LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GUIDO RAIMONDI – Primo Presidente f.f. –
Dott. GIACOMO TRAVAGLINO – Presidente di Sezione –
Dott. ORONZO DE MASI – Consigliere –
Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI – Consigliere –
Dott. ENRICO SCODITTI – Consigliere –
Dott. ALBERTO GIUSTI – Consigliere –
Dott. CHIARA GRAZIOSI – Rel. Consigliere –
Dott. GIULIA IOFRIDA – Consigliere –
Dott. IRENE TRICOMI – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 15066-2021 proposto da:
CONSORZIO DI BONIFICA (OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) domiciliati presso lo studio dell’avv.to (OMISSIS) (OMISSIS) che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 56/2021 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 17/03/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/06/2023 dal Consigliere dott.ssa CHIARA GRAZIOSI;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale, dott. CORRADO MISTRI, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del quarto motivo e per il rigetto dei primi tre motivi di ricorso e comunque, in via di subordine, per l’integrale rigetto del ricorso:
RITENUTO CHE:
(omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) con ricorso del 23 ottobre 2017 impugnavano davanti al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche il parere negativo emesso il 27 luglio 2017 dal Consorzio di Bonifica (omissis) in ordine a lavori di manutenzione straordinaria per un edificio di loro comproprietà sito in (omissis)
Con controricorso resisteva il Consorzio.
Il Tribunale adito, con sentenza del 17 marzo 2021, accoglieva il ricorso e per l’effetto annullava l’atto impugnato.
Ha presentato ricorso il Consorzio sulla base di quattro motivi; controparte si è difesa con controricorso.
Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta per il rigetto dei primi tre motivi e la dichiarazione di inammissibilità del quarto, in subordine instando per il rigetto di tutti i quattro motivi.
Sia il ricorrente, sia i controricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE:
1.1. Il primo motivo presenta la seguente rubrica: “Difetto di giurisdizione e/o di incompetenza del Violazione dell’art. 143, lettera a), R.D. 1775/1933. Giurisdizione del giudice amministrativo. Carenza di motivazione”.
Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche avrebbe riconosciuto la propria giurisdizione “sulla base di un’evidente petizione di principio”, deducendola, in riferimento all’articolo 143, primo comma, lettera a), r.d. 1775/1933, dall'”uso del demanio idrico – in esso compreso (sic) la fascia di rispetto dal piede dell’argine del corso d’acqua -“. Detta norma attribuisce al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, optando quindi per un unico grado, “i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi dall’amministrazione in materia di acque pubbliche”. Però controparte non si sarebbe limitata nella impugnazione a rilevare i vizi che rientrerebbero nella giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, ma si sarebbe estesa “a valutazioni di stretta pertinenza dell’autorità preposta al controllo urbanistico del territorio”, argomentando di aver previsto interventi edilizi di manutenzione straordinaria che non avrebbero in alcun modo modificato “il sedime e la sagoma degli edifici” e richiamando pure il Piano di Assetto del Territorio (PAT).
D’altronde tali censure involgerebbero un sindacato di merito, cui non si estende il potere cognitivo nel caso in esame, previsto esclusivamente nelle lettere b) e c) dell’invocato articolo 143; e ciò tanto più se si ritenesse il ricorso diretto a denunciare violazione dell’articolo 133 r.d. 368/1904.
La giurisprudenza di queste Sezioni Unite ha comunque riconosciuto che la giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche nella fattispecie di cui all’articolo 143, primo comma, lettera a), r.d. 1775/1933 “ha per oggetto i ricorsi avverso provvedimenti amministrativi che – pur se promananti da autorità diverse da quelle specificamente preposte alla tutela delle acque – siano caratterizzati dall’incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche” (così S.U. ord. 24 ottobre 2017 n. 25184 e altri arresti precedenti).
In conclusione il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche non avrebbe effettivamente preso posizione sui profili censurati, pur essendo stati oggetto di contraddittorio.
1.2. A tacer d’altro, il motivo si avvale, estrapolandole dal tessuto complessivo, di alcune argomentazioni secondarie che erano presenti nel ricorso introduttivo promosso dai proprietari dell’edificio de quo.
