REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Alberto GIUSTI – Presidente –
Dott. Patrizia PAPA – Consigliere –
Dott. Linalisa CAVALLINO – Consigliere –
Dott. Mauro CRISCUOLO – Rel. Consigliere –
Dott. Danilo CHIECA – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10393-2018 proposto da:
(omissis) (omissis), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (omissis) 3, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis) (omissis), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (omissis) (omissis) (omissis), (omissis) (omissis);
-ricorrente-
contro
(omissis) (omissis), elettivamente domiciliato in ROMA, (omissis) (omissis) (omissis) 1/B, presso lo studio dell’avvocato (omissis) (omissis), rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis);
-controricorrente-
nonché contro
(omissis) (omissis);
-intimato-
avverso la sentenza n. 194/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 29/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/10/2023 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
lette le memorie delle parti;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con citazione del 18 ottobre 2008 (omissis) (omissis), figlio di (omissis) (omissis), conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Venezia (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) (omissis), quest’ultima seconda moglie del defunto genitore, per sentire accertare la nullità, invalidità ed inefficacia del testamento olografo dell’8 settembre 2006, con il quale il padre aveva attribuito l‘usufrutto di un immobile in Venezia alla (omissis), ed un magazzino, sempre in Venezia Castello, al (omissis), chiedendo in via subordinata che, in caso di validità del testamento, fosse accertata la lesione della propria quota di legittima.
Nella resistenza della (omissis) e della (omissis), spiegava intervento anche (omissis) (omissis), fratello del testatore, che aderiva alla domanda proposta.
Il Tribunale di Venezia, all’esito dell’istruttoria, dichiarava la nullità del testamento, in quanto privo di sottoscrizione autografa.
Avverso tale sentenza proponeva appello la (omissis), cui resisteva l‘attore, anche quale erede di (omissis) (omissis), nel frattempo deceduto, che insisteva per il rigetto dell’appello.
La Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 194 del 29 gennaio 2018 ha rigettato l’appello della (omissis), ponendo a carico della stessa anche le spese del grado di appello.
Dopo aver preso atto della rinuncia da parte della (omissis) alla domanda avanzata nei confronti dell’appellante, il che determinava tra le stesse la cessazione della materia del contendere, nell’esaminare i primi quattro motivi di appello li reputava infondati.
Dopo avere richiamato l’intervento delle Sezioni Unite del 2015 in ordine al rimedio per fare accertare l’invalidità dell’olografo, rilevava che il Tribunale aveva ritenuto che l‘attore avesse assolto all’onere probatorio circa la falsità della sottoscrizione del testamento apparentemente riferibile al genitore.
Infatti, erano state prodotte delle valide scritture di comparazione che erano state adeguatamente prese in esame da parte del CTU, le cui conclusioni, supportate da un valido metodo scientifico, non potevano essere poste in dubbio per effetto dei rilievi del perito di parte.
Una prima consulenza d’ufficio aveva infatti verificato se le agendine ed i preventivi in carattere stampatello prodotti dalla appellante potessero essere ricondotti al de cuius, e la consulenza aveva ritenuto che la grafia fosse riconducibile ad un’unica mano.
La seconda CTU aveva invece appurato che la sottoscrizione della scheda era apocrifa, pur non essendo stato possibile anche appurare l’autografia del testo della stessa scheda, redatto in carattere stampatello, sebbene vi fossero elementi per ritenere che il tratto grafico della scheda e quello delle agendine e dei preventivi fossero differenti.
Ad avviso dei giudici di appello la valutazione del CTU sul punto era da condividere, atteso che la sottoscrizione del testamento si connotava per l’assenza di naturalezza e spontaneità, essendo il frutto di una mano che operava un controllo della gestualità. Al contrario, le firme di comparazione avevano delle caratteristiche totalmente diverse dalla firma contestata.
