La detenzione domiciliare integra impossibilità sopravvenuta alla prestazione con effetti estintivi del rapporto di lavoro (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 7 ottobre 2024, n. 26208).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistati:

Dott. DORONZO ADRIANA                             – Presidente –

Dott. LEONE MARGHERITA MARIA                – Consigliere –

Dott. PONTERIO CARLA                                   – Consigliere –

Dott. CASO FRANCESCO GIUSEPPE LUIGI    – Consigliere –

Dott. MICHELINI GUALTIERO                         – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 20456-2020 proposto da:

(omissis) (omissis), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (omissis) (omissis);

-ricorrente-

contro

E – DISTRIBUZIONE S.P.A. (già ENEL DISTRIBUZIONE S.P.A.), società con socio unico, soggetta all’attività di direzione e coordinamento di ENEL S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE (omissis) (omissis) 21/23, presso lo studio degli avvocati (omissis) (omissis) (omissis), (omissis) (omissis) (omissis), che la rappresentano e difendono;

-controricorrente-

avverso la sentenza n. 5901/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 15/11/2019 R.G.N. 2840/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/09/2024 dal Consigliere Dott. GUALTIERO MICHELINI.

RILEVATO CHE

1. con sentenza n. 3796/2015, la Corte d’Appello di Napoli dichiarava improcedibile il gravame di (omissis) (omissis) avverso la sentenza del Tribunale di Napoli, che ne aveva rigettato le domande volte alla dichiarazione di illegittimità dei provvedimenti, disposti nei suoi confronti da Enel Distribuzione S.p.A., di risoluzione del rapporto in data 22/9/2011 e di licenziamento disciplinare in data 17/11/2001;

2. con sentenza n. 20079/2018, questa Corte accoglieva per quanto di ragione il ricorso di (omissis) (omissis), relativamente al motivo concernente la dichiarata improcedibilità dell’appello, ribadendo che questa può essere dichiarata unicamente nei casi di inesistenza della notifica e non anche nei casi in cui -come quello in esame – la notifica sia stata effettuata dall’appellante, sia pure in violazione del termine posto dall’art. 435, comma terzo; infatti, nel rito del lavoro l’inosservanza, in sede di ricorso in appello, del termine dilatorio a comparire non comporta la nullità dello stesso atto di appello, bensì quella della sua notificazione, sanabile ex tunc per effetto di spontanea costituzione dell’appellato o di rinnovazione, disposta dal giudice ex art. 291 c.p.c.; cassava per questa ragione la sentenza impugnata e rinviava, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione;

3. riassunta la causa dal lavoratore, la Corte d’Appello di Napoli, con sentenza n. 5901/2019 rigettava l’appello e compensava tra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio;

4. con la seconda sentenza d’appello, la Corte di Napoli osservava, in particolare, che:

– al lavoratore era stata comunicata risoluzione del rapporto di lavoro in data 22.9.2011, ai sensi dell’art. 34, comma 3, CCNL Elettrici applicato al rapporto e successivamente gli era stato comunicato licenziamento per giusta causa in data 17.11.2011;

– a seguito di impugnazione di entrambi i provvedimenti datoriali, il Tribunale aveva rigettato i ricorsi riuniti, affermando la legittimità della clausola contrattuale collettiva posta a base del primo licenziamento;

– segnatamente il primo recesso era stato comminato a seguito di provvedimento di restrizione della libertà personale (arresti domiciliari) del 18.9.2010, poi tramutato, dopo dieci mesi, in obbligo di firma quotidiano; ciò aveva comportato la sospensione del rapporto di lavoro e la mancata prestazione lavorativa per il periodo di 1 anno;

– l’azienda, decorso il termine di dodici mesi previsto dalla norma contrattuale collettiva, aveva comunicato la risoluzione del rapporto, atteso che, anche in seguito alla modifica della misura cautelare, detta condizione risultava incompatibile con l’organizzazione aziendale;