Oggetto del ricorso, infatti, è stato il parere del Consorzio di Bonifica (omissis) relativo a lavori di manutenzione straordinaria ad un immobile in parte ricadente – come risulta da uno stralcio dell’introduttivo ricorso riportato nel motivo in esame a pagina 10 del presente ricorso sulla “fascia di rispetto idraulico relativa al (omissis) (omissis) riconosciuto “acqua pubblica”- nella fascia di rispetto di un corso d’acqua pubblica. Il parere del relativo Consorzio ricade pertanto ictu oculi nell’area giurisdizionale delineata dall’articolo 143, primo comma, lettera a), r.d. 1775/1933 (“i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi dall’amministrazione in materia di acque pubbliche”), come concisamente ma nitidamente dichiarato nella sentenza impugnata, a pagina 3: “L’uso del demanio idrico – in esso compreso la fascia di rispetto del piede dell’argine del corso d’acqua – per definizione, ai sensi dell’art. 143, comma 1, lett. a) r.d. 11 dicembre 1933 n. 1775, è l’ubi consistam della giurisdizione riservata al TSAP”; e ciò in conformità non solo con l’assoluta evidenza del testo normativo, ma altresì con la giurisprudenza di queste Sezioni Unite invocata dallo stesso ricorrente sulla dirimente caratterizzazione dell’oggetto – le acque pubbliche – ai fini della identificazione dell’organo dotato di giurisdizione.
La più recente pronuncia tra quelle invocate dal ricorrente è S.U. ord. 24 ottobre 2017 n. 25184, non massimata, per cui infatti la giurisdizione del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche nella fattispecie di cui all’articolo 143, primo comma, lettera a), r.d. 1775/1933 “ha per oggetto i ricorsi avverso provvedimenti amministrativi che – pur se promananti da autorità diverse da quelle specificamente preposte alla tutela delle acque – siano caratterizzati dall’incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche …, mentre restano fuori da tale competenza giurisdizionale tutte le controversie che solo in via di riflesso, o indirettamente, abbiano una siffatta incidenza”.
Questa ordinanza ha seguito d’altronde uno stabile orientamento: si vedano, p. es., tra gli arresti massimati, S.U. 6 luglio 2005 n. 14195 – per cui “la giurisdizione di legittimità in unico grado del Tribunale superiore delle acque pubbliche, prevista dall’art. 143, primo comma, lett. a), del r.d. 11 dicembre 1933, n. 1775 con riferimento ai “ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i provvedimenti definitivi presi dall’amministrazione in materia di acque pubbliche“, sussiste solo quando i provvedimenti amministrativi impugnati siano caratterizzati da incidenza diretta sulla materia delle acque pubbliche, nel senso che concorrano, in concreto, a disciplinare la gestione, l’esercizio delle opere idrauliche” -, S.U. ord. 14 giugno 2006 n. 13692, S.U. 24 aprile 2007 n. 9843, S.U. 20 novembre 2008 n. 27528, S.U. 17 aprile 2009 n. 9149, S.U. ord. 12 maggio 2009 n. 10845, e, più di recente, S.U. ord. 28 dicembre 2018 n. 33656 – che ribadisce la giurisdizione del TSAP ai sensi dell’articolo 143, primo comma, lettera a), r.d. 1775/1933 tutti i ricorsi contro provvedimenti che “riguardino comunque l’utilizzazione del demanio idrico, incidendo in maniera diretta e immediata sul regime delle acque pubbliche” – nonché S.U. ord. 22 aprile 2022 n. 12962.
Tutto ciò, ovviamente, assorbe ogni altra censura (si rammenta peraltro che, quanto alla pretesa carenza della motivazione in punto di diritto, il rilievo non ha pertinenza, qualora la norma che disciplina la fattispecie venga correttamente individuata ed applicata) e conduce a disattendere il motivo in esame.
2.1. Il secondo motivo denuncia “error in iudicando” per avere il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche ritenuto lesivo l’atto endoprocedimentale de quo, cioè il parere dell’attuale ricorrente, violazione degli articoli 100 c.p.c. e 143 r.d. 1775/1933, eccesso di potere per travisamento, carenza assoluta e/o oggettiva incomprensibilità della motivazione in riferimento all’articolo 360, primo comma, n. 5 c.p.c.
La sentenza impugnata avrebbe affermato, “sulla scorta di un lacerto di motivazione ., che, sic et simpliciter, <<il parere impugnato determina l’arresto del procedimento>>, è <<ipso facto lesivo>> e <<comporta l’interesse attuale e concreto impugnato da parte di chi ha presentato istanza di rinvio del procedimento volto ad ottenere il provvedimento favorevole>>”. Si tratterebbe di un “laconico passaggio” rimanente “privo di alcun approfondimento”.
