R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ANTONIO MANNA – Presidente –
Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO – Consigliere –
Dott. CATERINA MAROTTA – Consigliere rel. –
Dott. IRENE TRICOMI – Consigliere –
Dott. ROBERTO BELLE’ – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 17314/2022 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS) elettivamente domiciliata in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
COMUNE DI (OMISSIS) persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 118/2022 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 06/06/2022 R.G.N. 675/2021;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/04/2023 dal Consigliere Dott.ssa CATERINA MAROTTA;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. MARIO FRESA, visto l’art. 23, comma 8 bis del D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020 n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso depositato in data 1.10.2020 (omissis) (omissis) assunta come dipendente a tempo determinato dal Comune di (omissis) con contratto part-time, inquadrata nella categoria A ed assegnata alla Direzione 1, Area 1, impugnava il licenziamento intimatole dal Comune con lettera ricevuta dalla detta lavoratrice il 5.3.2020 ed avente ad oggetto irregolarità di gestione delle presenze con un totale di 13 giorni di scoperture nell’arco dell’anno 2019.
2. Con sentenza 84/2021, emessa in data 23.2.2021, il Tribunale G.L. di Trapani respingeva il ricorso ritenendo che la mera richiesta di ferie non autorizzasse il dipendente ad assentarsi dal lavoro senza prima attendere la risposta dell’Amministrazione datrice e che, nel caso di specie, se, da un lato, il Comune di (omissis) aveva “fornito la piena prova dei fatti contestati (l’assenza della ricorrente dal servizio per 13 gg)”, dall’altro la (omissis) non aveva “provato la sussistenza di idonee giustificazioni delle proprie assenze“.
Quanto alla proporzionalità dell’atto di recesso, richiamato il tenore dell’art. 55 quater del d.lgs. n.165/2001, riteneva che il “numero di giorni di assenza” fosse “decisamente rilevante“.
Escludeva, inoltre, che la condotta della (omissis) fosse connotata da buona fede atteso che costei poteva vantare “un credito di ferie di soli 4 giorni (fatto non contestato in ricorso)” e che, pertanto, non avrebbe potuto, in ogni caso, fruire dei restanti 9 giorni.
3. La decisione era confermata dalla Corte d’appello di Palermo con la sentenza indicata in epigrafe.
Riteneva la Corte territoriale, sulla base delle risultanze di causa, priva di fondamento la prospettazione della (omissis) secondo cui la fruizione dei periodi di congedo – nelle 4 (distinte) occasioni in cui (nell’estate del 2019) si era assentata dal lavoro – era stata concordata col Dirigente di settore ed anzi evidenziava la piena consapevolezza della dipendente della mancanza sia dell’autorizzazione sia di un credito di ferie per l’anno 2019 (al riguardo sottolineava che la stessa (omissis) aveva chiesto la decurtazione dei giorni di assenza dallo stipendio che costituiva una incontrovertibile ammissione dell’assoluta carenza di qualsivoglia preventiva autorizzazione della parte datoriale al godimento delle ferie nei giorni in contestazione).
Escludeva che potesse esservi stato un errore nel sistema nella fase di inoltro delle istanze di ferie (e che di conseguenza fosse infondata la deduzione dell’appellante che aveva affermato di essere “convinta” di aver inoltrato il modulo all’Ufficio e che, tuttavia, “il modulo delle ferie veniva cancellato“) ed in ogni caso assumeva che secondo i normali canoni di diligenza sarebbe stato onere della (omissis) accertarsi (mediante accesso all’applicativo) che le dette istanze fossero state correttamente acquisite dal sistema e, prima di assentarsi, che le stesse avessero avuto l’esito sperato (cioè la concessione delle ferie).
4. Per la cassazione della sentenza (omissis) (omissis) ha proposto ricorso sulla base di cinque motivi, cui ha resistito con controricorso il Comune di (omissis).
5. La ricorrente ha depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo ed il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi e per gli effetti rispettivamente dell’art. 360, 3, cod. proc. civ. e dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ, la violazione degli artt. 2106, 2119 cod. civ., dell’art. 7 L. n. 300 del 1970, dell’art. 18 L. 300/1970, degli artt. 55 e 63, comma 2 bis, d.lgs. n. 165/2001, dell’art. 59 c.c.n.l. nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, consistito nell’omesso esame della gravità dei fatti addebitati ai fini del licenziamento, in relazione al principio della proporzionalità, congruità, gravità.
