In un licenziamento per superamento periodo di comporto l’assenza per infortunio non è cumulabile con la malattia (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 21 settembre 2023, n. 26993).

L A    C O R T E    S U P R E M A    D I    C A S S A Z I O N E

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI         – Presidente –

Dott. FABRIZIA GARRI                                    – Consigliere –

Dott. ROBERTO RIVERSO                               – Consigliere –

Dott. CARLA PONTERIO                                 – Consigliere –

Dott. FRANCESCO GIUSEPPE LUIGI CASO  – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 14541-2020 proposto da:

(omissis) (omissis) elettivamente domiciliato in (omissis)

ricorrente

contro

CASA DI CURA PRIVATA (omissis) (omissis) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,  domiciliata in (omissis)

controricorrente

avverso la sentenza n. 49/2020 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 05/02/2020 R.G.N. 363/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/04/2023 dal Consigliere Dott. FRANCESCO GIUSEPPE LUIGI CASO.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza 202/2017, il Tribunale di Venezia rigettava l’opposizione della convenuta Casa di Cura Privata (omissis) (omissis) s.p.a. contro l’ordinanza del medesimo Tribunale che, nella fase sommaria, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato all’attore (omissis) (omissis) in data (omissis) dalla datrice di lavoro per il superamento del periodo di comporto e condannava detta società a reintegrare il ricorrente nel suo posto di lavoro e a corrispondergli un’indennità risarcitoria commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino all’effettiva riammissione in servizio nel limite massimo di 12 mensilità, dedotto quanto eventualmente percepito dal (omissis) per effetto di altra occupazione risultante da certificazione fiscale, oltre al pagamento dei contributi previdenziali come per legge.

2. Il giudice di primo grado rilevava come l’interpretazione della norma di cui all’art. 42 CCNL Aiop applicato non consentisse di ritenere che, ai fini del periodo del comporto, si cumulassero sia le assenze per malattia che quelle per infortunio (nel caso di specie in itinere) e che, pertanto, non essendo spirato il termine di conservazione del posto di lavoro previsto da detta norma per l’esercizio della facoltà di recesso da parte della datrice di lavoro, il recesso di quest’ultima era illegittimo, con conseguente diritto del (omissis) alla reintegrazione nel posto di lavoro.

3. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Venezia, in accoglimento del reclamo proposto dalla Casa di Cura Privata (omissis) (omissis) s.p.a. contro la sentenza  di primo grado ed in riforma della sentenza n. 2117 del 2023 quest’ultima, ha accertato la legittimità del  recesso intimato dalla reclamante al (omissis) data (omissis) e per l’effetto ha rigettato la domanda accolta in primo grado; ha condannato il reclamato a restituire alla reclamante le somme ricevute in esecuzione della sentenza impugnata con gli interessi legali, dalla data del pagamento al saldo, compensando le spese di entrambi i grado di giudizio tra le parti.

4. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, previa acquisizione di informazioni ed osservazioni dalle associazioni sindacali ai sensi dell’art. 425 p.c., nella motivazione della sua pronuncia richiamava il testo dell’art. 42 del CCNL di settore 2002-2005, notando che rispetto ai CCNL precedenti quello in considerazione conteneva la dicitura “Ai fini del riconoscimento della retribuzione non si cumulano i periodi di malattia con quelli di infortunio”, mentre quelli precedenti del 1995 e del 1999, all’art. 34, prevedevano che: “non si cumulano i periodi di malattia con quelli di infortunio”.

Osservava, ancora, che l’interpretazione letterale dell’art. 42 applicabile nella specie non consentiva di ritenere che le parti collettive abbiano voluto derogare espressamente alla norma di cui all’art. 2110 c.c., escludendo dal calcolo del comporto le assenze provocate da infortunio e rendendo possibile per il datore di lavoro recedere decorsi i 18 mesi previsti soltanto in ipotesi di assenza per malattia.

Evidenziava, poi, la Corte che la disposizione contrattuale è dedicata al trattamento economico sia per la malattia che per l’infortunio; che le parti collettive, pur distinguendo in altra parte della disposizione il titolo dell’assenza per malattia o infortunio, nel caso del recesso abbiano utilizzato genericamente il termine “assenza” senza alcuna distinzione rispetto alla causa della stessa.