In sintesi, si osserva che non ogni provvedimento che determini l’interruzione del procedimento è impugnabile, non essendo tale “quello che si inserisca in una serie procedimentale più ampia e destinata a concludersi con altro provvedimento”; e su questo l’argomentazione si sviluppa, richiamando giurisprudenza nel senso della inammissibilità del ricorso avverso un atto consultivo endoprocedimentale (l’unica pronuncia di queste Sezioni Unite qui invocata peraltro è S.U. ord. 23 maggio 2019 n. 13985, non massimata, a ben guardare – già è possibile rilevare per l’evidenza – attinente a fattispecie diversa), e asserendo che ciò sarebbe stato riconosciuto anche specificamente per i pareri in tema di acque pubbliche, in particolare da S.U. 19 aprile 2016 n. 7702 – “In tema di procedimento amministrativo, il provvedimento finale a rilevanza esterna è impugnabile quale atto direttamente e immediatamente lesivo, mentre non sussiste l’interesse ad impugnare un atto privo di effetti immediati e diretti in quanto meramente endoprocedimentale (nella specie, “presa d’atto” di parere tecnico su istanza di concessione idroelettrica)”-.
Logica poi sarebbe la conseguenza della carenza di interesse a sostenere l’impugnazione ex articolo 100 c.p.c., essendo stato suo oggetto soltanto un atto interinale privo di effetti diretti, che si inserisce nell’istruttoria senza condizionarne l’esito, “anche a ragione del carattere non vincolante del parere stesso, quale si evincerebbe dalle norme locali”, esito identificabile soltanto nella “determinazione conclusiva del Comune di (omissis)
2.2. La giurisprudenza di queste Sezioni Unite ha già evidenziato la possibile sussistenza di eccezione alla regola della non impugnabilità dell’atto endoprocedimentale, eccezione integrata dalla presenza di un atto vincolante, non identificabile soltanto in quello che condiziona il contenuto dell’atto conclusivo, ma venendo costituito altresì da un ostacolo al prosieguo procedimentale (cfr. U. 21 febbraio 2019 n. 5194: “In tema di procedimento amministrativo, l’atto endoprocedimentale che non possa essere considerato come un diniego esplicito, né come un provvedimento dotato di autonoma capacità lesiva, è impugnabile solo unitamente all’atto conclusivo del procedimento amministrativo e non autonomamente, ad eccezione dei casi in cui assuma carattere di vincolatività, determinando in via inderogabile il contenuto dell’atto conclusivo del procedimento, ovvero comporti un arresto procedimentale”). Così infatti ha correttamente ravvisato la portata del parere negativo del Consorzio il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche nella sentenza impugnata, osservando con chiarezza (pagine 3-4) che “il parere negativo, quale quello impugnato, che determini l’arresto del procedimento è ipso facto lesivo da cui consegue l’interesse attuale e concreto ad impugnarlo da parte di colui che ha presentato istanza di rinvio del procedimento volto ad ottenere il provvedimento favorevole”.
Il motivo dunque è privo di consistenza.
3.1. Il terzo motivo denuncia tardività e irricevibilità del ricorso, impugnazione di atto meramente confermativo, violazione dell’articolo 143, secondo comma, d. 1775/1933, eccesso di potere e travisamento dei fatti.
Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche nega che il parere del Consorzio abbia costituito un atto meramente confermativo, bensì sostiene che attenga ad “un nuovo progetto di intervento edilizio”, necessitante “una nuova istruttoria e un’autonoma, rinnovata valutazione.
Ad avviso del ricorrente, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche avrebbe travisato i fatti e sarebbe incorso in eccesso di potere: non avrebbe tenuto in conto appunto il fatto che l’azione riguarda vizi che investirebbero tutti i pareri emessi dal Consorzio – e quindi oltre a quello del 27 luglio 2017, anche quelli del 21 novembre 2016 e del 4 gennaio 2017 -.
Si argomenta in tal senso richiamando anche passi di detti pareri per dimostrare che “non è affatto vero, come ha sostenuto il TSAP, che il parere più recente abbia riguardato … aspetti diversi” e che quindi si sarebbe dinanzi a un atto meramente confermativo, onde dell’impugnazione sarebbe già decorso il termine di sessanta giorni ex articolo 143, secondo comma, r.d. 1775/1933, in quanto partito dal “primo atto della serie procedimentale”, cioè il parere del 21 novembre 2016.