Sostiene che con l’atto di appello aveva censurato la valutazione di proporzionalità della sanzione irrogata effettuata dal Tribunale richiamando il rispetto di gradualità e proporzionalità della sanzione di cui all’art. 59 del c.c.n.l. enti locali del 21 maggio 2018 e sul punto la Corte territoriale non aveva svolto alcuna considerazione con ciò non solo violando l’obbligo di valutare la gravità dei fatti addebitati ai fini del licenziamento anche in relazione al principio del divieto dii automatismi sanzionatori ma altresì incorrendo nel vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
2. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.
Censura, in via subordinata rispetto al secondo motivo di ricorso la sentenza per l’omessa pronunci sul motivo di appello concernente la valutazione di proporzionalità dell’irrogazione del licenziamento.
3. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 244 cod proc. civ., 421 cod. proc. civ.
Censura la sentenza impugnata per non aver ammesso le prove testimoniali di cui alla richiesta disattesa dal primo giudice e debitamente reiterata in appello che avrebbero consentito di dimostrare la conoscenza da parte del Dirigente delle ferie chieste dalla (omissis) e l’esistenza di una prassi in tal senso presso l’ufficio.
4. Con il quinto motivo (in subordine al quarto) la ricorrente denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per la controversia.
Lamenta la mancata ammissione della prova testimoniale che avrebbe consentito di provare che era prassi dell’ufficio richiedere le ferie oralmente e poi inserire le domande e che la (omissis) aveva chiesto al dirigente di poter usufruire delle ferie.
5. Sono fondati i primi tre motivi di ricorso, da trattare congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi.
Effettivamente la Corte territoriale non ha speso una parola sulla proporzionalità della sanzione e la questione, esaminata dal Tribunale, era stata devoluta al giudice dell’impugnazione con specifico motivo di appello.
Il ricorso per cassazione, sul punto, è rispettoso del principio di specificità riportando il passaggio della sentenza del Tribunale in cui è stato esaminato il profilo inerente al rispetto del profilo della proporzionalità e quello dell’atto di appello in cui tale passaggio è stato censurato opponendosi il divieto di automatismi sanzionatori ed il contenuto dell’art. 59 del c.c.n.l. del 21/5/2018 e sostenendosi che l’adeguatezza della sanzione andava verificata sotto il profilo della gravità e della proporzionalità oltre che della intenzionalità della condotta.
Orbene tale censura non è stata esaminata dalla Corte territoriale che ha incentrato il proprio percorso argomentativo solo sulla mancanza di giustificazione delle assenze della (omissis) che avevano integrato la previsione di cui all’art. 55 quater del d.lgs. n. 165/2001, senza alcun cenno alla denunciata violazione del principio di proporzionalità, che, come è noto, ha un fondamento giuridico e normativo completamente diverso.
Il giudizio sulla proporzionalità e gravità del licenziamento non può mai essere implicito, anche là dove il fatto addebitato non sia ascrivibile a mera negligenza del lavoratore per essere la relativa condotta connotata, come nella specie, da una chiara consapevolezza dell’arbitrarietà della stessa.
Questa Corte ha evidenziato come anche a fronte di una fattispecie legale quale quella di cui all’art. 55 quater del d.lgs. n. 165/2001, nel valutare la legittimità della sanzione irrogata dall’Amministrazione, una volta accertato che il lavoratore abbia commesso una delle mancanze previste dalla norma, il licenziamento non è una conseguenza automatica e necessaria, conservando l’amministrazione il potere-dovere di valutare l’effettiva portata dell’illecito tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto e, quindi, di graduare la sanzione da irrogare, potendo ricorrere a quella espulsiva solamente nell’ipotesi in cui il fatto presenti i caratteri propri del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa di licenziamento.
