Ispettorato del lavoro, se è contestata la negligenza per i dati incompleti non c’è dolo (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 29 ottobre 2024, n. 39659).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE PENALE

Composta da

Dott. Luca Ramacci – Presidente –

Dott. Cinzia Vergine – Consigliere –

Dott. Giovanni Giorgianni – Relatore –

Dott. Alessandro Andronio – Consigliere –

Dott. Fabio Zunica – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(omissis) (omissis), nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 27/03/2024 del Tribunale di La Spezia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Giovanni Giorgianni;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Fulvio Badi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

udito l’avvocato (omissis) (omissis), in sostituzione dell’avv. (omissis) (omissis), difensore di fiducia di (omissis) (omissis), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 27 marzo 2024 il Tribunale di La Spezia condannava (omissis) (omissis) alla pena di 500,00 euro di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, per il reato di cui all’art. 4, comma 7, legge n. 628 del 1961, avendo l’imputato, in qualità di Direttore del punto vendita (omissis) (omissis) s.p.a., sito in Sarzana, legittimamente richiesto dall’Ispettorato del Lavoro, fornito notizie ed informazioni scientemente errate ed incomplete sullo svolgimento dell’attività all’interno del predetto esercizio commerciale, in particolare sui dipendenti della (omissis) (omissis) s.r.I., (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis), che avevano lavorato presso il predetto punto vendita.

2. Avverso la sentenza del Tribunale di La Spezia, (omissis) (omissis), tramite il suo difensore, propone ricorso per cassazione, sollevando due motivi.

2.1 Con il primo motivo, denuncia inosservanza della legge penale ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. con riferimento alla fattispecie di reato contravvenzionale prevista dall’art. 4, comma 7, I. n. 628 del 1961, letta in combinato disposto con la disposizione di cui all’art. 43, comma 4, cod. pen., nonché contraddittorietà della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. in relazione all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato per il reato contravvenzionale ascritto in rubrica al medesimo.

2.1.1 In sintesi, sotto il profilo della inosservanza della legge penale, la difesa premette che la fattispecie contravvenzionale contestata si pone in rapporto di specialità rispetto alla tipica configurazione codicistica dei reati contravvenzionali, puniti indifferentemente a titolo di dolo o colpa ai sensi dell’art. 42, comma 2, cod. pen., dal momento che il predetto reato può essere realizzato sia in forma commissiva, sia in forma omissiva.

Sostiene, quindi, il ricorrente che l’ipotesi contravvenzionale commissiva, contestata nel capo di imputazione, sia declinata con i canoni del dolo intenzionale, in ragione dell’utilizzo del termine “scientemente”, elemento soggettivo pienamente integrato dalla coscienza e volontà di fornire all’ufficio richiedente informazioni non vere.

Lamenta il ricorrente che il giudice di primo grado abbia ritenuto che il reato commesso fosse di tipo omissivo e che si protraesse per tutto il tempo in cui il destinatario della richiesta di informazioni avesse omesso volontariamente di adempiere o comunque sino alla data di pronuncia della sentenza di primo grado o dell’emissione del decreto penale di condanna; per poi asserire, sul versante dell’elemento soggettivo, che il reato fosse punito a titolo di colpa, con grave negligenza dell’imputato nel non aver assunto informazioni presso l’ufficio personale dell’azienda.

In tal modo, l’organo giudicante ha eseguito una valutazione di assoluta fungibilità tra l’ipotesi omissiva e quella commissiva, in assenza di riqualificazione del fatto antigiuridico contestato nel capo d’imputazione come ipotesi commissiva connotata dal dolo.

Osserva il ricorrente che il giudice, dopo aver escluso la sussistenza del richiesto elemento psicologico doloso, avrebbe dovuto pronunciare sentenza di assoluzione, perché il fatto non costituisce reato.

2.1.2 Lamenta la difesa, sotto il profilo della contraddittorietà della motivazione, che il giudice di primo grado, dopo aver definito in termini di reticenza il contegno del ricorrente nei confronti delle richieste formulate dagli ispettori dell’INPS, lasciando intendere che il ricorrente stesso avesse volutamente sottaciuto delle circostanze rientranti nella sfera dell’accertamento amministrativo, abbia poi concluso che l’imputato fosse stato gravemente negligente nel non aver assunto informazioni tramite l’ufficio personale dell’azienda, così ravvisandosi una inconciliabilità concettuale tra i due opposti poli della reticenza e della negligenza.

2.2 Con il secondo motivo, deduce il ricorrente erronea applicazione della legge penale ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), con riguardo alla ritenuta non applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis cod. pen., nonché illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza degli elementi giustificativi di un giudizio di tenuità ex art. 131-bis cod. pen. a cagione della richiesta di accesso al giudizio immediato formulata dall’odierno imputato.

Lamenta la difesa che il giudice di primo grado, nel ritenere che l’ipotesi di non punibilità non potesse trovare applicazione non avendo l’imputato estinto il reato, fornendo le informazioni richieste e presentando istanza di oblazione, abbia reso motivazione del tutto inconciliabile con l’ipotesi commissiva contestata.