Era poi irrilevante appurare la riferibilità delle agendine e dei preventivi al de cuius, e ciò in quanto il carattere stampatello rende più difficile una verifica circa l‘effettiva appartenenza della scrittura alla medesima persona (e ciò sebbene vi fossero seri elementi per ritenere che lo stampatello del testamento fosse differente da quello delle scritture prodotte dall’appellante).
Aggiungeva la Corte d’Appello che la CTU si era peritata di esaminare e confutare i rilievi di parte, avendo evidenziato come il controllo che connotava la firma contestata non consentiva di invocare le precarie condizioni di salute del de cuius, che avrebbero invece dovuto portare ad una sottoscrizione con un tratto deteriorato.
Ancora le critiche del perito di parte non erano ancorate al richiamo a principi protocollari o scientifici il che le rendeva poco idonee a confutare il lavoro del consulente d’ufficio. In merito al mancato utilizzo delle agendine come scritture di comparazione, la Corte distrettuale, oltre a richiamare la discrezionalità del giudice nell’individuare le scritture di comparazione, dovendo essere utilizzate quelle la cui autenticità sia stata già accertata, in assenza di accordo delle parti, rilevava che si trattava di documenti scritti in stampatello e che quindi non offrivano validi elementi di valutazione per la sottoscrizione che era invece in carattere corsivo.
L‘assenza di interesse in capo all’appellante a sentire accertare l’autenticità delle agendine discendeva, quindi, da tale considerazione, oltre che dal fatto che già la CTU si era espressa nel senso della differenza tra la grafia di tali documenti e quella invece del testo della scheda impugnata.
Infine, era reputato ammissibile l’intervento del fratello del de cuius, dovendosi reputare, in dissenso rispetto alle censure mosse con il quinto motivo di appello, un concreto interesse dell’interventore alla sorte del presente giudizio, in quanto titolare di un rapporto giuridico connesso, stante la comproprietà con il de cuius di alcuni beni immobili.
2. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso (omissis) (omissis) sulla base di due motivi.
(omissis) (omissis) resiste con controricorso.
(omissis) (omissis) non ha svolto difese in questa fase.
Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
3. Preliminarmente rileva la Corte che il ricorso, sebbene relativo all’impugnazione di una sentenza avente ad oggetto un’impugnativa di testamento, non risulta essere stato notificato nei confronti di tutti i soggetti che hanno preso parte al precedente giudizio di merito, non essendo stato infatti indirizzato anche nei confronti di (omissis) (omissis) (omissis), e cioè del coniuge del de cuius (verosimilmente sul presupposto che tra la ricorrente e la detta parte era intervenuta la cessazione della materia del contendere).
E’ bensì vero che nella specie si versa in un caso di litisconsorzio necessario, anche nel grado di impugnazione, dovendo al giudizio nel quale si controverte della validità del testamento prendere parte tutti gli eredi legittimi, per cui sarebbe indispensabile l’impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti; con la conseguenza che dovrebbe disporsi, ai sensi dell’ , l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari, a cui il ricorso non è stato in precedenza notificato.
Senonché, occorre ribadire che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’________ e dagli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti del l’uomo e delle libertà fondamentali) impone al giudice (ai sensi degli artt.__________ e _________ ) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’________, da sostanziali garanzie di difesa (_________) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (____________) dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti (Cass. 17 giugno 2013 n. 15106; Cass. 8 febbraio 2010 n. 2723).
In applicazione di detto principio, essendo il presente ricorso (per le ragioni che andranno ad esporsi nel prosieguo) prima facie infondato, appare superflua la fissazione di un termine per l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti.
4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 602 c.c., per avere la Corte d’Appello confuso la “sottoscrizione” di cui all’art. 602 c.c., con la “sottoscrizione notarile” e con la “firma”, avendo quindi omesso di far svolgere la CTU sulla base delle scritture di comparazione offerte dalla ricorrente.