– la fattispecie regolata dalla norma contrattuale collettiva veniva ricondotta alla verificazione di fatto che, ancorché non imputabile al lavoratore, è tale da non consentire di fornire la regolare prestazione lavorativa, quale impossibilità sopravvenuta con effetti estintivi del rapporto, secondo una previsione contrattuale che individua l’arco temporale di tolleranza ex ante dodici mesi, determinando la mancanza della prestazione lavorativa per ragioni non imputabili al dipendente un difetto funzionale della causa (anche quando la misura cautelare custodiale era stata sostituita da misura coercitiva obbligatoria);

– non vi era interesse ad agire in relazione al successivo recesso disciplinare, perché privo di efficacia, essendo intervenuto a rapporto già cessato;

5. avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli quale giudice del rinvio propone ricorso per cassazione (omissis) (omissis) con sette motivi;

resiste E-distribuzione con controricorso;

entrambe le parti hanno depositato memoria;

al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;

CONSIDERATO CHE

1. con il primo motivo, il ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione ed erronea o falsa applicazione degli artt.101 Cost., 113, 112, 101 c.p.c.; sostiene che la clausola di risoluzione automatica del rapporto lavorativo non può derogarein peius le disposizioni legali, e che, optando per la procedura disciplinare, il datore aveva rinunciato ad avvalersene;

2. con il secondo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione degli artt. 1418, 1343, 1344 c.c., nullità o illegittimità dell’art. 34 CCNL Elettrici, violazione degli artt.2118 e 2119 cc., 1 ss. legge n. 604/1966, 7 e 18 legge n. 300/1970, 25 CCNL Elettrici, 2066 e 2071 c.c. in tema di inderogabilità e di contenuto del contratto collettivo; sostiene l’erroneità del mancato accoglimento dell’eccezione di nullità dell’art. 34 CCNL, che si pone in contrasto con la normativa sui licenziamenti e con i principi di tipicità e tassatività dei motivi di recesso, e che non è stata considerato la violazione della procedura disciplinare;

3. con il terzo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione degli artt. 1175, 1337, 1375 c.c. e difetto di motivazione e causa della risoluzione, inesistenza dell’impossibilità della prestazione, nullità del provvedimento per nullità della causa ex art. 1343 c.c.; sostiene erronea mancata considerazione della violazione dei principi di buona fede e correttezza contrattuale, in quanto era stata rifiutata la prestazione lavorativa e non erano stati specificati i motivi dell’impossibilità della prestazione;

4. con il quarto motivo, deduce (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione del giudicato e omesso esame del giudicato relativamente alla sentenza penale di assoluzione del lavoratore, da parte del Tribunale di Napoli del 2017, in procedimento in cui il datore di lavoro si era costituito parte civile senza impugnare la pronuncia;

5. con il quinto motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) nullità della sentenza per mancata applicazione della normativa sui licenziamenti con un’interpretazione abnorme dell’art. 34 CCNL cit., violazione o falsa applicazione degli artt.1256 e 2729 c.c. e dell’art. 5 legge n. 604/1966 in tema di prova, nonché imputabilità della causa al datore di lavoro; sostiene che, attivato l’artt. 25 CCNL, il datore non poteva procedere ai sensi dell’art. 34;

6. con il sesto motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o errata applicazione dell’art. 34 CCNL ed errata qualificazione della fattispecie; sostiene che la Corte di merito ha errato nell’applicare l’art. 34 CCNL, senza considerare che la procedura era alternativa a quella disciplinare, parimenti avviata;

7. con il settimo motivo, deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) omessa decisione in tema di violazione degli artt. 113, 115, 116 c.p.c., violazione degli artt. 2697 c.c., 244 e 416 c.p.c., vizio di motivazione inadeguata, in contrasto con i fatti e illogica nell’utilizzo di una prova inesistente;

8. le censure riferite al profilo della dedotta nullità (e conseguente richiesta di disapplicazione) dell’art. 34 CCNL Elettrici applicato al rapporto, oggetto del primo e del secondo motivo, da trattare congiuntamente per connessione, non sono fondate;