In secondo luogo, l’aver il Tribunale ritenuto che la volontà di difendersi in giudizio risulti inidonea a fondare un giudizio di non tenuità del fatto rappresenta motivazione manifestamente illogica estranea al perimetro applicativo dell’art. 131-bis cod. pen., poiché significa far discendere un giudizio di non tenuità del fatto da una legittima scelta processuale dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è fondato, con assorbimento del secondo motivo.

Occorre premettere che il reato di cui all’art. 4, comma 7 della legge n. 628 del 1961, consiste nel fatto di colui il quale, legalmente richiesto dall’Ispettorato del lavoro, di fornire notizie sulle materie indicate nel medesimo articolo, non le fornisca o le dia scientemente errate od incomplete. La norma incriminatrice, dunque, sanziona l’inosservanza di obblighi di informazione strumentali a consentire alla competente autorità amministrativa di esercitare le funzioni di vigilanza e controllo alla stessa attribuite dalla legge.

Secondo l’insegnamento di questa Corte, il reato contestato può essere realizzato sia in forma commissiva, allorché il soggetto richiesto dia informazioni mendaci o non pertinenti ovvero trasmetta documentazione diversa da quella a lui richiesta, sia in forma omissiva, allorché il soggetto legalmente richiesto ometta sic et simpliciter di fornire le risposte o la documentazione che gli erano state richieste (Sez. 3, n. 43702 del 12/06/2019, Ascani, Rv. 277983).

La fattispecie in esame configura, nella sua forma omissiva, un reato permanente (Sez. 3, n. 13204 del 23/11/2016, dep. 2017, Meloni), la cui consumazione si protrae fino all’osservanza della disposizione oppure, secondo un certo orientamento, sino alla data della relativa denuncia penale in danno del responsabile (Sez. 3, n. 12722 del 17/01/2019, De Bona; Sez. 3, n. 4687 del 10/12/2002, dep. 2003, Parmegiani, Rv. 22717), mentre, secondo altro e prevalente indirizzo, sino alla notificazione del decreto penale di condanna o sino alla pronuncia della sentenza di primo grado (Sez. 3, n. 43702 del 12/06/2019, Ascani, Rv. 277983, cit.; Sez. 3, n. 4221 del 25/06/2018, dep. 2019, Sorri; Sez. 3, n. 753 del 21/02/1997, Saracino, Rv. 207639).

Tanto premesso, il ricorrente sostanzialmente lamenta che, a fronte della contestazione di una condotta dolosa – l’aver fornito notizie ed informazioni scientemente errate ed incomplete -, il giudice di primo grado lo aveva ritenuto responsabile di una grave negligenza nel non aver assunto informazioni tramite l’ufficio personale dell’azienda.

La censura coglie nel segno, non essendo sufficiente, ai fini dell’affermazione di responsabilità, un atteggiamento di negligenza, seppur grave, nel recupero delle notizie da fornire all’organo ispettivo richiedente, quando la contestazione formulata dal pubblico ministero presupponga che le notizie siano state invece fornite e che lo siano state, “scientemente”, in forma errata ed incompleta.

É pur vero che, nella descrizione dei fatti sviluppata in sentenza, si sottolinea che il ricorrente, acquisite informazioni telefoniche, avesse tenuto un comportamento reticente, dichiarando agli ispettori INPS che solo un lavoratore dipendente della (omissis) (omissis) s.r.l. aveva prestato lavoro nel punto vendita da lui diretto.

Tuttavia, il primo giudice perviene alla conclusione che la condotta deve essere punita a titolo di colpa, ravvisando, nella specie, una condotta gravemente negligente nel non essersi, il ricorrente, adoperato per reperire le informazioni richieste.

Diversamente, come sopra esposto, la lettura del capo di imputazione restituisce l’addebito di una condotta dolosa, ovverosia l’aver fornito notizie ed informazioni scientemente errate ed incomplete. In altri termini, la responsabilità del ricorrente è stata affermata sulla base di un elemento psicologico – grave negligenza nel non aver assunto informazioni tramite l’ufficio personale dell’azienda – completamente diverso da quello originariamente ascritto – l’aver fornito notizie ed informazioni scientemente errate ed incomplete – ed anche sulla base di una motivazione all’evidenza contraddittoria, poiché lo sviluppo argomentativo della sentenza impugnata ha preso le mosse dalla descrizione di un comportamento reticente assunto dal ricorrente innanzi agli ispettori INPS che chiedevano informazioni, per poi approdare, senza alcuna coerenza logica, ad addebitare all’imputato un comportamento negligente su cui fondare la pronuncia di responsabilità penale.

Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di La Spezia, in diversa persona fisica.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di La Spezia, in diversa persone fisica.

Così deciso il 10/10/2024

Il Consigliere estensore                                                                                                       Il Presidente

Giovanni Giorgianni                                                                                                            Luca  Ramacci

Depositato in Cancelleria, oggi 29 ottobre 2024.

SENTENZA