facendo credere loro di poter scongiurare i prospettati pericoli con i rituali magici da lui praticati, le induca in errore, così procurandosi l’ingiusto profitto consistente nell’incameramento delle somme di denaro elargitegli con correlativo danno per le medesime (Sez. 2, n. 49519 del 29/11/2019, Rv. 278004 — 01).

Correttamente, pertanto, nel caso in esame la corte di merito ha ritenuto di qualificare i fatti ex art. 640 cod.pen. avuto riguardo all’assenza di comunicazioni nei confronti di un numero indeterminato di soggetti ed ai specifici pericoli che il ricorrente aveva rappresentato alle persone offese che attenevano persino al rischio di morte, convincendo così la vittima a versare somme di denaro.

2.2 Quanto al secondo motivo, va ricordato come in tema di ammissione di nuove prove ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., le nuove prove, rispetto a quelle inizialmente richieste dalle parti, sono soggette ad una più penetrante e approfondita valutazione della loro pertinenza e rilevanza che è correlata alla più ampia conoscenza dei fatti di causa già acquisita da parte del giudice, pertanto l’omesso esercizio di tale potere-dovere può essere sindacato in sede di legittimità, ma in limiti più ristretti rispetto al potere di ammissione delle prove a richiesta di parte, richiedendosi una manifesta assoluta necessità della trascurata assunzione probatoria, emergente dal testo della sentenza impugnata (Sez. 4, n. 8083 del 08/11/2018, Rv. 275149 — 01).

Nel caso in esame, la corte di appello, con le specifiche argomentazioni esposte a pagina 4 della sentenza impugnata ha proprio spiegato per quali molteplici ragioni ritenere non assolutamente decisiva la prova richiesta e tali valutazioni appaiono prive dei lamentati vizi in quanto non configuranti né violazione di legge né illogicità, tanto più manifesta. Infine, anche l’ultimo motivo è manifestamente infondato posto che i giudici di merito hanno proceduto alla quantificazione dei danni in forza delle dichiarazioni ritenute attendibili della persona offesa circa gli importi versati in favore dell’imputato.

Pertanto, il percorso argomentativo seguito dai giudici di merito appare conforme ai criteri dettati da questa Corte e secondo cui le dichiarazioni della persona offesa – cui non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. – possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone e corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto (Sez. 2, n. 43278 del 24/09/2015, Rv. 265104).

Principio questo certamente valido anche in relazione alla determinazione del danno risarcibile e che determina la manifesta infondatezza del terzo motivo posto che il giudice di appello con valutazione conforme a quella di primo grado ha proprio sottolineato la particolare attendibilità della vittima.

In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi manifestamente infondata; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 cod.proc.pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in €. 3.000,00.

La richiesta di liquidazione delle spese avanzata dalla parte civile, mediante deposito di conclusioni e nota spese in cancelleria, deve essere respinta posto che alla data odierna si procede con l’udienza pubblica in presenza e la mancata partecipazione della parte civile non comporta il sorgere di competenze.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Sentenza a motivazione semplificata.

Roma, 3 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria, oggi 2 marzo 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.