Si deduce che la giurisprudenza di legittimità ha inteso in senso ampio la nozione di sottoscrizione prescritta per il testamento olografo, avendo quindi ritenuto che sia tale anche l‘utilizzo di indicazioni diverse dal nome e cognome, sempre che le stesse consentano di riferire l’atto al testatore senza margini di incertezza. Ben diversa è la nozione di sottoscrizione invece prescritta per gli atti notarili.
La CTU si è avvalsa come scritture di comparazione di documenti nei quali la firma è imposta con caratteristiche formali, invece superflue per il testamento, e tale errore ha quindi inficiato l’accertamento del CTU, che avrebbe invece dovuto avvalersi anche delle scritture di comparazione prodotte dalla ricorrente.
Il motivo è manifestamente infondato.
I giudici di appello hanno correttamente richiamato il principio affermato da questa Corte secondo cui, in tema di nullità del testamento olografo, la finalità del requisito della sottoscrizione, previsto dall’art. 602 c.c. distintamente dall’autografia delle disposizioni in esso contenute, ha la finalità di soddisfare l’imprescindibile esigenza di avere l’assoluta certezza non solo della loro riferibilità al testatore, già assicurata dall’olografia, ma anche dell’inequivocabile paternità e responsabilità del medesimo che, dopo avere redatto il testamento – anche in tempi diversi – abbia disposto del suo patrimonio senza alcun ripensamento, onde l’accertata apocrifia della sottoscrizione esclude in radice la riconducibilità dell’atto di ultima volontà al testatore (Cass. n. 18616/2017; Cass. n. 11195/2012).
Il richiamo di parte ricorrente al diverso principi o secondo cui l’art. 602 c.c., respingendo ogni rigore formale, riconosce valore alla sottoscrizione del testamento olografo anche se non è fatta con l’indicazione del nome e cognome, purché designi con certezza la persona del testatore, sicché deve ritenersi valida la manifestazione della volontà testamentaria effettuata mediante uno scritto avente forma di lettera, quando risulti con certezza la persona del testatore e l’espressione della di lui volontà testamentaria (cfr. Cass. n. 26791/2016; Cass. n. 134/1964), non risulta però pertinente rispetto alla vicenda in esame, in quanto avrebbe potuto avere incidenza nel caso in cui la sottoscrizione da parte del testatore non fosse avvenuta con la riproduzione del nome e del cognome, ma tramite l’utilizzo di espressioni verbali diverse, ma comunque in ipotesi idonee a ricondurre all’autore la paternità dell’atto.
Come ha correttamente rilevato la sentenza impugnata la sottoscrizione del testamento è avvenuta da parte dell’apparente autore in maniera formale, e cioè con l’indicazione del nome e del cognome, e con l’utilizzo, a differenza del testo e della datazione, con carattere corsivo e non in stampatello.
Anche a voler ipotizzare che il de cuius fosse solito ricorrere alla redazione di testi in stampatello (cfr. Cass. n. 31457/2018, a mente della quale l’abitualità e la normalità del carattere grafico adoperato non rientrano fra i requisiti formali del testamento olografo ai sensi dell’art. 602 c.c., benché assumano un pregnante valore probatorio nell’ottica dell’attribuzione della scheda al testatore, così che l’uso dello stampatello non può escludere di per sé l’autenticità della scrittura, pur se rappresenta, ove non sia giustificato dalle condizioni psico-fisiche o da abitudine del dichiarante o da altre contingenze, il cui esame è di esclusiva competenza del giudice di merito, un elemento significativo del quale tenere conto ai fini della valutazione di tale autenticità), emerge che tuttavia la sottoscrizione è avvenuta con modalità conformi a quanto prescritto per la cd. “sottoscrizione notarile“ (per usare l’espressione di cui al motivo di ricorso), e che peraltro il confronto ai fini della verifica dell’autenticità non poteva che avvenire con scritture aventi le medesime caratteristiche, essendo infondata la pretesa della ricorrente di avvalersi di documenti che risultavano redatti in stampatello e che quindi non potevano fungere da valido riferimento per il confronto (avendo lo stesso CTU messo in dubbio la corrispondenza tra il tratto a stampatello del testamento con quello dei documenti prodotti dalla ricorrente).
