REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da:
ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI -Presidente-
TIZIANO MASINI -Consigliere-
ALFREDO GUARDIANO -Consigliere-
GIAMPIERO PAOLO CIRILLO -Consigliere-
ROSARIA GIORDANO -Consigliere Relatore-
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;
avverso la sentenza del 24/02/2023 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa ROSARIA GIORDANO;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. ANDREA VENEGONI, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il procuratore della parte civile costituita, avv. (omissis) (omissis), in sostituzione dell’avv. (omissis) (omissis), che ha evidenziato l’inammissibilità e la non fondatezza del ricorso;
udito il difensore del ricorrente, avv. (omissis) che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte clii Appello di l’Aquila confermava la pronuncia di condanna di primo grado del ricorrente per il reato di cui all’art. 483, comma 2, cod. pen. poiché, nella sua qualità di architetto, in una perizia di stima, giurata in cancelleria nella data dell’11 novembre 2015, allegata al contratto di compravendita di un bene acquistato dalla persona offesa il giorno successivo, attestava falsamente la presenza in loco di un laboratorio artigianale non più esistente, indicato nel rogito per un valore di Euro 10.600,00.
2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di l’Aquila l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, a firma del difensore di fiducia avv. (omissis) (omissis) articolando quattro motivi di impugnazione, di seguito riportati nei limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, b), cod.proc.pen., motivazione apparente in ordine agli artt. 192 e 546 del medesimo codice e all’art. 483 cod. pen., nonché assenza di motivazione sulla sussistenza del dolo.
In particolare, secondo la prospettazione dell’imputato, la decisione impugnata non avrebbe, come già quella di primo grado, fornito chiarimenti circa la possibilità di ascrivere la condotta contestata al delitto ex art. 483 cod. pen. quanto alla natura meramente privatistica della perizia di parte, cui la giurisprudenza attribuisce valenza solo indiziaria ai fini probatori, e non amministrativa.
Inoltre la Corte territoriale non avrebbe reso alcuna motivazione sulla sussistenza del dolo, così ascrivendo al medesimo ricorrente una condotta al massimo negligente e dunque colposa.
2.2. Mediante il secondo motivo il ricorrente deduce violazione, da parte della sentenza impugnata, dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., in relazione all’art. 533 del medesimo codice per avere la pronuncia impugnata rovesciato le regole in tema di onere della prova ritenendolo onerato della dimostrazione del momento nel quale era stato demolito il manufatto indicato come esistente nella perizia, così violando la presunzione di innocenza.
2.3. Con il terzo motivo l’imputato denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., mancanza di motivazione sull’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
2.4. Il (omissis) (omissis) con il quarto motivo, lamenta infine mancanza di motivazione in ordine al motivo di appello concernente il diniego delle circostanze attenuanti generiche ex art. 606, comma 1, lett. e), cod.proc.pen., diniego che assume porsi in contrasto con la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena e comunque illegittimo per non aver considerato l’elemento positivo, valorizzato anche dalla pronuncia di primo grado, della sua buona personalità con prognosi favorevole rispetto alla futura commissione di altri delitti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. All’esame dei motivi di ricorso occorre premettere che la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze, integrando una c.d. doppia conforme, possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595 – 01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 12/04/2012, Rv. 252615 – 01).
2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Occorre in primo luogo evidenziare che è corretta la sussunzione giuridica della condotta contestata all’imputato nel reato di cui all’art. 483 cod. pen.
Questa Corte ha infatti da lungo tempo chiarito che la perizia giurata stragiudiziale, introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 5 del r.d. 9 ottobre 1922 n. 1366, è un istituto al quale più volte il legislatore ha fatto ricorso nel delegare al cittadino quelle funzioni di accertamento, una volta riservate alla pubblica amministrazione, ed aventi ad oggetto presupposti di fatto essenziali, connessi all’esercizio di diritti soggettivi e di interessi legittimi.