9. come di recente chiarito da questa Corte in fattispecie regolata dalla norma contrattuale collettiva in esame (Cass. n. 6714/2021), la sottoposizione del lavoratore a carcerazione preventiva (anche per fatti estranei al rapporto di lavoro) non costituisce inadempimento degli obblighi contrattuali, ma consente il licenziamento per giustificato motivo oggettivo ove, in base ad un giudizio ex ante, tenuto conto di ogni circostanza rilevante ai fini della determinazione della tollerabilità dell’assenza (tra cui le dimensioni dell’impresa, il tipo di organizzazione tecnico-produttiva, le mansioni del dipendente, il già maturato periodo di sua assenza, la ragionevolmente prevedibile ulteriore durata dell’impedimento, la possibilità di affidare temporaneamente ad altri le mansioni senza necessità di nuove assunzioni), non persista l’interesse del datore di lavoro a ricevere le ulteriori prestazioni del dipendente, senza che sia configurabile, inoltre, a carico del datore di lavoro, l’obbligo del cd. repêchage;

10. in questo senso, l’art. 34 CCNL Elettrici codifica una situazione di fatto oggetto di bilanciamento degli interessi contrapposti delle parti, ovvero la preventiva e generale rappresentazione ai lavoratori che l’assenza prolungata per più di dodici mesi, ancorché non imputabile, determina, di regola, il venire meno dell’interesse datoriale all’eventuale e futura prestazione residua, decorso, cioè, un congruo periodo di diritto alla conservazione del posto;

11. la riconduzione della fattispecie alla categoria generale dell’impossibilità sopravvenuta dell’obbligazione di cui agli artt. 1463 e 1464 c.c. significa che la specifica fattispecie come regolata dal CCNL applicato al rapporto configura il recesso come determinato dalla mancanza di un interesse apprezzabile all’adempimento parziale della prestazione, rimanendo la persistenza o meno di un interesse rilevante a ricevere le possibili prestazioni, in ipotesi di assenza dal lavoro per carcerazione preventiva o altra misura cautelare, da parametrare alla stregua di criteri oggettivi, riconducibili a quelli fissati nell’ultima parte dell’art. 3 della legge n. 604/1966, e cioè con riferimento alle oggettive esigenze dell’impresa, da svolgere, però, con una valutazione ex ante, e non già ex post, in cui si tenga conto delle dimensioni dell’impresa, del tipo di organizzazione tecnico-produttiva, della natura ed importanza delle mansioni del dipendente, del già maturato periodo di sua assenza, della ragionevole prevedibilità di ulteriore durata dell’impossibilità, della possibilità di affidare temporaneamente ad altri le mansioni senza necessità di nuove assunzioni e, più in generale, di ogni altra circostanza rilevante ai fini della determinazione della tollerabilità dell’assenza (così Cass. n. 6714/2021, cit., in motivazione; cfr. anche Cass n. 19135/ 2016, n. 12721/2009, n. 6803/2003);

12. la Corte territoriale si è attenuta a tali principi, in particolare alla regola per cui la sussistenza dell’impedimento va verificata al momento del recesso (Cass. n. 13662/2018); con accertamento in fatto, di cui è chiara la ratio decidendi, ha ritenuto che il protrarsi dell’assenza del dipendente, per più di un anno, fosse tale da determinare la perdita di interesse del datore di lavoro all’eventuale prestazione residua; la valutazione svolta circa l’interesse dell’imprenditore alla prestazione lavorativa, rimessa al giudice di merito, che vi ha provveduto avendo riguardo alle possibili e prevedibili capacità lavorative del prestatore e all’organizzazione dell’azienda, non è censurabile in sede di legittimità;

13. in via derivata, risulta non fondato anche il quarto motivo di ricorso , perché la formazione di giudicato penale sugli addebiti disciplinari è estranea ai motivi del recesso in esame, intimato in base a clausola contrattuale collettiva legittima e riferita a circostanze oggettive (prolungata assenza, anche per causa non imputabile al lavoratore, assenza di interesse del datore alle prestazioni residue in base ad accertamento in fatto con valutazione ex ante) svincolate dall’esito del giudizio penale;