Aggiungeva che, se fosse stata corretta l’interpretazione condivisa dal Tribunale, allora la modifica introdotta con il CCNL 2002-2005 rispetto ai contratti precedenti sarebbe stata priva di utilità, in contrasto con l’art. 1367 c.c.

Riteneva, inoltre, che la propria interpretazione dell’art. 42 cit. non era superabile neppure alla luce del precedente di legittimità richiamato dal giudice di prime cure (Cass. n. 11976/2016), che atteneva a fattispecie concreta differente (un infortunio in itinere disciplinato dall’art. 53 del CCNL imprese radiotelevisive private).

Osservava, infine, che, in mancanza di una disposizione collettiva che espressamente escluda il cumulo  delle assenze per infortunio e malattia, della degenza, alla disciplina generale contenuta nell’art. 2110 c.c., doveva ritenersi corretto il licenziamento intimato dalla datrice di lavoro con lettera in data 21.12.2015  per superamento del limite di assenza di 18 mesi nel quadriennio mobile.

5. Avverso tale sentenza (omissis) (omissis) proponeva ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.

6. Ha resistito con controricorso la Casa di Cura Privata (omissis) (omissis) s.p.a.

7. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso il (omissis) denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. c.c., in relazione all’art. 42 del CCNL Aiop vigente e all’art. 2110 c.c. Secondo il ricorrente l’impugnata sentenza conterrebbe degli errori d’interpretazione dell’art. 42 cit.: in sintesi la Corte territoriale avrebbe violato in particolare i criteri ermeneutici di cui all’art. 1363 c.c. in tema d’interpretazione complessiva delle clausole contrattuali, di cui all’art. 1362, comma 2, c.c. e di cui all’art. 1367 c.c., nei termini diffusamente illustrati nello svolgimento dell’unica censura.

2. Tale motivo è fondato.

3. L’art. 42 del CCNL in considerazione, sotto la rubrica: “Trattamento economico di malattia ed infortunio”, recita:

“In caso di assenza per malattia ed infortunio non professionale il lavoratore deve informare immediatamente, di norma, prima dell’inizio del turno di servizio, la Direzione sanitaria o quella amministrativa, secondo le rispettive competenze, e trasmettere l’attestazione di malattia entro due giorni dalla data del rilascio.

L’infortunio sul lavoro (anche in itinere) riconosciuto dall’INAIL, anche se consente la continuazione dell’attività lavorativa, deve essere denunciato immediatamente al proprio superiore diretto perché possano essere prestate le necessarie cure di pronto soccorso ed effettuate le denunce di legge previste.

Il datore di lavoro è tenuto ad anticipare per conto dell’INPS le indennità previste dalla legge a partire dal primo giorno di malattia; inoltre, se la malattia è indennizzata e assistita dall’INPS e l’infortunio dall’INAIL, o se non è indennizzata a causa del superamento dei 180 giorni nell’anno solare in caso di assenza per non più di due episodi morbosi, il datore di lavoro è tenuto ad integrare le prestazioni economiche assicurative sino a raggiungere:

a) il 100% della retribuzione globale sino al 365° giorno di assenza per malattia nell’arco di quattro anni precedenti ad ogni inizio di malattia, computando altresì la malattia in

Il trattamento stesso non compete in caso di accertata trasformazione della malattia in invalidità pensionabile. Detto trattamento non deve essere comunque superiore a quello che il lavoratore avrebbe percepito al netto se avesse lavorato, a titolo di emolumenti stipendiali fissi e non variabili. La corresponsione dell’integrazione va corrisposta in base alle norme di legge (Legge 29 febbraio 1980, n. 33, art. 1).