3.2. È vero che il giudice speciale, a fronte proprio della “eccezione d’irricevibilità del ricorso avverso il parere impugnato … qualificato dal Consorzio come meramente confermativo dei precedenti pareri negativi”, ha ritenuto che tale parere avesse “ad oggetto un nuovo progetto d’intervento edilizio che i ricorrenti, per adeguarsi alle indicazioni contenute nei precedenti pareri, hanno circoscritto all’esecuzione di sole opere” Al che ha aggiunto: “L’esame del nuovo progetto ha comportato una nuova istruttoria e un’autonoma rinnovata valutazione di cui al parere impugnato: sicché, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato, qui condiviso, il parere non è meramente confermativo di quelli precedenti” (sentenza impugnata, pagina 4).
Si tratta, dunque, di un vaglio del contenuto del parere e quindi anche della nuova istruttoria ad esso dedicata, che non può non porsi su un piano direttamente fattuale, così rendendo incongrua la censura.
4.1. Il quarto motivo lamenta presunta insussistenza della violazione delle distanze a fronte di un intervento in tesi meramente manutentivo, violazione degli articoli 96, lettera f), d. 523/1904 e/o 133, lettera a), r.d. 368/1904, eccesso di potere per totale travisamento dei fatti e insussistenza od oggettiva incomprensibilità della motivazione.
Il motivo, in primo luogo, considera l’affermazione del giudice speciale, a pagina 5 della sentenza, che le opere considerate dall’articolo 96, lettera f), r.d. 523/1904 “consistono in interventi che materialmente incidono sulle aree contigue agli argini”, così da non includervi gli interventi che non le modificano, come nel caso in esame in cui si elimina “il balcone aggettante sulla fascia di rispetto previsto nel precedente progetto, al fine di escludere qualsivoglia incidenza delle opere sull’assetto esterno dell’area contigua all’argine del corso d’acqua”.
Richiamate le norme invocate in rubrica, riguardanti rispettivamente le acque pubbliche e le opere di bonifica, si adduce che il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche non può “svolgere considerazioni di merito in ordine alle caratteristiche degli interventi”, pena commettere eccesso di potere, ovvero debordare “nella valutazione discrezionale di spettanza dell’amministrazione, al contempo violando le previsioni di legge in tema di fascia di rispetto dei corsi d’acqua”.
In secondo luogo si richiama l’ulteriore passo della sentenza impugnata in cui si dichiara che il parere “non trova giustificazione nel fatto che il fabbricato . viola la distanza di rispetto” per “la preclusione del giudicato esterno della sentenza del TAR Veneto n. 2597/2007 d’annullamento del diniego di condono edilizio avente, per l’appunto, ad oggetto il fabbricato”, diniego emesso dal Comune. La motivazione non spiegherebbe però la sussistenza di siffatta preclusione.
Secondo il ricorrente, infatti, tale sentenza non lo potrebbe vincolare perché “non era parte di quel giudizio”, e altresì perché “il motivo, ritenuto assorbente, della carenza di motivazione costituiva un vizio emendabile da parte del Comune destinatario, il quale evidentemente ha ritenuto di non rideterminarsi nei termini in seguito fatti propri dal Consorzio”, che avrebbe il dovere di determinarsi al riguardo in via autonoma.
4.2. Per quanto concerne la prima censura, è evidente che il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche non è incorso in eccesso di potere, poiché la sua prima e assorbente ratio decidendi verte sul difetto di interesse del consorzio, consistendo dunque in una applicazione di Dalla inesistenza di lavori incidenti sull’area di sedime e sulla morfologia esterna dell’edificio “non si individua l’interesse che il Consorzio intende salvaguardare”, rileva infatti, con una puntualità subitanea, il giudice speciale, connettendovi poi – e quindi rimanendo chiaramente nell’ambito dell’interpretazione della normativa – il dettato della lettera f) dell’articolo 96 r.d. 523/1905 relativo alla distanza delle opere per desumerne che significa “che le opere, prese in considerazione dalla norma, consistono in interventi che materialmente incidono sulle aree contigue agli argini, sì da non esservi ricompresi gli interventi che non modificano” lo status quo ante.
Prima ancora che l’argomentazione relativa alla eliminazione, nel progetto, di un balcone, il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche rimarca allora l’assenza di interventi riconducibili alla lettera f, interpretata nel senso che non comprende le modifiche dello status quo ante.
Quanto rilevato è dirimente, nel senso che priva di ogni incidenza la censura di ogni ulteriore ratio decidendi, censura che viene così assorbita.
5. In conclusione, il ricorso merita rigetto, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dar atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di € 5000, oltre a € 200 per esborsi, spese forfettarie al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma il 20 giugno 2023.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2023.