Ne deriva che, se la falsa attestazione riguarda – come è senz’altro nella fattispecie per cui è processo venendo in rilievo la presenza, o no, del laboratorio artigianale sui luoghi oggetto della perizia – circostanze di fatto oggetto di percezione diretta, e non valutazioni conseguenti alla utilizzazione di regole d’esperienza, è ravvisabile, nei suoi aspetti oggettivi, l’ipotesi delittuosa prevista dall’art. 483 cod. pen., atteso che la formula del giuramento prestato al cancelliere attribuisce al contenuto della perizia, nella parte relativa alla attestazione di fatti oggettivi, la efficacia probatoria conseguente alla natura pubblicistica dell’atto (Sez. 5, n. 12108 del 09/07/1987, Rv. 177156 – 01).
Questo orientamento è rimasto fermo nella giurisprudenza di legittimità successiva che ha ribadito che integra il delitto di falsità ideologica del privato in atto pubblico il rilascio, da parte di un esperto qualificato iscritto in un albo speciale, di false attestazioni in merito a circostanze di fatto oggetto di percezione diretta, riversate in un atto pubblico, costituenti premessa di un provvedimento dell’autorità, amministrativa o giudiziaria, che, in assenza delle stesse, dovrebbe o potrebbe disporre l’accertamento d’ufficio.
In applicazione di tale principio, ad esempio, Sez. 5, n. 12733 del 27/01/2020, Rv. 279021 – 01, ha ritenuto integrato il delitto di cui all’art. 483 cod. pen. in fattispecie relativa all’asseverazione da parte di un tecnico incaricato, mediante falso giuramento reso al cancelliere, di una relazione peritale dallo stesso redatta, nella quale si attestava, contrariamente al vero, che l’immobile oggetto di verifica non aveva subito, in epoca successiva ad una determinata data, interventi edilizi per i quali era necessario il rilascio di concessione edilizia.
Né, del resto, nell’ipotesi in esame il reato di falsità ideologica in atto pubblico può essere escluso perché la perizia giurata dall’imputato che ha attestato la presenza in loco del manufatto già demolito era destinata ad essere allegata a un contratto di compravendita rogiato da un notaio poiché ad essere responsabili di quanto dichiarato su determinate caratteristiche oggettive dell’immobile non rispondenti al vero sono i privati che effettuano la dichiarazione, sulla cui veridicità il notaio non ha alcun obbligo di compiere verifiche (cfr., ex ceteris, Sez. 5, n. 5178 del 12/12/2017, dep. 2018, Rv. 272443 – 01; Sez. 5, n. 11628 del 30/11/2011, dep. 2012, Rv. 252298 – 01).
Pertanto deve essere affermato il principio di diritto per il quale integra il reato di falsità ideologica in atto pubblico la condotta del tecnico che attesti falsamente in una perizia giurata dinanzi al cancelliere l’esistenza ovvero l’inesistenza di circostanze di fatto oggetto di percezione diretta da parte dello stesso (come, nella specie, la presenza sui luoghi di un manufatto già demolito).
La peculiare natura della perizia stragiudiziale giurata che, come evidenziato, non è un atto privatistico, stante la funzione solenne e dunque pubblicistica riservata a tale atto dall’ordinamento proprio per asseverare determinate circostanze da parte di un soggetto avente particolari cognizioni tecniche quale presupposto di ulteriori atti comporta che non possa ritenersi che il ricorrente, professionista esperto, sia incorso in un errore rilevante sulla valenza delle proprie attestazioni non rispondente al vero tale da far escludere l’elemento soggettivo del reato.
3. Peraltro, se si esamina il secondo motivo di ricorso, anch’esso manifestamente infondato, emerge con evidenza la consapevolezza della falsità in capo al ricorrente poiché, a differenza di quanto cerca suggestivamente di argomentare la difesa, dalla lettura congiunta della motivazione delle due decisioni di merito, si evince che la responsabilità del medesimo non è stata presunta ma dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio in forza delle prove documentali acquisite e delle dichiarazioni rese dai testi nel corso del dibattimento.
Elemento decisivo, in particolare, con il quale (omissis) neppure si confronta, è che, sin dalla precedente data del 27 ottobre 2015, lo stesso imputato aveva presentato una relativa al medesimo compendio immobiliare allegando fotografie dalle quali si evinceva che già in quel momento il laboratorio non era più esistente.