Il datore di lavoro può recedere dal rapporto allorquando il lavoratore si assenti oltre il limite dei diciotto mesi complessivi nell’arco di un quadriennio mobile. Si conviene, però, che in via eccezionale, per quei lavoratori che abbiano una ricaduta nello stesso evento morboso che ha comportato un prolungato ricovero ospedaliero, in atto al momento della scadenza del prefissato periodo di comporto, questo va prolungato di due mesi, da diciotto a venti mesi; qualora il predetto ricovero ospedaliero sia ancora in atto alla scadenza del 20° mese, il lavoratore ha diritto a richiedere un periodo di aspettativa non retribuito, che può protrarsi per un massimo di tre mesi (dal 20° al 23° mese), purché permanga la situazione di ricovero ospedaliero;

b) il 100% della retribuzione globale sino al 365° giorno di assenza per Il datore di lavoro è tenuto ad anticipare il 40% della retribuzione, salvo conguaglio con quanto erogato dall’INAIL, con conseguente obbligo del lavoratore di rimborsare quanto percepito di anticipazione.

Ai fini del riconoscimento della retribuzione nella misura del 100%, non si cumulano i periodi di malattia con quelli di infortunio.

Il lavoratore assente per malattia decade dal diritto all’indennità di malattia dovuta dall’Istituto previdenziale e dalla predetta integrazione a carico della Struttura sanitaria, in caso di assenza alla visita di controllo domiciliare, richiesta o disposta ai sensi dell’art. 5 della Legge n. 300/70, nelle fasce orarie di reperibilità previste dal Dm 8 gennaio 1985 (G. Uff. n. 33/85) e successive modificazioni.

Qualora il lavoratore debba assentarsi dal proprio domicilio per sottoporsi a visita specialistica o ambulatoriale, comunque ha l’obbligo di avvertire l’Amministratore entro le ore 9.00 dello stesso giorno.

In caso di licenziamento del lavoratore comminato dopo il raggiungimento dell’età pensionabile, il periodo di conservazione del posto sarà limitato alla sola durata del periodo di preavviso e non oltre, anche in caso di successiva insorgenza di malattia.

Nel caso in cui l’infortunio o la malattia sia ascrivibile a responsabilità di terzi, resta salva la facoltà dell’Azienda di recuperare dal terzo responsabile le somme da essa corrisposte, subentrando la Struttura sanitaria nella titolarità delle corrispondenti azioni legali, nei limiti del danno subito.

Per i lavoratori affetti da TBC si richiamano espressamente le disposizioni legislative che regolano la materia.

In caso di patologie gravi che richiedano terapie salvavita ed altre ad esse assimilabili secondo le indicazioni dell’ufficio medico legale della azienda sanitaria competente per territorio, come ad esempio l’emodialisi, la chemioterapia, il trattamento per l’infezione da HIV-AIDS nelle fasi a basso indice di disabilità specifica (attualmente indice di Karnosky), ai fini del presente articolo, sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia i relativi giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital ed i giorni di assenza dovuti alle citate terapie, debitamente certificati dalla competente Azienda sanitaria locale o struttura convenzionata.

Per agevolare il soddisfacimento di particolari esigenze collegate a terapie o visite specialistiche, le aziende favoriscono un’idonea riduzione dell’orario di lavoro nei confronti dei soggetti interessati. La procedura per il riconoscimento della grave patologia è attivata dal dipendente e, ove ottenuto, il beneficio decorre dalla data della domanda di accertamento”.

4. Tale essendo il testo completo della disposizione collettiva che viene in considerazione, ritiene il Collegio che l’interpretazione della stessa fornita dalla Corte territoriale, nei termini riassunti in narrativa, non sia condivisibile.

5. L’art. 42 in questione si occupa – prevalentemente, anche se non esclusivamente – del trattamento economico sia di malattia che di infortunio.

Ai primi due commi dell’articolo segue una parte che si presenta come un unico esteso comma, il terzo secondo la scansione qui proposta, anche se vi sono presenti più capoversi.

Nello specifico, la parte in questione – che si apre con le parole “Il datore di lavoro è tenuto ad anticipare ” – contiene la disciplina di due ipotesi tenute ben distinte dalle parti contraenti (già sul piano grafico- redazionale): quella sub lett. a) e quella sub lett. b), dedicate, rispettivamente, la prima, al trattamento economico dell’assenza per malattia, e, la seconda, a quello dell’assenza per infortunio, con una serie di specificazioni per entrambe le ipotesi.

La disciplina collettiva del comporto fa seguito a precipue previsioni che riguardano esclusivamente il trattamento economico per il caso di malattia.

