In tema di protezione umanitaria, il livello di integrazione raggiunto in Italia dal richiedente, va inteso come inserimento nella realtà locale (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 24 luglio 2024, n. 20486).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sig.ri Magistrati

MARINA MELONI              Presidente

CLOTILDE PARISE             Consigliere

LAURA TRICOMI               Consigliere

ROSARIO CAIAZZO           Consigliere – Rel.

ALBERTO PAZZI                Consigliere

Ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 21101/2023 proposto da:

(omissis) (omissis) elett.te domic. presso l’avv. (omissis) (omissis) dal quale é rappres. e difeso, per procura speciale in atti;

-ricorrente –

-contro-

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.,

-intimato­-

avverso il decreto del Tribunale di Reggio Calabria depositato il 15.09.2023;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/07/2024 dal Cons. rel., dott. ROSARIO CAIAZZO.

RILEVATO CHE

Con ricorso del 2021 (omissis) (omissis) impugnava, innanzi al Tribunale di Reggio Calabria, il provvedimento del Questore della provincia di Reggio Calabria, emesso il 14.5.21 con il quale era stata rigettata la sua richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

II Tribunale, con decreto del 2023, ha rigettato il ricorso, osservando che:

erano preliminarmente inammissibili le domande volte al riconoscimento della protezione internazionale e della sussidiaria, per le quali il ricorrente avrebbe dovuto impugnare l’originario provvedimento nel termine di legge;

non ricorrevano i presupposti del richiesto rinnovo in quanto, in ordine alla situazione del paese d’origine, dalle fonti COi aggiornate non si ravvisava una situazione di violenza generalizzata o di sistematica e grave violazione dei diritti umani in Gambia ove, invece, era stata registrato un considerevole miglioramento dei diritti civili; pertanto, il rimpatrio non esporrebbe il ricorrente al rischio di subire trattamenti inumani o degradanti, con la conseguente esclusione dei presupposti della protezione speciale;

il ricorrente non aveva dimostrato la sua integrazione sociale o lavorativa in Italia, dove era arrivato da nave anni, risultando depositati dei contratti a tempo determinate, risalenti agli anni 2019-2012, relativi a lavori svoltisi per pochi mesi, nonché una comunicazione della Regione Calabria quasi del tutto illeggibile, mentre il contratto di locazione era prossimo alla scadenza.

(omissis) (omissis) ricorre  in  cassazione avverso il suddetto provvedimento del Tribunale con due motivi.

II Ministero non svolge difese.

RITENUTO CHE

II prime motive denunzia la violazione dell’art. 6, c.9, I. n. 46/17, per non aver ii Tribunale citato le informazioni aggiornate sul Gambia della commissione-asilo, avendo riportato fonti datate al 2018 dalle quali si evince che nel Gambia vi sono diverse forme di violazione dei diritti umani, sebbene la situazione fosse in miglioramento; in particolare, l’istante lamenta che: dalle stesse fonti citate dal Tribunale si desumeva che la situazione generale del Gambia fosse caratterizzata da violenza, scontri etnici e politici e sommosse, senza però approfondire la questione del rispetto dei diritti umani; la reale situazione del paese di provenienza del ricorrente era, in realtà, desumibile dall’ultimo rapporto di (omissis) (omissis) pubblicato il 28.3.23, in ordine ad episodi segnalati di trattamenti inumani e degradanti di vario genere.

II secondo motivo denunzia violazione degli artt. 19 d.lgs. 286/98 e 2 Cost., 3 e 8 Cedu, per aver il Tribunale disatteso le norme richiamate circa la grave violazione dei diritti umani in Gambia, ove il ricorrente mancava da 10 anni, con grave rischio in caso di suo rimpatrio, e per non aver effettuato il bilanciamento tra la condizione attuale e quella nella quale l’istante verserebbe in caso di rimpatrio.

Al riguardo, il ricorrente lamenta che il Tribuna le ha escluso la sua integrazione sociale e lavorativa, senza adeguatamente valuta re i documenti prodotti che dimostravano comunque un’attività lavorativa, sebbene a tempo determinato, protrattasi per circa quattro anni.

Il primo motivo é inammissibile.