Sul punto si è affermato (Cass. 19 settembre 2016, n. 18326; Cass. 24 maggio 2021, n. 14199; Cass. 15 febbraio 2023, n. 4800), con statuizione alla quale si intende dare continuità, che la suddetta norma cristallizza, dal punto di vista oggettivo, la gravità della sanzione prevedendo ipotesi specifiche di condotte del lavoratore, mentre consente la verifica, caso per caso, della sussistenza dell’elemento intenzionale o colposo, ossia la valutazione se ricorrono elementi che assurgono a scriminante della condotta.
Ferma la tipizzazione della sanzione disciplinare (licenziamento) una volta che risulti provata la condotta, permane la necessità della verifica del giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione che si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso.
Proprio l’art. 55 quater è stato, dunque, interpretato alla luce dello sfavore manifestato dalla giurisprudenza costituzionale rispetto agli automatismi espulsivi e, pertanto, si è valorizzato il richiamo testuale all’art. 2106, cod. civ., per limitare l’imperatività assoluta espressa dalla norma al rapporto fra legge e contratto collettivo e per affermare che l’esercizio del potere datoriale resta comunque sindacabile da parte del giudice quanto alla necessaria proporzionalità, della sanzione espulsiva (nella citata sentenza si rimanda alla giurisprudenza richiamata da Corte cost. n. 123 del 2020 che, valorizzando questa interpretazione costituzionalmente orientata, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 55 quater, prospettata dal Tribunale di Vibo Valentia).
6. È infondato il quarto motivo di ricorso.
La Corte territoriale, con accertamento in fatto non rivedibile in questa sede di legittimità, ha escluso che la fruizione delle ferie fosse stata previamente concordata con il Dirigente di settore e del pari escluso che vi fosse stato un mero errore della lavoratrice nella presentazione della istanza telematica di fruizione delle ferie rilevando, tramite accertamento tecnico, la mancata presentazione di qualsivoglia istanza telematica.
Così ha ritenuto che vi fosse la piena consapevolezza della dipendente della mancanza sia dell’autorizzazione sia di un credito di ferie per l’anno 2019; ciò sulla base di determinate emergenze di causa (ritenute, evidentemente, decisive e tali da rendere superfluo ogni ulteriore approfondimento istruttorio).
7. Il quinto motivo è infondato.
È appena il caso di richiamare il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale, qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti (rifiuto che il giudice di merito non è tenuto a formalizzare in modo espresso e motivato, qualora l’inconcludenza dei mezzi istruttori invocati dalle parti possa implicitamente dedursi dal complesso della motivazione adottata: cfr. Cass. 25 maggio 1995, n. 5742), il ricorrente ha l’onere di dimostrare che con l’assunzione delle prove richieste la decisione sarebbe stata diversa, in base a un giudizio di certezza e non di mera probabilità, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (cfr. Cass. 4 ottobre 2017, n. 23194).
Vale, altresì, ribadire il principio secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non già il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della congruità della coerenza logica, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197).
Nella specie, la Corte territoriale ha espressamente rilevato come, dall’esame delle evidenze processuali disponibili, fosse rimasta comprovata l’assenza di ogni autorizzazione preventiva al godimento delle ferie nei giorni in contestazione, attribuendo una decisiva pregnanza, sul piano dell’attendibilità probatoria, alle dichiarazioni del dirigente pro-tempore, (omissis) ma anche alle ammissioni della stessa (omissis) contenute in una nota dalla medesima sottoscritta (v. pag. 5 della sentenza), rispetto ad ogni altra alternativa istruttoria prospettata, risulta giustificata dal giudice a quo, nell’esercizio della discrezionalità valutativa ad esso spettante, nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica dell’interpretazione e di congruità dell’argomentazione, in forme immuni da vizi d’indole logica o giuridica e, come tali, del tutto idonee a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dalla ricorrente, non emergendo alcuna prevedibile certezza in ordine all’esito sicuramente differente della ridetta valutazione probatoria a seguito dell’eventuale esperimento positivo della prova inutilmente invocata.
8. Da tanto consegue che vanno accolti i primi tre motivi di ricorso e vanno rigettati gli altri.
La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d’appello di Palermo che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi sopra indicati, pronunciando anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
9. Non sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Palermo in diversa composizione.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 19 aprile 2023.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2023.