Tale collocazione delle previsioni in tema di comporto è quindi anteposta alla cennata ipotesi sub b) circa il trattamento economico in caso di assenza per infortunio.

Già tali piani riscontri assumono evidente rilievo, non solo sul piano del tenore letterale di tali clausole, ma anche sul terreno di un’interpretazione complessiva e logico-sistematica delle stesse, giusta l’art. 1363 c.c.

Anzitutto, dall’intero testo dell’art. 42 del CCNL si trae ragione che le parti sociali abbiano senz’altro tenuto presente la distinzione di fondo tra malattia e infortunio, delineando,  anzi, in modo alquanto dettagliato ulteriori e più specifiche ipotesi dell’una e dell’altro (secondo gravità e causali, durata, etc.).

Il dato, allora, che in un complesso regolativo così attentamente concepito ed articolato la rilevante disciplina del comporto sia stata dettata esclusivamente nell’ambito di previsioni che concernono soltanto la malattia non può non essere consapevolmente voluto.

Invero, se le parti collettive, le quali peraltro intervenivano su materia già diversamente regolata da precedenti CCNL del medesimo settore, avessero inteso rendere chiaramente comune a malattia e infortunio la disciplina precipua del comporto, onde eventualmente esprimere a tal fine il cumulo delle relative assenze, avrebbero potuto e dovuto collocare tale disciplina in distinto comma di seguito alla lett. b), dedicata al trattamento economico dell’assenza per infortunio.

Per contro, come si vedrà tra poco, l’alinea che segue i rispettivi dettati delle lett. a) e b) sopra riportati contiene una regola del tutto diversa.

6. Con tale già cospicuo rilievo dell’unica sedes materiae della disciplina del comporto appare senz’altro coerente il contenuto in primo luogo testuale dell’unico alinea in cui essa è dettata.

La prima e principale previsione circa il comporto stabilisce che il “datore di lavoro può recedere dal rapporto allorquando il lavoratore si assenti oltre il limite dei diciotto mesi complessivi” (c.d. limite interno) “nell’arco di un quadriennio mobile” (c.d. limite esterno).

Esatto in sé è a riguardo il rilievo della Corte territoriale che in questo punto dell’articolo le parti collettive hanno adottato il verbo “si assenti” senza specificare la causale di tale assenza (e cioè se per infortunio o per malattia).

Ma la mancanza di detta precisazione, essendo incontrovertibile che appunto solo in quell’unico periodo dell’articolo trovasi l’essenziale disciplina collettiva del c.d. comporto, non può assumere alcun rilievo dirimente in virtù della precisa collocazione di tale disciplina in seno a parte dell’articolo che attiene solo alla malattia. Difatti, in relazione dell’art. 1364 c.c., per quanto generali siano le espressioni usate nel contratto, questo non comprende che gli oggetti sui quali le parti si sono proposte di contrattare, e la voce verbale “si assenti” nella specie si pone all’interno di disposizioni il cui oggetto unico è la malattia, che le parti collettive intendevano regolare sotto distinti, ma collegati profili.

Vero è inoltre – come evidenzia anche il ricorrente – che le previsioni immediatamente successive alla principale in tema di comporto, ossia, quelle circa il prolungamento del comporto stesso in caso di “una ricaduta nello stesso evento morboso”, sono riferite a specifiche ipotesi di assenza per malattia, e non per infortunio. E su questo punto non possono nutrirsi dubbi perché la locuzione “evento morboso” di per sé si addice alla malattia ed è accompagnata dall’aggettivo “stesso” e dall’ulteriore specificazione “una ricaduta”, che non è ovviamente concepibile rispetto ad un infortunio e parimenti, anche nell’accezione comune, si riferisce ad una malattia in senso stretto.

7. Come si è visto, il comma, seguente alla lunga parte dell’articolo in cui sono contenute anche le principali regole in tema di comporto, recita: “Ai fini del riconoscimento della retribuzione nella misura del 100%, non si cumulano i periodi di malattia con quelli di infortunio”.