In tema di protezione internazionale, ai fini della concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari occorre operare una comparazione “attenuata” tra la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine e la situazione d’integrazione raggiunta in Italia, attribuendo alla prima un peso tanto minore quanto maggiore risulti ii grado di integrazione che egli dimostri di aver raggiunto nel tessuto sociale italiano (Cass., n. 21250/23: nella specie, la s.c. ha respinto ii ricorso del Ministero dell’interno e confermato la decisione con cui era stato riconosciuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari, in favore di uno straniero che aveva dimostrato di svolgere attività lavorativa in Italia ed il cui il rimpatrio avrebbe quindi leso il diritto al lavoro e la liberta e dignità della persona, in quanto in tale affermazione doveva ritenersi implicita la valutazione comparativa con il paese di origine).

Il decreto legge 21.10.2020 n. 130, convertito con modificazioni dalla legge 18.12.2020 n.173- applicabile alla fattispecie ratione temporis­ recante, tra l’altro, disposizioni urgenti in materia di immigrazione e protezione internazionale, che ha ridisegnato i presupposti e i contenuti della protezione di diritto nazionale complementare rispetto alla protezione internazionale, mantenendo la denominazione di «protezione speciale» introdotta dal d.l. 4.10.2018 n.113, convertito con modificazioni dalla legge 1.12.2018 n. 132, ma incidendo significativamente sia sull’art. 5, comma 6, sia sull’art. 19, comma 1.1., del d.lgs. 25.7.1998 n. 286.

II rinnovato art. 19 del d.lgs. 286/1998 ha assegnato rilievo ai fini del riconoscimento della protezione speciale ai sensi dell’art.19, comma 1.2., d.lgs. 286/1998 e 32, comma 3, d.lgs. 25/2008, parimenti novellati, alle ipotesi – riconducibili all’art. 8 della CEDU in cui l’allontana mento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare del richiedente asilo, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica.

Premesso ciò, la doglianza tende al riesame dei fatti, se si considera che il Tribunale ha esaminato vari fonti, tra cui alcune risalenti al 2022, per cui non può dirsi che la decisione non sia stata fondata su informazioni aggiornate; al riguardo, le diverse fonti citate nel ricorso, datate anche 2023, non appaiono univoche nell’affermare che in Gambia vi sia una grave situazione di violazione dei diritti umani.

II secondo motivo é fondato.

II Tribunale ha ritenuto che i vari contratti a tempo determinate prodotti non dimostrassero l’integrazione sociale del ricorrente, in quanta relativi ad attività lavorative svoltesi per pochi mesi.

Va osservato che, in tema di protezione umanitaria, il livello di integrazione raggiunto in Italia dal richiedente deve intendersi non come necessità di un pieno, irreversibile e radicale inserimento nel contesto sociale e culturale del paese, ma come ogni apprezzabile inserimento nella realtà locale di riferimento, dimostrabile, in ipotesi, attraverso la produzione di attestati di frequenza e di apprendimento della lingua italiana o di partecipazione ad attività di volontariato nonché di contratti di lavoro anche a tempo determinate (Cass., n. 21240/20; n. 27475/23).

Nella specie, i contratti prodotti paiono dimostrare l’integrazione nel territorio italiano, considerando altresì che la questione dell’illeggibilità della comunicazione regionale, ed. Unilav – della quale e stata comunque prodotta la ricevuta d’invio, avrebbe potuto e dovuto essere risolta con l’esercizio dei poteri di cooperazione istruttoria demandati al Tribunale.

Va altresì tenuto conto del fatto che il ricorrente risulta inserito nel territorio italiano da nove anni ed ha e prodotto un contratto di locazione, sebbene in scadenza nel 2023.

Pertanto, in accoglimento del secondo motivo, il decreto impugnato va cassato, con rinvio della causa al Tribunale di Reggio Calabria, anche in ordine alle spese del grado di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il prime motivo, e accoglie il secondo; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Reggio Calabria, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del grado di legittimità.

Dispone che ai sensi dell’art. 52 del d.lgs. n. 196/03, in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.

Casi deciso nella camera di consiglio del 2 luglio 2024.

Il Presidente

Dott.ssa Marina Melani

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.