14. la ritenuta legittimità della clausola contrattuale collettiva determina altresì l’infondatezza delle censure riferite al profilo della dedotta alternatività tra la procedura di recesso di cui all’art. 34 CCNL Elettrici applicato al rapporto e quella disciplinare di cui all’art. 25 CCNL pure avviata da parte datoriale (oggetto del quinto e sesto motivo, ma in parte anche del primo e del secondo);

15. la pacifica sequenza temporale dei fatti (come riportata a pp. 17-18 del ricorso) è, in sintesi la seguente: settembre 2010 – sospensione del rapporto lavorativo a seguito di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari; aprile 2011 – contestazione disciplinare; luglio 2011 – sostituzione della misura cautelare, messa a disposizione del lavoratore, conferma della sospensione del rapporto lavorativo da parte del datore di lavoro; settembre 2011 – risoluzione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 34 CCNL; novembre 2011 -licenziamento disciplinare;

16. parte datoriale ha avviato entrambe le procedure previste dalla contrattazione collettiva; la procedura di recesso ai sensi dell’art. 34 CCNL si è conclusa anteriormente; il licenziamento disciplinare è stato intimato per il caso di accoglimento di impugnativa del precedente recesso; poiché il primo recesso è stato ritenuto legittimo, le questioni riguardanti il (secondo) licenziamento, condizionato all’annullamento del primo recesso in accoglimento dell’impugnativa dello stesso, condizione non verificatasi, risultano non (più) rilevanti, come correttamente osservato dalla Corte di merito, qualificando la relativa domanda come carente di interesse ad agire;

17. del resto, il fatto che la procedura di recesso per impossibilità prolungata della prestazione lavorativa nei termini fissati dalla contrattazione collettiva e quella disciplinare possano essere percorse parallelamente risulta anche dalla lettera della norma contrattuale, che, tra l’altro, stabilisce che “in ogni altro caso di interruzione del servizio dovuta a provvedimenti restrittivi della libertà personale del lavoratore o comunque tali da impedirne la prestazione lavorativa, ove non ricorrano gli estremi per la risoluzione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 25 (“provvedimenti disciplinari”) del presente contratto, è fatta salva, ove già esistente a livello aziendale, la conservazione del rapporto di lavoro del lavoratore non in prova (per un periodo di 12 mesi), che rimane sospeso a tutti gli effetti, senza alcuna corresponsione né decorrenza di anzianità”; l’impedimento prolungato alla prestazione lavorativa è sì alternativo al licenziamento disciplinare, perché gli istituti rispondono a logiche e presupposti diversi, ma non in termini di preclusione di una procedura rispetto all’altra o tali da assegnare alla procedura disciplinare un significato di sterilizzazione della procedura di recesso per impedimento della prestazione lavorativa;

18. il terzo e il settimo motivo, che attengono a profili di valutazione probatoria sull’impossibilità di proficuo utilizzo della prestazione lavorativa, dopo la sostituzione della misura cautelare, non sono ammissibili;

19. essi si risolvono nella contestazione della valutazione probatoria dei giudici di merito, insindacabile in sede di legittimità qualora congruamente argomentata (Cass. n. 29404/2017, n. 1229/2019, S.U. n. 34476/2019, S.U. 20867/2020, n. 5987/2021, n. 6774/2022, n. 36349/2023), non essendo consentita, sotto l’apparente deduzione di una violazione di norme di legge, la rivalutazione dei fatti e delle prove operata nel merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un terzo grado di merito nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi, al fine di un loro riesame (v. Cass. n. 15568/2020, e giurisprudenza ivi richiamata; Cass. n. 20553/2021, n. 20814/2018, n. 18721/2018, n. 8758/2017);

20. in ragione della soccombenza, parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo; sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione;

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale dell’11 settembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 7 ottobre 2024.

SENTENZA – copia non ufficiale -.