Talché, come hanno correttamente affermato i giudici di merito, nella successiva data dell’ll novembre 2015, il ricorrente era senz’altro a conoscenza dell’assenza del manufatto, che ha invece attestato essere esistente nella perizia giurata.
4. Il terzo motivo si disvela, innanzi tutto, inammissibile in quanto generico.
La causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. infatti non si correla solo, come assunto nel ricorso, al fatto che il delitto sia sanzionato con una pena rientrante entro determinati limiti edittali poiché l’esiguità del disvalore segue ad una valutazione congiunta delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile, dell’entità del danno o del pericolo, da apprezzare in relazione ai profili di cui all’art. 133, comma 1, cod. pen. (cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 660 del 02/12/2019, dep. 2020, Rv. 27855 , – 01).
Con il complesso degli indicati elementi il ricorrente ha omesso di confrontarsi, con conseguente genericità del motivo proposto.
Peraltro vi è anche che, come ha costantemente affermato la giurisprudenza di legittimità, la richiesta di applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. deve ritenersi implicitamente disattesa dal giudice qualora la struttura argomentativa della sentenza richiami, anche rispetto a profili diversi, elementi che escludono una valutazione del fatto in termini di particolare tenuità (Sez. 3, n. 43604 del 08/09/2021, Rv. 282097 – 01).
Nella specie, tali elementi vanno ravvisati nei passaggi argomentativi della decisione dai quali si ritrae l’obiettiva gravità della condotta di un professionista che giuri dinanzi ad un cancelliere la presenza sui luoghi di un manufatto inesistente di rilevante valore economico.
5. Quanto all’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche, occorre ricordare, innanzi tutto, che è differente la valutazione che l’autorità giudiziaria deve compiere in ordine ad esse rispetto a quanto avviene ai fini del riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Questa Corte ha più volte affermato, a riguardo, che non sussiste incompatibilità tra il diniego delle circostanze attenuanti generiche e la concessione della sospensione condizionale della pena, o viceversa, avendo i due istituti diversi presupposti e finalità, in quanto il riconoscimento delle prime risponde alla logica di un’adeguata commisurazione della pena, mentre la concessione della seconda si fonda su un giudizio prognostico strutturalmente diverso da quello posto a fondamento delle attenuanti genericl1e (ex multis, Sez. 4, n. 27107 del 15/09/2020, Rv. 280047 – 02; Sez. 4, n. 39475 del 16/02/2016, Rv. 267773 – 01).
Di qui la manifesta infondatezza della doglianza del 1·icorrente che non fornisce, rispetto a quelli da valutare ai fini della sospensione condizionale della pena, elementi ulteriori da vagliare per la concessione delle attenuanti generiche rispetto a quelli già considerati sin dal primo grado di giudizio ai fini della concessione della sospensione condizionale della pena. Infatti, come noto, se la richiesta dell’imputato di riconoscimento delle attenuanti generiche non specifica le circostanze di fatto che fondano l’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il mero richiamo da parte del giudice alla assenza di elementi positivi che possono giustificare la concessione del beneficio (Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018, Rv. 275440; Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015 – dep. 09/03/2016, Rv. 266460).
6. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 proc.pen., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione non consente di ritenere il ricorrente medesimo immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
7. Stante la diffusa memoria presentata dalla parte civile, che ha ripercorso significativi passaggi del giudizio di merito di rilievo per la decisione sul ricorso, devono essere liquidate alla stessa le spese di rappresentanza e difesa del presente giudizio nella misura di euro 3.500,00.
Rispetto a tale liquidazione non è ostativa l’assenza della nota spese, in quanto occorre ribadire che la parte civile ha diritto ad ottenerne la liquidazione qualora abbia formulato richiesta di condanna della controparte alla rifusione non essendo, viceversa, necessario che abbia presentato apposita nota spese ai sensi dell’art. 153 disp. att. cod. proc. pen. (Sez. n. 2311 del 05/12/2018, dep. 2019, Rv. 272857-01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3.500,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 20 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2023.