La differenza di carattere tra l’elemento di cui occorreva verificare l’autenticità (la sottoscrizione della scheda) e le scritture da valorizzare in chiave comparativa rende quindi incensurabile la conclusione della Corte d’Appello, che ha reputato di condividere il giudizio del Tribunale a sua volta fondato sulla consulenza che si era avvalsa di scritture comparative assolutamente omogenee rispetto allo scritto in contestazione, per la parte relativa alla sottoscrizione, la cui falsità rende nullo l‘intero testamento.
5. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c., per avere la Corte d‘Appello violato il principio di disponibilità e valutazione delle prove.
Si deduce che la sentenza impugnata si basa solo sulla CTU, che però non può da sola fondare l’accertamento della falsità.
Il motivo è inammissibile.
La violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016; Cass. S.U. n. 16598/2016).
In particolare, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. S.U. n. 20867/2020, secondo cui i tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione).
Alla luce di tali principi emerge in maniera evidente come non ricorra alcuna violazione dell’art. 2697 c.c., avendo la sentenza chiaramente affermato che dal materiale probatorio in atti emergesse il pieno assolvimento dell’onere probatorio incombente sull’attore, e ciò anche attraverso il richiamo alle conclusioni del CTU, dovendosi reputare che l’indagine affidata all’ausiliario avesse anche in parte carattere percipiente.
Nel motivo la parte si limita a richiamare una pretesa regola di minore affidabilità della perizia grafologica rispetto ad altri accertamenti di carattere tecnico, ma trascura di ricordare che anche nei casi in cui tale principio è stato espresso, si è altresì specificato che la limitata consistenza probatoria della consulenza grafologica, non suscettiva di conclusioni obiettivamente ed assolutamente certe, esige non solo che il giudice fornisca un’adeguata giustificazione del proprio convincimento in ordine alla condivisibilità delle conclusioni raggiunte dal consulente, ma anche che egli valuti l’autenticità della sottoscrizione dell’atto, eventualmente ritenuta dalla consulenza, anche in correlazione a tutti gli altri elementi concreti sottoposti al suo esame.
A tale dovere la sentenza impugnata non si è sottratta, avendo ricordato come la consulenza fosse stata redatta nel rispetto delle regole maggiormente accreditate nella comunità scientifica di riferimento, aggiungendo che invece le critiche del perito di parte non indicavano quali diversi principi, sempre di carattere scientifico, fossero stati violati.
Inoltre, anche in relazione ad alcune delle osservazioni, quali quelle concernenti lo stato di salute del testatore alla data dell’atto, la sentenza ha sottolineato come proprio la tesi di parte appellante avrebbe dovuto portare ad una sottoscrizione con delle connotazioni ben diverse da quelle della firma apposta sula scheda, che invece era espressione dell’attività di un soggetto che l‘aveva vergata in maniera controllata, prevalendo lo scopo della costruzione di una firma che fosse simile a quella autentica, e priva quindi della spontaneità del gesto che connota la firma autentica.
6. L’infondatezza anche del secondo motivo comporta quindi il rigetto del ricorso.
7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Nulla a disporre quanto alla parte rimasta intimata.
8. Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi € 10.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 19 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2023.
SENTENZA – copia non ufficiale -.
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Dispositivo dell’art. 602 Codice Civile
Il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore [606, 684, 685 c.c.].
La sottoscrizione deve essere posta alla fine delle disposizioni. Se anche non è fatta indicando nome e cognome, è tuttavia valida quando designa con certezza la persona del testatore.
La data deve contenere l’indicazione del giorno, mese e anno. La prova della non verità della data è ammessa soltanto quando si tratta di giudicare della capacità del testatore [591 c.c.], della priorità di data tra più testamenti o di altra questione da decidersi in base al tempo del testamento [651, 656, 657, 687 c.c.].