Ebbene – di là dal confronto instaurato in chiave “storica” dalla Corte territoriale con le analoghe disposizioni dei precedenti CCNL dello stesso settore (che, invece, e più comprensivamente, prevedevano: “non si cumulano i periodi di malattia con quelli di infortunio”) -, è il testo del quarto comma dell’art. 42 come tale, cioè nel suo tenore letterale, a deporre inequivocabilmente nel senso che l’esclusione del cumulo dei periodi di malattia e dei periodi di infortunio sia circoscritta “Ai fini del riconoscimento della retribuzione nella misura del 100%”.

Ciò, tuttavia, non autorizza assolutamente ad opinare a contrario che il cumulo degli stessi periodi di assenza “misti” valesse invece ai fini del comporto, che rappresenta aspetto indubbiamente distinto da quello afferente la misura del trattamento economico di malattia o di infortunio.

Tornano a valere, infatti, le precedenti e convergenti osservazioni sia circa la chiara collocazione interna all’articolo 42 della disciplina del comporto, sia in ordine all’altrettanto chiaro tenore di tale disciplina, da un lato, riferita esclusivamente ad assenze per malattia e, dall’altro, priva di qualsivoglia indice letterale espressivo della possibilità di una considerazione, prima che di un cumulo, di assenze per causali diverse ai fini della conservazione del posto di lavoro.

Pertanto, la specificazione delimitativa “Ai fini del riconoscimento della retribuzione nella misura del 100%” è da intendere, ex art. 1363 c.c., per la sua collocazione in articolo che, come premesso, regola prevalentemente gli aspetti economici delle tipologie di assenza per malattia e infortunio; e così intesa, diversamente da quanto opinato dalla Corte territoriale, non è affatto priva di senso ex art. 1367 c.c.

8. Tutto ciò considerato, la coerenza sistematica fra clausole contrattuali e norme di legge non integra un criterio ermeneutico dei contratti (l’interpretazione sistematica ex 1363 c.c. è appunto fra clausole del medesimo contratto) (cfr. in tal senso nella motivazione Cass. civ., sez. lav. 10.6.2016, n. 11976, decisione, considerata anche dalla Corte territoriale, la quale pure in base al suddetto rilievo escluse che la norma collettiva in quel caso in considerazione, in tema di comporto, riguardasse anche le assenze per infortunio sul lavoro).

Inoltre, le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale – al pari delle assenze per malattie comuni – sono riconducibili, in linea di principio, all’ampia nozione di infortunio o malattia (di cui all’art. 2110 c.c.), e tali sono parimenti computabili – in difetto di contraria (o comunque diversa) previsione della contrattazione collettiva – nel periodo di comporto (così Cass. civ., sez. lav., 25.11.2004, n. 22248; e in termini analoghi id., 12.10.1988, n. 5501). Ciò di regola, quando tale sommatoria non sia anche espressamente esclusa dalla disciplina pattizia (cfr. Cass. civ., sez. lav., 9.9.2015, n. 17837).

Così come sarebbero pure consentiti nella contrattazione collettiva termini di comporto differenziati in ragione della causa delle assenze (se derivanti o meno da infortunio) e di quella degli infortuni, (se verificatisi o meno sul lavoro) (cfr. Cass. civ., sez. lav., 28.11.2008, n. 28460; e in termini analoghi id., 8.5.1998, Nnum.ero4s7ez1io8na;le 2i11d7./2,023 28.1.1997, n. 860).

9. Ebbene, alla stregua di tutti i superiori rilievi, l’art. 42 in esame non prevede a monte alcun termine di comporto per le assenze da infortunio, né, perciò, alcuna cumulabilità delle stesse con quelle per malattia.

Invero, le parti collettive nell’art. 42 cit. hanno previsto e disciplinato il comporto con esclusivo riferimento alle assenze per malattia, sicché non si riscontra nella specie un’assoluta carenza di disciplina pattizia.

10. Pertanto, la sentenza impugnata dev’essere cassata con rinvio alla Corte territoriale, che, in differente composizione, oltre a regolare anche le spese di questo giudizio di legittimità, dovrà riesaminare il caso, conformandosi all’interpretazione delle previsioni collettive applicabili in tema di comporto, come sopra illustrata nella presente

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso.

Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 19.4.2023.

Il Presidente

Dott. Adriano Piergiovanni Patti

Depositata in Cancelleria il 21 settembre 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.